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8/10

La storia della principessa splendente regia di Isao Takahata

Animazione
recensione di Alessandro Giovannini

Un anziano tagliabambù trova nel bosco una piccolissima bambina. Ritenendola un dono del cielo, la porta a casa sua e la cresce assieme alla moglie come fosse loro figlia. La bambina ha sorprendenti doti di crescita rapida, e successivi eventi miracolosi convincono l'anziano a trasferirsi in città, per fornire alla ragazzina un'educazione da nobildonna. Ma la vita da giovane principessa reclusa in una gabbia dorata e bramata da molti pretendenti non le gioverà. Le cose si complicheranno ulteriormente all'annuncio della prossima venuta del re della Luna, intenzionato a reclamare per sè la ragazza che si scopre provenire proprio da lassù.

Lo confesso, era da qualche anno che attendevo trepidante un ritorno alla regia di Isao Takahata, co-fondatore dello Studio Ghibli ed autore di uno dei miei film preferiti, Una tomba per le lucciole. La speranza sembrava vieppiù vana ad ogni anno che andava a distanziarci dal 1999, in cui Takahata firmò la sua penultima regia, My Neighbors the Yamadas (mai uscito in Italia). Dopo un quindicennio, la sorpresa insperata e la gioia conseguente. Adottando lo stesso stile del film del '99 (un tratto stilizzato, essenziale del disegno ed una colorazione simil-acquerello) Takahata racconta una storia altrettanto intima, altrettanto giapponese, attingendo stavolta non alla quotidianità della famiglia media bensì alla tradizione folk della fiaba, in particolare al Taketori monogatari (lett. "Il racconto di un tagliabambù"), racconto risalente al X secolo. Fiaba densa di mistero, che viene riletta dal maestro come riflessione sulla bellezza del vivere e del nostro mondo, bellezza palese o nascosta a seconda della capacità del singolo di saperla cogliere. Ne è di certo capace la principessina protagonista del film, una bambina non di questo mondo ma innamorata di esso, dei suoi paesaggi naturali, delle emozioni regalate da semplici ma importanti rapporti umani. Sentimenti puri che, contaminati da bramosie nefaste di ricchezza e potere, anticamere di un egoismo distruttore e di lotte competitive, distruggono la condizione primigenia di armonia uomo-uomo e uomo-natura (ed il passaggio dalla campagna alla città è un momento emblematico di questa perdita dell'innocenza, infatti avviene nel momento in cui la principessa smette di essere infante e cresce improvvisamente diventando una giovane donna).

Per il resto, la poetica propria delle opere Ghibli è più viva che mai: leggerezza del tocco ma profondità nei temi trattati, commento musicale eccezionale di Joe Hisaishi (per la prima volta al lavoro ad un film di Takahata), sensibilità ecologista e sincretismo religioso, occasionale autocitazionismo (il suddetto stile di disegno accostabile all'opera del '99, l'episodio finale della discesa del popolo celeste che richiama la sfilata dei demoni in Pom Poko). Della tecnica di disegno è necessario aggiungere il fatto che le animazioni sono create totalmente a mano fotogramma per fotogramma, di qui l'impressione di un tratto grezzo ed instabile che conferisce una continua mobilità ai personaggi, disancorandoli dal tipico stile giapponese degli anime in cui i personaggi che non compiono azioni tendono a rimanere completamente fermi sullo schermo. Questo dinamismo continuo ben si adatta allo stile fluido di cui sono complemento i fondali dipinti in modo a volte abbozzato ed alcune fulminee scene di movimento, fra cui quella che è probabilmente la vetta stilistica del film: la breve scena di fuga della principessa dal palazzo per fare ritorno alla casa nei boschi, in cui paesaggi e personaggio si riducono a svolazzi di grafite catturati dal foglio di carta e ad un caleidoscopio di colori frullati insieme a creare immagini quasi astratte (una sequenza che mi ha ricordato molto un misconosciuto film giapponese di animazione del 1973, Belladonna di Eiichi Yamamoto, che consiglio a tutti di recuperare).

Non è forse il Takahata migliore per via di alcune lungaggini nella parte centrale della vicenda, ma è senz'altro un'ottima annata.

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