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7/10

Vol Special regia di Fernand Melgar

Documentario
recensione di Alessandro Giovannini

Centro di detenzione amministrativa di Frambois (equivalente dei nostrani centri di identificazione ed espulsione). Qui gli irregolari senza permesso di soggiorno possono essere trattenuti fino a 2 anni in attesa di giudizio, prima di essere rilasciati o (più frequentemente) espatriati. Nel secondo caso, possono scegliere se andarsene volontariamente (da uomini liberi) o attraverso volo speciale (con imputazione di immigrazione clandestina). Il regista e la sua equipe hanno passato un anno all'interno del centro conoscendo i reclusi.

Vol special è stato uno dei grandi film del festival di Locarno. Accolto con ovazioni, è un documentario di dura denuncia di quella che appare evidentemente una stortura del sistema giudiziario svizzero: persone abitanti la Svizzera anche da decenni improvvisamente trasferite nel centro, dove rimangono internati anche due anni per poi essere rispediti nel loro paese d'origine, paese spesso ormai estraneo per loro o da cui sono fuggiti perchè perseguitati o perchè in fuga da una guerra. Senza mai intervenire verbalmente, il regista Fernand Melgar (autore di diversi altri documentari di denuncia sociale), ed il suo staff si limitano a filmare ciò che accade all'interno del centro: si familiarizza col direttore, uomo sensibile ai problemi degli ospiti del centro eppure inflessibile nella sua osservanza della legge e delle procedure, il personale che vi lavora all'interno e ovviamente i detenuti stessi, persone che, benchè formalmente non accusati di nulla, si trovano di fatto in una condizione di prigionia e che possono vedere amici e famigliari (con cui magari hanno vissuto normalmente fino al giorno prima della detenzione) sono in specifici orari di visita.

Stupisce l'ordine, l'osservanza delle regole e la disciplina di carcerieri e carcerati, tutti composti in quanto a protocollo, sebbene scossi interiormente. I momenti più toccanti sono ovviamente quelli in che riguardano l'annuncio ad un particolare detenuto della sua imminente espulsione: pianto e disperazione colpisce i malcapitati, pur in una compostezza ed accettazione della sentenza che non può che colpire. Il montaggio accurato non manca di sottolineare alcuni momenti salienti da cui traspare tutto lo sgomento del regista nel ritrarre una situazione da lui ritenuta ingiusta e contraria ai principi di civiltà di cui si fregia la Svizzera (ad esempio il momento in cui i detenuti leggono su un quotidiano di una proposta di legge per permettere agli animali domestici di poter essere difesi da un avvocato!), ma si evita di aggiungere orpelli registici o fotografici, in favore del massimo realismo.

Questa asetticità di fondo non permette certo al documentario di elevarsi, artisticamente parlando, oltre il semplice livello di reportage giornalistico, per quanto potente esso sia. Siamo lontani, insomma, dalla poesia dei documentari di Herzog, per fare un esempio. L'intento denunciatario dell'opera è comunque pienamente raggiunto, e al di là dei demeriti tecnici, il film resta un'importante documento che affronta una tematica quantomai attuale che non riguarda solo il paese in cui è stato girato, ma pone domande allo spettatore di qualunque provenienza.

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