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10/10

Vi presento Toni Erdmann regia di Maren Ade

Commedia
recensione di Leda Mariani

Dal più efficace titolo originale: Toni Erdmann”, il film racconta le vicende di Winfried Conradi, uomo âgée col vizio dello scherzo. Le sue buffonate colpiscono democraticamente familiari e fattorini che bussano alla porta e provano allibiti a consegnargli l'ennesimo pacco. Insegnante di musica in pensione, la sua vita si muove tra le visite all’anziana madre e le carezze al suo vecchio cane, ormai cieco e stanco. A casa della ex moglie una sera a sorpresa ritrova sua figlia. Ines ha quasi quarant'anni e una carriera che impegna ogni ora della sua giornata. Occupata in un'azienda tedesca che l'ha traslocata a Bucarest, vive appesa al telefono e ad una vita incolore, dedicata completamente alla professione e con poco tempo da spendere in famiglia. Senza preavviso, Winfried decide di farle visita e di passare qualche giorno con lei, ma il lavoro e il disagio nei confronti del genitore hanno la meglio sui suoi tentativi affettuosi. Winfried però non si arrende, infila una parrucca e una dentiera artificiale e irrompe nella sua vita come Toni Erdmann, coach naïf e improvvisato, che sa bene che una canzone crea più valore di un'azione in borsa. mostra spoiler

Sotto le mentite spoglie di toni, Winfried è ancora più audace ed incapace di contenersi, creando momenti di esilarante comicità trash, ma Ines coglie quasi senza volerlo la sfida, e più in là si spingono, più si avvicinano. In un vortice di follia, Ines comincia a comprendere che forse il suo eccentrico genitore ha tutto sommato il diritto di occupare spazio nella sua vita e ne accetta il ruolo e l’importanza, ma sempre in maniera singolare e un po’ stramba.

 

Una figlia che ha perso il senso dell'umorismo e un padre che fa di tutto per farle tornare il sorriso.

Di sicuro il film più originale, sorprendente e ben riuscito che ho visto quest’anno. Una commedia dolce e toccante, smisuratamente eccentrica, folle e imprevedibile, come il suo protagonista. Un film intenso, divertentissimo e commuovente: che sa di vita. Un modo intelligente di affrontare l’importante tematica della relazione genitori-figli, ed una spinta a “mettersi a nudo” inseguendo la verità, nella vita e nei rapporti. Un invito profondo a non perdere il senso dell’umorismo. L’esplorazione del concetto di felicità, tra dolcezza ed iperrealismo, per una generazione nichilista di persone vuote ed infelici. Un film insomma profondamente esistenziale, che tratta con intelligenza e tocco gentile il grave tema della disconnessione umana del nostro tempo.

Il film mette infatti in atto, oltre che una vicenda emotiva e sentimentale, una forte riflessione sociologica. Winfried, il padre, rappresenta una generazione che ha lottato perché i suoi figli crescessero con fiducia in sé stessi e spirito indipendente, perché si liberassero da determinate costrizioni sociali, mentre Ines, la figlia, ha scelto, o comunque vi si deve adattare, per motivi di sopravvivenza, uno stile di vita molto lontano dagli ideali che il padre le ha trasmesso da piccola, dimostrando dunque frustrazione e disillusione. Ines decide di entrare in un settore conservatore, ed impostato sull’efficienza della prestazione, che racchiude in sé tutti gli ideali disprezzati dal padre. La libertà per la quale la generazione di Winfred ha lottato, ha infatti spianato la strada al capitalismo più sfrenato, in cui il profitto è il fulcro di tutto e per il quale paradossalmente lui ha attrezzato la figlia con tutto ciò che serve: flessibilità, autostima, e la convinzione assoluta che non esistano limiti. La mentalità ingenuamente umanitaria “dei Winfred”, ha purtroppo lasciato il posto all’incertezza assoluta del mondo “delle Ines”, ben metaforizzato dalla Romania nella quale si svolge la vicenda, che è terra di nessuno e della quale a nessuno sembra importare: un luogo in cui perdersi, lontano, isolato, sganciato dalla normalità famigliare  e che enfatizza il rapporto tra padre e figlia, mettendolo in risalto. Il fatto di girare a Bucarest sembra abbia dato alla regista libertà, a livello sia logistico che creativo. Sullo sfondo, paesaggi in continuo mutamento e ricostruzione che si fanno allegoria della difficoltà di comunicare, qui enfatizzata ulteriormente dall’uso di tante lingue diverse. Ines si occupa in sostanza di esternalizzare e licenziare, vive e lavora in un mondo in cui prevale la solitudine e anche per questo è un personaggio femminile assolutamente contemporaneo. Inizia la sua carriera convinta che autodeterminazione ed uguaglianza siano valori che le donne della sua generazione possono dare per scontati e di non avere dunque bisogno di alcun femminismo, ma la realtà che le si rivela intorno comprende invece quasi ogni forma di discriminazione.

Quella di Maren Ade, al suo terzo lungometraggio e anche sceneggiatrice di Toni Erdmann (che è scritto veramente bene), è una regia semplice e netta, sincera e per nulla dimostrativa. La Ade ha raccontato che tutti i suoi film sono in parte autobiografici e che sicuramente anche in questa storia c’è qualcosa che riguarda il suo rapporto con la famiglia. D’altra parte, come ha sottolineato: <<ciascuno di noi ha una sola famiglia e i rapporti tra genitori e figli durano per tutta la vita: è difficile prendere la distanze>>. Ed è un po’ quello che accade alla Ines del film, intrappolata nelle forme di una società in cui le interazioni avvengono in base a rigidi modelli quasi ritualistici, ai quali nessuno può sottrarsi.

La trasformazione di Winfred in Toni è invece in sintesi una perfetta metafora del meccanismo di base dell’umorismo: il tentativo di spezzare il modulo del rapporto padre-figlia, frutto di disperazione per entrambi, per affrontare in maniera costruttiva una questione oggettivamente molto delicata. L’umorismo di Erdmann-Winfred è l’unica arma che resta a disposizione di un padre per contrastare l’infelicità della figlia. Peter Simonischek è stato assolutamente impeccabile nell’incarnare il complicato ruolo di Winfred, che è un comune insegnante - non un professionista - che deve interpretare un ruolo, e per un bravo attore è difficile simulare la realtà di un uomo che mette in scena una performance pessima e che allo stesso tempo deve chiamare la risata.  Anche per questo motivo il DoP Patrick Orth ha optato per una fotografia neutra, con luci a 180 gradi, fatta per dare la massima libertà d’improvvisazione agli attori. La maggior parte del film è stato inoltre ripreso a spalla, o in steadycam, attribuendo un effetto di particolare realismo, quasi documentaristico, alla pellicola, oltre che qualcosa di straniante e di vagamente orrorifico… Come ha detto lo stesso Peter Simonischek: <<nel cinema bisogna “essere”: ogni intenzionalità deve completamente svanire, perché un film si fonda su un unico momento di verità>> e questa verità, quasi filosofica, delle relazioni e del nostro status sociale, ci trascina dentro allo schermo toccandoci profondamente, dalla prima all’ultima immagine di questo film. La bravissima Sandra Hüller, nel ruolo di Ines, definisce la recitazione come uno: << stare al passo  con le svolte che un personaggio compie nel corso della storia>> e tutto il suo vissuto, il dramma del personaggio, i suoi mutamenti, li vediamo chiaramente in ogni gesto, sguardo, od espressione del suo austero personaggio.

Una tragicomica festa (lascio scoprire al lettore i dettagli), sarà lo spontaneo e disperato tentativo per uscire da una situazione di stallo, in maniera anche fantasmagorica (vedi l’”io interiore” allegorizzato nel malinconico Kukeri) e che porterà protagonista femminile e spettatore davanti alla difficoltà oggettiva dello sbarazzarsi delle cose, ed infrangere tabù, in una società che fagocita praticamente tutto, senza pudore e senza riflessioni di sorta. Un incoraggiamento ad essere sinceri, o almeno a cercare di esserlo, per apparire meno ridicoli di ciò che si è, se visti da lontano.

Il film ha ottenuto 1 candidatura ai Premi Oscar, è stato premiato al Festival di Cannes, ha avuto una candidatura ai Golden Globes, ai BAFTA, ha vinto 5 European Film Awards, una candidatura ai Cesar e 6 candidature ai London Critics.

Resta solo una riflessione: ho avuto la fortuna di assistere a questo sorprendente e bellissimo film ad un'anteprima in lingua originale sottotitolata, opportunità che in questo caso credo sia di fondamentale importanza. La commedia è infatti recitata in inglese, tedesco e rumeno, mentre a quanto pare la versione distribuita nelle nostre sale sarà completamente doppiata in italiano, cancellando perciò tutte le sfumature che la regista/sceneggiatrice ha voluto assegnare ai personaggi nel continuo passaggio da una lingua all'altra, finendo anche per eliminare inevitabilmente molte battute umoristiche nate dai fraintendimenti linguistici tra i personaggi. Inoltre per alcune versioni sono previsti pesanti tagli, di quasi 40 minuti. La durata originale è di 162 minuti, poco meno di 3 ore, ma nessuno in sala se n'è accorto, tanto la storia è interessante, divertente, ed equilibrata nel suo evolvere verso il finale. Che scene verranno tagliate?! Mezzo mondo l’ha già visto per intero (noi siamo tra gli ultimi)… saranno eliminate le scene divertenti, quelle serie, quelle "sociali"? Dopo averlo visto, ed amato, non posso che consigliare di controllare il minutaggio effettivo, per capire se andrete incontro alla versione originale o meno, e riflettete su se vale la pena di assistere ad un'opera tagliata.

Ad ogni modo, il film, come la vita, è un inesorabile sequenza di addii che la pellicola in qualche maniera ripercorre, apparendo più vera e realistica di quanto non voglia essere. Ma il commiato affettuoso ci può essere, le occasioni si possono anche non perdere, la violenza e la ferocia dell’esistenza si possono sopportare, elaborare, manipolare, anche grazie alla fantasia e cercando di non perdere mai, ma proprio mai, il senso dell’umorismo. Un dono grandioso per l’umanità: il messaggio, importantissimo, di questo film.

 

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forever007 (ha votato 8 questo film) alle 12:03 del 16 marzo 2017 ha scritto:

Mi piace molto la recensione per come riesce bene a cogliere molte sfumature del film e le tematiche affrontate, però qualche appunto ce l'ho: anche io l'ho visto in lingua originale e sottotitolato in italiano e devo dire che le tre ore si sono sentite tutte; ci sono delle scene che non apportano nulla al film a mio avviso e che durano in termini di minutaggio fin troppo tempo (non voglio spoilerare nulla, comunque la scena che maggiormente mi viene in mente è quella in cui lui va al bagno del signore che abita accanto al pozzo petrolifero) ed il finale rovina tutto il film, poteva finire almeno dieci minuti prima con una delle scene più toccanti del film (credo che chi l'ha visto capisca). A me sembra che la regista abbia messo in campo (dal punto di vista tecnico) i vari clichè per fare un film d'autore, scene scollegate tra loro, momenti superflui che durano un'eternità e finale totalmente "BOH". Insomma la tematica è bellissima, e vi farete gran belle risate, i personaggi sono ben caratterizzati (solo loro due perchè quelli attorno a loro mi sembrano rappresentati in maniera abbastanza anonima e senza particolarità) e gli attori sono molto bravi. E' per questo che mi fa rabbia che la regista sembra in più punti aver voluto allungare un brodo che era già abbastanza ricco. Poteva essere un film perfetto ed invece è semplicemente un buon film.

Ledy, autore, alle 16:41 del 17 marzo 2017 ha scritto:

Ciao! Capisco quello che scrivi e se il film ti è sembrato troppo lungo, nulla da ridire: è una questione anche personale...ognuno ha il suo senso del tempo e della lunghezza e comunque si, poteva essere un po' più breve senza perdere molto. Sul concetto di perfezione purtroppo ho da ridire: ciò che è perfetto, lo è sempre e solo per noi (purtroppo o per fortuna) e secondo me la regia è semplicemente molto caratteristica...che funzioni o meno a livello di "oggettivo equilibrio", comunque ha un suo taglio, un suo stile, una sua forma e un suo ritmo interno. Ad ogni modo, già ben lieta che ti sia sembrato un buon film: io mi ci sono affezionata moltissimo! Buona serata! Leda