R Recensione

8/10

Conversazioni Private regia di Liv Ullmann

Drammatico
recensione di Elena Rimondo

La protagonista di questa storia scarna ispirata alla biografia di Ingmar Bergman è Anna, la quale tradisce il marito, un pastore protestante, con Thomas, uno studente di teologia molto più giovane di lei. Ad un certo punto Anna decide di confidarsi con lo zio, anch’egli pastore, per avere consiglio. Quest’ultimo la esorta a confessare tutto al marito e a troncare definitivamente la relazione con Thomas. Anna trova così il coraggio per seguire il primo consiglio, ma forse non il secondo.

Conversazioni private, pur portando la firma di Liv Ullmann, è in realtà uno degli ultimi film di Ingmar Bergman. Il regista svedese aveva scritto la sceneggiatura a partire da un romanzo da lui scritto precedentemente ma, essendo ormai troppo anziano, aveva affidato la regia alla sua attrice preferita, nonché sua compagna per molti anni. La storia affonda le radici nella biografia di Bergman stesso, la cui infanzia è stata segnata dalla vicenda dell’adulterio della madre con uno studente di teologia molto più giovane di lei. La storia è molto essenziale, però dà luogo ad un film di più di due ore in cui stranamente non ci si annoia. L’azione è ridotta al minimo, come succede spesso nei film nordici, e il nucleo è costituito dai dialoghi, anzi, dalle conversazioni. Il film infatti è diviso in cinque capitoli, corrispondenti ad altrettante conversazioni tra Anna e lo zio (1°, 4° e 5° capitolo), il marito (2° capitolo) e l’amica Marta (3° capitolo). La pratica della conversazione è tipica dei paesi protestanti, in cui si dà molta importanza al dialogo con il pastore e all’autoanalisi, mentre a noi può sembrare un eccesso di confidenza. Invece nel film lo zio pastore ad un certo punto critica esplicitamente la confessione dei cattolici, più facile da fare perché l’oscurità del confessionale costituisce una finta barriera grazie alla quale ogni reticenza viene meno. Al contrario, i dialoghi tra Anna e lo zio avvengono in piena luce (e nella conversazione col marito Anna porta la lampada sul tavolo affinché possano vedersi meglio), nell’atmosfera rilassante di un giardino o in quella estremamente raccolta di una biblioteca.

Il problema posto da Bergman è che tuttavia la verità non sempre è il rimedio che risolve tutti i mali, come sostiene lo zio: il marito di Anna dimostra comprensione solo inizialmente, ma dopo diventa violento e oppressivo, rivelandosi un pastore ben diverso dallo zio. Una vicenda semplice e comune come un adulterio, quindi, assume il carattere di una tragedia intima e tutta personale. Anna sa di voler continuare a badare ai propri figli e riconosce che l’amore con Thomas è impossibile; ciononostante capisce che tra lei e lo studente c’è quell’affetto che manca nel matrimonio. La drammaticità della situazione è sottolineata anche dal progredire non lineare della storia, visto che le conversazioni non si susseguono in ordine cronologico, e nemmeno a ritroso. Centrale per capire l’interiorità di Anna è la conversazione tra lei e lo zio alla vigilia della sua comunione, perché in essa è contenuta la chiave per comprendere il film. Tuttavia, se i dialoghi sono lo strumento principale attraverso i quali viene portata in superficie l’interiorità dei personaggi, non meno importanti sono i primi piani, soprattutto della protagonista (Pernilla August) e dello zio (Max von Sydow). Dallo stesso romanzo di Bergman esiste anche un film del ’92, Con le migliori intenzioni, che il regista svedese ha fatto dirigere a Bille August.

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