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9/10

Un Dollaro D Onore regia di Howard Hawks

Western
recensione di Antonio Falcone

Una piccola città lungo il Rio Bravo. All’interno di un saloon Joe Burdette, dopo aver provocato il vicesceriffo Dude, alcolizzato, con intervento dello sceriffo John T. Chance, uccide a bruciapelo un uomo che cerca di sedare la rissa e viene arrestato; suo fratello Nathan, ricco proprietario terriero che tiene sotto controllo la cittadina con un manipolo di uomini, si organizza per liberarlo, facendo uccidere nel frattempo un allevatore che aveva promesso il suo aiuto allo sceriffo per riportare l’ordine in paese; Chance, che ha la sua bella gatta da pelare con l’arrivo dell’avventuriera Feathers, al cui fascino non è insensibile, può contare, oltre che su Dude, in via di forzato recupero, sul vecchio zoppo Stumpy e sul giovane Colorado…

Mirabile punto d’incontro tra genere ed autorialità, Un dollaro d’onore, Rio Bravo in originale, evidenzia tanto la nota, estrema, poliedricità del suo autore, Howard Hawks, il personale tocco costituito da perfezione formale e rispetto per la sceneggiatura (Julies Furthman e Leigh Brackett, da un racconto di B.H. Mc Campbell), quanto una certa lungimiranza nel presagire la futura crisi del western, con conseguente reinterpretazione, che qui viene infatti cristallizzato nei suoi elementi più tipici e “contaminato” dai toni ironici della commedia, mantenendo la configurazione propria dell’ “universo hawksiano”.

Privilegiando gli interni agli esterni e i dialoghi e la psicologia dei protagonisti rispetto all’azione pura, concentrata in particolare nell’ultima parte, Hawks dà vita ad una raffinata stilizzazione, funzionale ad esaltare le ottime prestazioni attoriali; esemplari al riguardo i primi quattro minuti del film, senza dialogo, tutti giocati sul contrasto tra la visione della mdp e quella propria dei personaggi, generando negli spettatori una certa empatia, oltre ad introdurre e delineare efficacemente i tratti essenziali dell’intera vicenda. A stagliarsi sullo schermo sono le controverse personalità dei losers, sopraffatti in vario modo dalle alterne vicende della vita, risaltando in particolare Dude, Dean Martin definitivamente attore, che ci regala sequenze memorabili (il mancato recupero del dollaro nella sputacchiera, il definitivo superamento della crisi, riponendo il whiskey dal bicchiere nella bottiglia, senza tremolio alcuno), oltre che un bel duetto canoro con Ricky Nelson (My rifle, My pony and Me, Dimitri Tiomkin), il giovane Colorado, simbolo della nuova America, indecisa tra individualismo opportunista ed altruismo.

 Ben delineate poi, rispettivamente in un ambito comico e sentimentale, le figure di Stumpy, Walter Brennan, vecchietto brontolone quanto mai garrulo, ormai più abile con le parole che con le armi, anche se il suo intervento sarà risolutivo, a dimostrazione che ognuno di noi ha diritto ad un altro giro di giostra, di Feathers, Angie Dickinson, affascinante donna dal torbido passato, ma sulla via della redenzione in nome dell’amore per il granitico Chance, il quale ricambia tra farfugliamenti, gesti di buon cuore e impacciati momenti di tenerezza, un John Wayne volto ad assecondare l’avanzare dell’età con un’interpretazione meno aspra, vagamente più duttile, rappresentando sempre i valori fondanti, propri della conquista della frontiera, tra rigore morale e senso del dovere.

 In particolare, Chance, anche in virtù della descritta rappresentazione, personifica l’opportunità offerta al terzetto, oltre che a se stesso, di un diverso approccio esistenziale, in vista di un riscatto se non definitivo almeno utile a risalire la china e a dar fondo alla speranza, mentre il suo incedere da “eroe quotidiano” aiuterà Colorado a comprendere finalmente da quale parte stare; Hawks sfrutterà un identico schema narrativo per El Dorado, ’66, e Rio Lobo, ’70, mentre John Carpenter ne trarrà ispirazione, in ambito metropolitano, nel ’76, con Distretto 13: le Brigate della morte.

 

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