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7/10

Billy Lynn - Un giorno da Eroe regia di Ang Lee

Guerra
recensione di Gabriella Massimi

Il giovane soldato Billy Lynn, insieme ai suoi commilitoni della Bravo Squad, diventa un eroe nazionale dopo un pericolosa azione di guerra in Iraq. Lynn e i suoi compagni vengono rimpatriati per due settimane per affrontare il Victory Tour, che prevede interviste, comizi pubblici fino alla partecipazione ad un famosa partita di football americano nel giorno del ringraziamento. Lynn, ancora traumatizzato dall'esperienza in Iraq e dalla morte di un suo commilitone, dovrà affrontare con fatica le luci della ribalta cercando di non impazzire.

“Torniamo a casa prima che ci uccidano!”, esclama il Sergente Dime capitano della Squadra americana Bravo, la squadra degli eroi.

In questo frangente “casa” non sta a indicare ciò che noi comuni civili immagineremmo. Qui la casa è il terribile inferno bellico che ha ormai risucchiato completamente nel corpo e nell’anima i soldati che la guerra la stanno vivendo in prima linea.

Con Billy Lynn - Un giorno da Eroe Ang Lee non fa un film sulla guerra, sulle violenze fisiche o sulla politica. Ci sono scene di guerra, di violenza e discorsi di uomini ai vertici delle dinamiche politiche americane, ma non sono questi a comporre il fil rouge del regista cinese di Taiwan.

Billy è un eroe. Ha compiuto l’impresa eroica uccidendoo in un corpo a corpo un nemico degli USA nel tentativo di salvare la vita al suo sergente.

Viene omaggiato e premiato dal Governo degli Stati Uniti d’America insieme ai compagni della squadra, la sua famiglia.

Billy e la Bravo tornano in patria per ricevere le dovute riconoscenze e assistere alla tradizionale partita di football del Giorno del Ringraziamento, durante la quale interverranno con una avvilente comparsata nel halftime show.

La pellicola di Ang Lee vuole essere psicologica, psichiatrica e introspettiva.

Ci riesce, ma fatica un pochino.

Il tema scelto non è di certo dei più semplici: le conseguenze della guerra sui giovani  soldati e la coscienza che ne hanno gli altri, quelli che rimangono a casa, le famiglie che ogni sera pensano al figlio/nipote/fratello che rischia la vita al fronte.

Da una parte abbiamo Billy e dall’altra parte Faison, la cheerleader che più che da Billy in sé è rapita dall’icona che il giovane soldato rappresenta.

Infatti come sente Billy parlare della possibilità di non tornare in Iraq restare in patria, assume un’espressione sul volto tutt’altro che entusiasta.

Billy non può non tornare al fronte, lui deve tornare; è quello il suo compito, il suo lavoro e il suo dovere. I problemi familiari, i disagi, le paure e il desiderio di una famiglia sono “lussi” che un vero soldato che ha fatto il suo giuramento non può nemmeno sfiorare col pensiero.

Del resto quello che si prospetta nella vita ai giovani americani fa schifo, tanto vale arruolarsi, che altro c’è per loro? I 6000 dollari di buono ai nuovi arruolati in fondo non sono proprio da buttare.

Ma la pensano davvero così?

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