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5/10

Hercules Il Guerriero regia di Bret Ratner

Avventura
recensione di Tomas Bonazzo

Le gesta di un guerriero, Hercules, figlio di Zeus, sono ben note in tutta la Grecia. A distanza di anni dalle 12 fatiche decantate dagli aedi, l'eroe ha scelto di deporre la clava per poter sposarsi e metter su famiglia; gli dei, però, invidiosi, hanno in serbo per lui un destino diverso.

 

Hercules il Guerriero viene tratto da una graphic novel di Steve Moore e Admira Wijaya che, a differenza di illustri predecessori tratti dai fumetti quali Sin City, Watchman o 300, percorre a zonzo più registri per circa 90 minuti, senza mai sceglierne uno. Certo, il registra non è Zack Snyder o Rodriguez, o James Mc Teigue, ma è forse proprio questo il nocciolo del problema: il regista è Brett Ratner. Al suo decimo lungometraggio, Brett, dopo averci fatto divertire con l'inossidabile Jackie Chan in “Rush Hour” e averci fatto odiare il natale con “The Family Man”, ha dato prova di sé nel discreto “Red Dragon” ma soprattutto nei primi due capitoli della saga degli “X-Man” dimostrando di aver trovato la propria strada nei cinecomics. Errore madornale, almeno osservando questo film, fiacco e floscio, i cui espliciti riferimenti al “Il Gladiatore” e ad “Alexander” sono solo irritanti. Molte scene richiedono una lavorazione in computer graphics, sia quelle con mostri che quelle di battaglia, con risultati televisivi che ricordano vagamente un mix poco esplosivo tra la grafica del primo Toy Story e la serie Xena – Principessa Guerriera degli anni '90. Sapendo che il film è stato girato in Ungheria e Croazia sorge spontaneo il quesito insoluto di come siano stati spesi oltre 100 milioni di dollari per questa seconda pellicola del 2014 sul possente eroe greco (”Hercules - La leggenda ha inizio” con il belloccio Kellan Lutz, reo dalla saga di Twilight).

Nota di rammarico anche per l'outsider direttore della fotografia Dante Spinotti, spesso in sodalizio con Ratner, di cui si riconosce la tecnica solo nelle ultime sequenze, ispirandosi, per la maggior parte del tempo, ad un suo precedente lavoro non tanto per il cinema ma bensì per l'allestimento di statue egizie nel museo di Torino.

La sceneggiatura, molto buona per un peplum, gira attorno al dilemma dell'eroe che gode già di ottimo prestigio: Proverà o sfaterà il mito dietro cui si nasconde l'uomo? Un uomo che, in quanto tale, è tormentato e angustiato dal passato. La lotta interna-esterna di Hercules viene espressa con efficacia dal volto-fisico di Dwayne Johnson che, per l'occasione, si arricchisce di barba e parrucca. Sempre meno lottatore di wrestling e più bodybuilder, l'ex The Rock non possiede forse l'eleganza di Steve Reeves o il profilo vagamente greco di Lou Ferrigno (suoi predecessori nelle vesti di Ercole), ma è sicuramente l'unico attore Hollywoodiano capace di poter reggere praticamente da solo un blockbuster con buoni risultati al botteghino. Ritrovata nova linfa vitale uscendo dal circuito Disney, di cui ricordiamo spiacevolmente "L'acchiappadenti-Tooth Fairy", si dimostra essere l'unico vero erede di un cinema d'azione in cerca di nuovi volti, aspettando che le vecchie leve de "I Mercenari" tirino le cuoia. I comprimari sono o insignificanti o sgradevoli, sopratutto il shakespeariano John Hurt, probabilmente in vacanza in Croazia e inserito per caso nel cast, assieme alla bella Irina Shayk, modella russa, al suo debutto cinematografico.

 

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