R Recensione

9/10

Harvey regia di Henry Koster

Commedia
recensione di Tomas Bonazzo

Giovane uomo di bell'aspetto, elegante nel portamento e cortese nei modi, Elwood P. Dowd, viene costretto dalla sorella Veta e dalla nipote zitella Myrthie a ricoverarsi in una clinica per malattie mentali. Il motivo dell'internamento? Il gentile Elwood vede ed interloquisce con un Puka, un coniglio alto quasi due metri, malizioso e un po' beone.

La positiva pièce teatrale di Mary Chase (1944) viene realizzata per il grande schermo dal tedesco Henry Koster con un colorito gruppo di attori in cui spiccano il generale James Stewart (Elwood P. Dowd) e Josephine Hull (Veta Simmons) vincitrice, per l'occasione, agli Acadamy Awards come migliore attrice. La commedia degli equivoci o, meglio, degli inseguimenti -per quasi 100 minuti si cerca o insegue qualcuno o qualcosa- è un inno all'amore in tutte le sue forme. Il personaggio chiave attorno a cui ruota la narrazione parrebbe Harvey, coniglio parlante e invisibile, ma di percettibile presenza, invece è il filosofo bonario e suo amico di bevute, magistralmente interpretato da Stewart. Harvey è probabilmente il MacGuffin della vicenda, è l'espediente che innesca il sofisticato gioco di relazioni tra i diversi personaggi, uomini e donne soli. Poco importa se il coniglio è reale o si nasconde nella mente del matto Elwood, ciò che importa è la lezione che si impartisce già dalle prime battute: un postino, fuori dal cortile di casa, afferma banalmente: “Ma che bella gionata!”, ed Elwood: “Be'...non v'è giorno che non lo sia”. In un periodo in cui, nel panorama cinematografico, fioccano pellicole sui supereroi, dotati dei più colorati superpoteri, Elwood possiede -badate bene, tutti ne abbiamo le premesse- l'arma più potente: il dialogo. Parla e si confronta con chiunque, non possiede pregiudizi; diversamente dalla sorella, costretta dalle catene mentali di una società bigotta, dagli obblighi, dalle etichette e dallo spettegolare in genere. Luogo prediletto per il confronto è il bar Charlie, piccolo e accogliente, ma, parimenti, potrebbe esserlo qualunque luogo caldo ed ospitale in cui ci si può rapportare con l'altro senza paramenti o schermature varie; perché, come spiega Elwood ad una giovane coppia, tutti, attorno ad un tavolino, sorseggiando qualche Martini, iniziano a raccontare per ore e ore “delle immense, orribili cose che hanno fatto e delle immense, belle cose che faranno...tutto è immenso perché nessun uomo porta mai niente di piccolo in un bar”. Le persone col matto si aprono perché è lui che crea i presupposti, che dispone le basi per un rapporto, forse non durevole, essendo questi dei perfetti sconosciuti, ma è, comunque, un rapporto vero. Ed ecco che i passeggeri, come cantava Iggy Pop, che sono arrivati, se ne vanno, senza più farsi rivedere, ma con il sorriso. La deliziosa sceneggiatura della Chase offre diversi spunti interessanti a seconda di chi o come la si guarda ma, con il permesso o, meglio, l'invito dello stesso Elwood a citarlo, concludiamo con questo monito: “in questo mondo devi essere o molto astuto o molto amabile. Io preferivo l'astuzia ma consiglio l'amabilità”.

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