A The Start Up - conferenza stampa

The Start Up - conferenza stampa

Qual è stato il suo rapporto con la nascita di The Start Up?

Alessandro D’Alatri (regista): Quando ho letto il copione ho pensato come fosse possibile che si trattasse di una storia vera: la storia di un ragazzo figlio unico di una periferia romana, già tre elementi che riconducevano alla mia vita, quindi mi piaceva questa idea di rappresentare una possibilità di rinascita in questo paese. Questa era una bella notizia! Come un “seme di energia”, non la soluzione del mondo ovviamente.

Perché The Start up, in uscita il 6 aprile ma con già a carico alcune anteprime scolastiche, ha colpito  i ragazzi in un momento in cui il mercato cinematografico è già abbastanza saturo di film con ragazzi che provano sentimenti simili: può essere perchè qui il protagonista non si piange addosso?

Francesco Arlanch (Sceneggiatore): Quando Luca mi ha proposto la storia mi è sembrata già diversa. Poi la scintilla è scattata quando ho conosciuto il “vero Matteo” alla Bocconi anni fa, nel 2013 e mi sono reso conto che molte cose sui ventenni di oggi sono luoghi comuni (sdraiati, comodi, disillusi), quadro che va a cozzare quando vedi che invece si sforzano, lavorano… l’obiettivo non era tanto di raccontare la start up (Egomnia) in sè ma l’inizio della storia.

Matteo Achilli (il vero “Matteo”): La storia è quella, ovviamente la caratterizzazione di alcuni personaggi è fittizia (perché si parla di cinema) ma a me è piaciuto più di tutto il fatto che hanno voluto raccontare la storia di una persona normale che viene da una famiglia normale con tutte le difficoltà. Mi ci sono riconosciuto e penso che molti ragazzi possano riconoscervisi, oltre al fatto che si porta dietro molti valori importanti: la voglia di non lamentarsi e andarsi a prendere quello che si vuole conquistare…

Com’è stato invece l’approccio alla sceneggiatura per voi attori?

Paola Calliari (co-protagonista femmilie): Io non avevo sentito parlare di Matteo Achilli e Egomnia ed è stato molto piacevole scoprire che una storia così possa ancora accadere in Italia. Mi ci sono riconosciuta molto, anche per i miei amici e conoscenti.

Andrea Arcangeli (protagonista): In realtà con Matteo ci siamo conosciuti durante il film e non sapevo niente al primo provino: D’Alatri mi ha raccontato la trama. La prima reazione è stata “Non ci credo che stanno provinando ragazzi come me – non star – e che vogliono raccontare questa storia”. Penso che non sembri un film italiano, è il film di un bravo regista appetibile anche all’estero.

Come è stato girare nella tua città natale, Milano?

Matilde Gioli: Girare un film a Milano per una milanese è stata una grande soddisfazione perchè avere la libertà di mantenere il proprio accento è una chicca per un’attrice. Ho dei tratti simili a quelli del personaggio del film come la determinazione e il carisma, però mi è piaciuto interpretare da milanese soprattutto una bocconiana, io che ho fatto tutt’altra università: i bocconiani sono più “fighetti” ed è stato bello interpretare questa sfumatura.

Luca (nel film Giuseppe, informatico molto sfruttato) tu in The Start Up rappresenti i “non ragazzi”, quelli più grandicelli, giusto?

Luca Di Giovanni: Nel film vengo pagato a nero e sfruttato, forse perché non sono carismatico e non ho voglia di scalare, ma ho voglia di vita, non sono rancoroso. Sono il suo contraltare, sono quasi un grillo parlante che gli dice “Stai attento”.

Matteo Leoni: Il mio personaggio è l’antagonista, ovvero l’opposto. Quello che mi è piaciuto, a parte il cast giovane, è che sono rappresentate in tutte le classi sociali: il personaggio non avrebbe bisogno di studiare, lavorare e invece decide di andare a studiare alla Bocconi e cercare i talenti. Come Matteo Achilli inventa una Start up anche il mio personaggio (Valerio Maffei), scopre il suo talento che è quello di “trovare talenti”. Forse la soluzione è essere un po’ creativi… 

Come è nata l’idea di The Start Up?

Luca Barbareschi: L’idea è nata per la passione verso chiunque non si arrende, l’ho fatto in ogni cosa da produttore, perché penso che il paese abbia bisogno di questi racconti (gli USA lo fanno molto meglio), nei periodi di guerra si alleggerisce, in quelli di fatica si deve motivare: il cinema deve avere la stessa funzione. Penso sia importante creare qualcosa in cui non si rispecchia solo una fascia di pubblico, come la mia che era quasi obbligata ad andare al cinema: adesso è diverso, la gente è schiava dei tablet e ha bisogno di emozionarsi, non solo i giovani…

Io penso che questo paese sia mal-rappresentato dalla comunicazione e invece sia un paese straordinario: vedi i campi relativamente indipendenti dai media (moda, design, microtecnologia). Se vai fuori è pieno di Italiani e di eccellenze ed è quasi “noioso”… Se si prendono i dati alla mano delle Start Up: al nord si lavora molto bene, al centro un po’ meno, al sud praticamente il vuoto… ma perché?

 

Il concetto di meritocrazia e dell’algoritmo di Egomnia come funziona davanti a due casi di persone uguali?

Matteo Achilli: Il processo di recruiting è complesso oggi, ma se oggi da recruiter ho due persone valevoli uguali sul piano formativo, scelgo quella che conosco. Bisogna essere bravi anche in questo, nel networking, perché nell’economia di oggi non ci si può più permettere di prendere “qualcuno di sbagliato”.

Diciamo che all’inizio mi ero reso conto che nessuno parlava con me e nessuno mi dava ascolto, quindi mi sono “mascherato da grande” per sembrare più vecchio.

Per D’Alatri: si è ispirato a The Social Network?

D’Alatri: Più che a quel film mi sono ispirato a Barilla, Rana, Caremoli, alla stagione dei grandi imprenditori italiani… Ogni essere umano e persona è un progetto: per DNA siamo creativi, fantasiosi e coraggiosi.

The Start Up che parla di talento, di ragazzi che studiano, hanno lavorato, che tirano ancora la cinghia, sono affascinato da chi non ha garanzie… Oggi si parla solo di giovani ma ci sono anche molti cinquantenni non rappresentati e disoccupati, come il padre di Matteo in The Start Up. Questo è un film non solo per giovani ma per i genitori e i nonni di quei giovani, che sopravvivono con le loro pensioni.

È vera la scena del ministro, stile avvocato del diavolo? Esistono davvero imprenditori che fanno questa scelta?

Matteo Achilli: La scena è vera.

D’Alatri: Mi sono molto divertito a fare questo film perché era una continuità del mio pensiero e trovo che secondo me quella scena è importante se prendere una scorciatoia o no e bisogna raccontare anche a volte qualcuno capace di dire “no”, però la sera si dorme meglio e alla fine si vive più felice.

Francesco Arlanch: La cosa affascinante della storia non è il successo ma le zone d’ombra e i “patti con il diavolo” che ha affrontato e io mi sono chiesto se e come il protagonista sarebbe stato in grado di affrontare questi momenti di difficoltà.

C Commenti

Non c'è ancora nessun commento. Scrivi tu il primo!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.