A Regression - Conferenza stampa

Regression - Conferenza stampa

Alla Casa del Cinema la stampa italiana ha incontrato il grande regista spagnolo Alejandro Amenàbar, il quale torna al cinema con un nuovo film, Regression, che vede protagonisti Ethan Hawke e Emma Watson in un horror thriller psicologico ambientato nell'America degli anni Novanta.

Qual è la genesi di Regression?

Sono stata sempre molto affezionato fin da ragazzo agli horror: con gli horror e i mistery mi sento molto a mio agio. Già prima di Agorà avrei voluto girare un film sul diavolo. Le ricerche che ho fatto sul satanismo mi hanno condotto in quel caso soltanto alla noia e ho rinunciato. Poi ho saputo dell'aspetto degli abusi nei rituali e mi è sembrato l'approccio giusto al film, che in questo modo non più solo un horror, ma un thriller psicologico che aveva a che fare con il labirinto della mente, che mi interessa molto.

Tra le tue molte skills artistiche (regista, compositore, sceneggiatore, etc.) quale preferisci?

Per quanto riguarda la musica è già due film che ho rinunciato a comporla... Mi sento più a mio agio e traggo il massimo della soddisfazione lavorando sul set. So bene che per alcuni registi è stressante, ma sembra tirare fuori il meglio della mia personalità.

Nel film è presente la figura di un prete che sembra considerare il diavolo come necessario, è giusta questa impressione?

Ho fatto mia una frase di Guillermo Del Toro che ha detto che esistono due tipi di film sul diavolo: quelli in cui il diavolo proviene dall'esterno e quelli in cui proviene da dentro di noi. Regression fa parte di quest'ultima categoria. Se si gira l'America si può notare la grande influenza delle chiese evangeliche, ma non volevo sottolinearlo troppo. Nel film si notano due istituzioni teoricamente opposte (chiesa e scienza) che cercano di collaborare per ricomporre i pezzi di un puzzle. Tutti fanno errori. Quel che mi interessava era sottolineare l'aspetto psicologico.

Si è ispirato alle streghe di Salem?

Non è stato per me un riferimento diretto. Ovviamente si parla anche qui di una sorta di caccia alle streghe, ma anche qualcosa di molto più sofisticato e che ha molto a che fare con i media e con molti elementi di cui Freud ha parlato.

Qual è la parte più affascinante di questa ricerca psicologica?

Quanto possano essere fragili la mente umana e i ricordi. Siamo abituati a dare per scontato che il cervello sia come un piccolo computer che non sbaglia mai, ma in realtà i ricordi vengono forgiati da desideri e paure. C'è un film poco conosciuto su Freud diretto da John Huston: c'è somiglianza di tematiche e mentre scrivevo il film mi sono ritrovato spesso ad ascoltarne la colonna sonora.

Dove sei riuscito a trovare dei luoghi dalle immagini così esemplificativi dell'America?

Mi piace giocare con i cliché che riguardano satana e il diavolo. Abbiamo tutti immagini incise nella memoria, che traggono spunto dai film e a volte, come in questo caso, succede l'inverso. E ciò vale ancora di più per l'iconografia del satanismo. Il set e l'atmosfera erano fondamentali per la storia, che in realtà è stata girata a Toronto, dove ovviamente splende anche il sole come in ogni altro posto del mondo, quindi non è stato facile.

I protagonisti sembrano spesso che sbagliare per troppa fiducia? E' questo che la preoccupa, anche a livello personale?

Tutti quanti dobbiamo considerare i propri errori perché da essi impariamo e fanno parte della nostra natura. E' normale avere un momento di smarrimento prima di prendere coscienza di averli fatti. Quando ho girato il mio primo film Tesis la mia ossessione era quella di farmi rispettare dalla troupe e mi mostravo sempre come una persona con una grande fiducia in sé. Adesso è quasi il contrario: non voglio che mi vedano come qualcuno che sta più in alto e con cui non si può parlare.

Si è ispirato stilisticamente agli anni Ottanta e Novanta in cui è ambientata la storia?

In realtà no, il mio punto di riferimento sono stati gli anni Settanta, film del genere Tutti gli uomini del Presidente e Il Maratoneta, dove c'è poco movimento di macchina da presa. Forse se ci fosse stata meno musica ciò si sarebbe notato di più. Nei film dell'epoca, come L'Esorcista il diavolo era mostrato come qualcosa di estremamente reale e negli anni Ottanta la chiesa evangelica parlava tantissimo di questo argomento.

Regression è un horror moderno, che cerca la causa delle paure più di provocarle: può essere questa una nuova strada per l'horror?

Quando a New York ho conosciuto Ethan Hawke mi ha confessato che, nonostante avesse recitato in un paio di horror di successo, non gli piacevano i film che spaventavano le persone. Io non ero d'accordo: fin da bambino mi è sempre piaciuta l'idea di essere spaventato da uno schermo. A Ethan è piaciuto proprio questo elemento del film, quelli di smantellamento del meccanismo della paura, ma io penso che bisogna lavorare anche con la propria parte irrazionale, essere aperti con la fantasia. Mi rendo conto però che i miei ultimi film sono dominati dalla questione se credere o meno.

Perché ha scelto Ethan Hawke per il ruolo?

E' un attore che ammiro, anche se non ho scritto il personaggio avendo nessuno in mente. Lo avevo visto nella trilogia di Linklater e avevo capito che aveva la sensibilità necessaria per il progetto. Mi ha chiesto dopo aver letto la sceneggiatura chi era il personaggio. Alla fine abbiamo optato insieme per un'interpretazione minimalista, come negli anni Settanta, e che non tenesse conto del passato del protagonista.

Cosa voleva comunicare con l'immagine finale del penitenziario e del mare?

Mi piaceva l'idea che il penitenziario fosse vicino al mare. L'immagine somiglia molto a quella finale di Mare Dentro: volevo semplicemente che anche in questo caso il mare fosse un sollievo nel finale del film.

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