A Il padre d'Italia - incontro con cast e regista

Il padre d'Italia - incontro con cast e regista

-Domanda: Anche nel tuo primo film Il sud è niente hai trattato tema della paternità, giusto?

Fabio Mollo: Sì, è vero, ne il sud è niente viene affrontato questo tema, ma è trattato dal punto di vista del figlio. Ne Il padre d’Italia invece il tema è raccontato dal punto di vista del genitore, nel momento in cui una generazione smette di essere figlia e diventa genitore, nonostante la precarietà che caratterizza questa generazione. Una precarietà che è economica e professionale ma che si riflette anche sull’emotività. Entrambi i protagonisti hanno questa precarietà: Paolo (Luca Marinelli) vive in disparte, quasi non fosse degno di felicità, invece Mia (Isabella Ragonese) è un’esplosione di vitalità e felicità, esplosione questa che investe in pieno Paolo, che si lascia contagiare e trascinare in questo viaggio che lo porta a confrontarsi con tema paternità.

-Domanda: Avevi già immaginato questi attori? Qual è il rapporto del film con i Festival e con la musica?

F.M.: Avevo sempre immaginato questo film sviluppato su due attori all’interno di una storia raccolta. L’obiettivo era quello di lavorare con due signori attori e quando ho avuto l’opportunità, dopo un bel po’ di “pedinamenti” di avere loro - e abbiamo iniziato a lavorare insieme - ho visto che il mio desiderio si stava realizzando... Il lavoro prima delle riprese è stato parecchio lungo: fondamentale è stato lavorare quotidianamente alla messa in scena con loro. Prima di iniziare abbiamo provato davvero molto, prima delle riprese ci siamo letteralmente rinchiusi a Torino, lavorando scena per scena, battuta per battuta: mai una battuta scontata, ogni passaggio emotivo e incontro tra i due era sempre vissuto, discusso. La Berlinale sarebbe stato il Festival ideale per Il Padre d’Italia, ma a differenza de Il sud è niente che aveva avuto un percorso molto festivaliero e fatto poca sala, per questo film mi piacerebbe che fosse il contrario e raggiungesse ed emozionasse anche un pubblico più vasto. Per quanto riguarda le musiche, Mia è una cantante e volevamo che questo il mondo del film fosse cantato da lei: c’è stata una ricerca estenuante per raccontare la storia e la generazione, e ovviamente… una musica che le nostre tasche potessero permetterci.

-Il Padre d’Italia è Road Movie: i due estremi, Torino e la Calabria, sono stati scelti come sintesi?

L’on the road era un elemento fondamentale del film: per me poi una storia d’amore è sempre un viaggio, quindi il viaggio doveva esserci per forza. I due personaggi sono due sconosciuti all’inizio del film mentre alla fine momento si arriva ad un momento molto toccante per entrambi. Attraversiamo l’Italia in modo emotivo e con essa attraversiamo anche la nostra società, o almeno ci piacerebbe provare a farlo. Scendendo a sud i personaggi si spogliano e si lasciano andare alla vita e alle proprie convinzioni, soprattutto Paolo che vive in modo molto castrante: sono poi l’amore e la vita che sta nascendo ad essere più forti di quello che crede.

-Isabella e Luca: cosa vi ha fatto scegliere di far parte al film?

Isabella: Inizialmente mi sono chiesto per un po’ perché avesse pensato a me per questo ruolo: non mi era mai capitato di essere chiamata per un personaggio così diverso da me come energia e ruolo. Anche se in realtà Mia più va a sud, più diventa materna con Paolo, all’inizio è abbastanza disturbante, non ha regole: mi attraeva la sua “pericolosità” ma mi faceva anche paura. È molto difficile pensare ai due personaggi singolarmente. Trovo bellissimo che siano estranei (con cui talvolta c’è una sorta di intimità più forte rispetto a legami più stretti d’amore e d’amicizia) e penso tra di loro ci sia il classico corto circuito/colpo di fulmine di quando trovi la persona nel momento giusto. Si trovano davanti ad un baratro entrambi, si riconoscono in maniera quasi animale, istintiva, senza parole. Dal punto di vista di Mia mi piace pensare che istintivamente faccia questo viaggio per scoprire la bellezza dell’animo di Paolo, perché la giovane donna riconosce in lui una persona buona, un tipo di persona che non le capita spesso di incontrare. È riuscita a vedere qualcosa oltre la sua rigidità e l’attrazione tra loro sta nel completarsi a vicenda. Lo vedo come viaggio di due angeli custodi: l’amore significa prendersi cura di qualcuno.

Luca: È stata la sceneggiatura, come sempre, a convincermi. Se una sceneggiatura mi piace, mi sento coinvolto, la voglio fare. Ho letto la sceneggiatura e c’erano delle esplosioni emotive dentro, dopo aver letto mi sono emozionato. Viene affrontato questo tema che fuori dall’Italia sembra normale (in Germania per esempio un gay pride viene mostrato per 30 sec al TG poiché una cosa normale). Questa storia non è solo una storia omosex, ma è una storia che parla dell’amore verso se stessi e verso le persone: la vita è l’amore che tu crei amando le persone… Incontrare Fabio è stato fondamentale: ti deve in qualche modo piacere il regista con cui vai a girare il film, abbiamo cominciato a parlare di tutt’altro invece che del film e si è instaurato questo rapporto forte tra noi tre in cui si provava spesso a scontrarci. Anche l’elasticità di Fabio mandare a quel paese una scena e rifarla il giorno dopo e poi neanche metterla nel film: tutti questi elementi mi hanno convinto, però è importante cominciare a parlare di questo tema con grazia senza puntare il dito contro nessuno, senza eccessi e con delicatezza, come ne Il Padre d’Italia. Cosa Paolo vede in Mia? Una parte della sua vita che non conosce o non ha ancora percorso: come gemelli in paura, entrambi hanno inconsciamente bisogno di qualcuno, si riconoscono come quando conosci qualcuno e ti sembra di volerlo proteggere da sempre e si donano l’uno all’altro.

-Donatella Botti – produttrice Biancafilm – è stato un anno un incubo per il produttore?

Donatella: È giusto provare prima di girare, di modo da modificare la scrittura un po’ durante preparazione. Non si trattava comunque di un film facile perché appunto attraversa l’Italia da nord a sud… Oltre all’aspetto artistico c’era anche non da meno quello pratico, quindi abbiamo lavorata alternatamente ai due aspetti già dalla preparazione e pre-produzione.

-La scelta della musica e dei brani musicali è molto azzeccata: c’è un collegamento con la Berté cantata da Luca in Lo chiamavano Jeeg Robot?

Fabio Mollo: musica: Il richiamo a Loredana Berté da calabrese l’ho sentito da subito: in fondo Mia è come se fosse un po’ la Bertè agli occhi di Paolo, così trasgressiva. Ci piaceva mettere in scena questo richiamo agli anni 80 che sia nella musica elettronica che nei costumi e nelle atmosfere.

-A quali film si è ispirato maggiormente?

Fabio Mollo: In realtà sono due le grandi reference: Una giornata particolare di Ettore Scola e Il ladro di bambini di Amelio, film molto importanti che riecheggiano nel film ma con il taglio del film è molto più europeo contemporaneo…

-Cosa rappresenta il coro femminile che i protagonisti incontrano alla fine?

Isabella Ragonese: Viene sfatato il mito della famiglia del nido dove tornare a casa. Si dimostra qui anche luogo da cui fuggire: alla fine ognuno si porta la propria famiglia nella testa che ti dice che stai sbagliando e quello del coro è passaggio bellissimo che spiega molto delle difficoltà di Mia. Volevo sottolineare anche il fatto che siamo stati molto fortunati, Fabio ha creato anche un gruppo di persone capaci di un’adesione non comune, in ogni fase del film e non ci siamo mai sentiti soli. Per quanto riguarda la collaborazione con Luca è bello trovarsi con un attore che fa accadere qualcosa: con lui non è mai solo interpretare ciò che p scritto ma senti che sta succedendo qualcosa in quel momento.

Luca: La sceneggiatura pur essendo bellissima è sempre un qualcosa di scritto che va poi messo in atto: alcune volte certe frasi devono essere agite in una maniera diversa, ma questo accade anche fisicamente quando si è in scena: a volte si improvvisa.

-Avete preso ispirazione dalla filmografia di Xavier Dolan?

In realtà sì, abbiamo visto tutti e tre insieme Laurence Anyways e abbiamo insistito tutti e tre a dare a questo film questo taglio, anche perché Xavier segue molto gli attori e io mi sono sentito di fare così avendo il privilegio di lavorare con attori di questo livello.

 

C Commenti

Non c'è ancora nessun commento. Scrivi tu il primo!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.