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8/10

Apri gli Occhi regia di Alejandro Amenábar

Giallo
recensione di Massimiliano Rosini

Cesàr (Eduardo Noriega) é un giovane madrileno, piacevole d’aspetto, ricco da parte del padre e desiderato dalle donne: il tipico ragazzotto a cui sembra che nulla di male possa accadere…

Finché un giorno, a una sua festa, conosce la semplice e sbarazzina Sofia, e se ne innamora.

La sera stessa il giovane accetta un passaggio in macchina da una sua spasimante e amica, Nuria, ma la vettura esce di strada, e César resta orribilmente sfigurato. La ragazza potrebbe essere morta ma forse no.

In carcere uno psichiatra (C. Lara) cerca di fargli ricordare quel che gli è accaduto, ma anche la sua stessa esistenza reale è messa in dubbio e Cesàr avrà la vita davvero impossibile...

Chi sono veramente le due donne che ruotano intorno alla sua vita? Sofia esiste realmente o é solo una proiezione della sua mente sconvolta?

Apri gli occhi‘ oltre ad essere il titolo del film, é anche la suoneria registrata nella sveglia del protagonista da una voce femminile (probabilmente di Nuria), ma anche una frase emblematica e ripetitiva, quasi come una sorta di avvertimento rivolto allo spettatore per prepararlo a qualcosa capace di far crollare le proprie convinzioni.

Il fulcro su cui ruota la vicenda, che si sviluppa come un mistery-thriller intriso da un pizzico di fantascienza, sembra essere un normale triangolo amoroso.

Cesàr si trova di fronte ad una scelta, a un bivio: da un lato vi é Nuria che rappresenta la passione, il desiderio, la trasgressione e l’avventura, dall’altro Sofia (una giovanissima Penelope Cruz) che incarna l’esatto contrario: la stabilità, la dolcezza e la modestia.

Un tema importante toccato dal film é (fra gli altri) l’amicizia, ossia quella fra il protagonista e Pelayo, dapprima leale ed affiatata, ma che in un secondo tempo viene progressivamente tradita dalla brutta piega e dalla ‘distorsione razionale’ degli eventi.

Da notare la scena in cui, rannicchiato e schiacciato sul pavimento (l’unica cosa che sembra a lui reale..) Cesàr parla controvoglia al dottore del carcere dopo essere stato accusato di omicidio, con il volto coperto da una maschera di lattice per nascondere il viso atrocemente sfigurato.

La figura dello psichiatra diventa fondamentale per Cesàr in quanto in un primo momento si tratta solo di un rapporto professionale fra medico e paziente, ma in secondo luogo assume un’identità paterna per lui e finisce per fare parte del suo claustrofobico incubo.

La scenografia é semplice ma studiata, adeguatamente caratterizzata per supportare una sceneggiatura che, nella sua complessità, risulta sicuramente di non facile messa in scena.

Molto adatta anche la colonna sonora (curata dallo stesso regista) che risulta molto gradevole, sottile e delicata, impreziosendo le scene più cruciali della pellicola.

Alcuni dialoghi purtroppo suonano un po’ sciatti e banali, ma tutto sommato autentici ed efficaci. Il doppiaggio italiano poteva essere realizzato decisamente meglio secondo il mio parere.

Il finale, scioccante e rivelatore, spiega la soluzione del puzzle rimettendo insieme quei pezzi che lo spettatore, ubriacato nell’ ultima mezz’ora di visione dalle numerose situazioni oniriche, si era giustamente perso per strada; nello stesso tempo offre anche uno spunto a chiedersi se quella che noi consideriamo realtà non sia solo un’illusione.

Risuona anche qui la ridondante frase su schermo nero ‘apri gli occhi..’” che questa volta sembra sia rivolta anche a noi stessi, al nostro inconscio, come se fossimo stati ipnotizzati per quasi tutto il tempo dallo stesso regista insieme a Cesàr.

Note:

Il film fu presentato al Festival del cinema di Venezia. Il film fu campione di incassi a Madrid, dove superò anche Titanic di James Cameron che usciva nello stesso periodo nelle sale.

Piacque così tanto all’attore Tom Cruise che nel 2001 volle girare e interpretare un remake, intitolato “Vanilla Sky“, più patinato e “sofisticato” rispetto a quello del regista spagnolo, senza però riuscire a ricreare lo stesso successo e soprattutto la stessa atmosfera del predecessore.

Un’opera di notevole fascino e originalità, considerata l’età dell’allora ventenne regista Amenàbar, che tratta diversi temi delicati come i sogni, la morte, l’amore, il sesso, e sentimenti come la felicità e l’amicizia, che, nella società attuale, spesso e volentieri rischiano di venir banalizzati e derisi.

A mio parere un film onesto, di piacevole intrattenimento, che rimarrà a lungo un punto di riferimento per i produttori di quel cinema ambizioso che vuole sì essere introspettivo e mettersi al servizio degli attori, ma anche emozionare il proprio pubblico.

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Slask 8/10

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