A A proposito di Suicide Squad

A proposito di Suicide Squad

Vorticoso, deludente, troppo dipendente dai ritmi di un videoclip o di un videogame, confusionario. Sul terzo film della nuova fase cinematografica DC è stato detto di tutto e di più, complice forse un troppo zelante David Ayer (Fury) che, durante una conferenza stampa definirà il film come "Il capolavoro capace di cambiare le carte in tavola nell'universo DC" aggiungendo un volante ed immediatamente ritirato "Fuck Marvel!". Qui su Storiadeifilm.it abbiamo già una recensione dedicata. Dal mio punto di vista, vorrei provare a leggere alcuni aspetti e alcune scene del film (ATTENZIONE SPOILER!) tramite uno dei testi di teoria cinematografica più autorevoli della contemporaneità. Si tratta di "Piacere Visivo e Cinema Narrativo" di Laura Mulvey (1978). Testo scritto in un'epoca di enorme cambiamento nell'ambiente della lettura cinematografica ma, anche e soprattutto, in un periodo di grandi mutamenti rivoluzionari per le donne di tutto il mondo, lo studio della Mulvey essenzialmente propone un nuovo tipo di sguardo diretto ai film dei grandi maestri, quali Alfred Hitchcock, Frank Capra o Josef vonSternberg; uno sguardo che propone una nuova lettura direzionale, dove il sesso maschile e femminile giocano due ruoli ben divisi. In parole molto veloci, il lavoro della Mulvey si muove su tre direzioni, che vado brevemente a sintetizzare.

1. L'uso politico della psicoanalisi: non estranea alla lettura filmica in termini psicoanalitici, la Mulvey propone l'applicazione delle teorie di Sigmund Freud ad un ambito politicizzato. Difficile non trovare un corrispettivo di questo passaggio teorico - seppur ormai anch'esso datato - all'interno del cinefumetto di Ayer (e, se avrò modo di illustrarlo, anche all'interno di altri cinefumetti); guardiamo in particolare la criticata, problematica, terribile relazione tra il Joker (Jared Leto) e la bellissima Harley Quinn (Margot Robbie). Lei, nata Harleen Quinzel è la psichiatra del folle super villain, che la circuisce nel corso dei loro incontri terapeutici all'Arkham Asylum, facendole credere di essersi innamorato di lei e costringendola a liberarlo. In uno dei loro ultimi incontri il Joker chiede alla bella dottoressa un mitragliatore; segue una folle sequenza coi criminali del Circo del Joker che distruggono il carcere, liberando il loro capo. Ora, in un prodotto a mio parere strutturalmente debole come Suicide Squad, questo elemento politicizzato e anarchico non risalta come dovrebbe. Mi dispiace, ma sono costretta a tirare in ballo lo splendido Joker del compianto Heath Ledger all'interno de Il cavaliere Oscuro di Christopher Nolan: qui l'intento politico è evidente. Il Joker non uccide o distrugge per un personale tornaconto, ma per dimostrare la potenza terribile del caos.

2. Il piacere del guardare: e fino a qui nulla di nuovo, il cinema soddisfa in primis un desiderio di guardare, di spiare insito nell'essere umano. Interessante notare, in Suicide Squad, quanto tutto questo si spinga oltre, introducendo esclusivamente attraverso una descrizione visiva i personaggi femminili del film. Lo sguardo della macchina indugia per lunghissimi secondi sui corpi di Margot Robbie, Cara Delevingne (Incantatrice): corpi già conosciuti dal grande pubblico, la prima grazie alla celeberrima sequenza di The Wolf of Wall Street, la seconda, top model di fama mondiale. Nei suoi Tre saggi sulla teoria sessuale (1905), Freud isolava la scopofilia come una delle componenti istintuali della sessualità che esistono come pulsioni in modo affatto indipendente dalle zone erogene, e associava la scopofilia con l'assumere altre persone come oggetti, sottoponendole ad uno sguardo di curiosità e controllo. Così, nella sequenza serrata durante la quale i membri della Squad indossano i loro panni da combattenti, tutti si immobilizzano a guardare Harley Quinn mezza nuda, indossare la maglietta oramai già cult Daddy's lil' monster. Gli istinti sessuali nel film si concentrano palesemente sulla figura di Harley Quinn, nonostante sia chiaramente una donna disturbata, e i processi di identificazione hanno qui un significato simbolico che articola il desiderio. Il desiderio, nato con il linguaggio, consente la possibilità di trascendere l'istintuale e l'immaginario, ma il suo punto di riferimento rimanda a quello che Freud chiama "il complesso di castrazione". Quindi lo sguardo è paranoide e pericoloso, proprio come Harley, Incantatrice e non dimentichiamoci di Katana (Karen Fukuhara), guardate, rimirate, spogliate mille volte dai personaggi maschili del film.

3. La donna come immagine, l'uomo come supporto: nell'agghiacciante sequenza che segna per sempre la morte di Harleen e la nascita di Harley Quinn, il Joker chiede alla dottoressa "Sei disposta a vivere per me?", facendola poi gettare nella celebre vasca di acido che aveva precedentemente sfigurato anche lui. Qui l'ambiguità della relazione tra i due personaggi più amati del film si palesa in tutta la sua forza estetica: scena visivamente perfetta, forse unicum nel film (accompagnata dalle note di Gangsta di Kehlani "I need a gangta to love me better..", chiaro rimando alla citazione di Scarface riguardante l'intero personaggio del Joker), qui la figura femminile ne rappresenta il baricentro visivo. I dialoghi (presentanti una serie di problematiche di credibilità e, nella versione per l'Italia, anche di traduzione) sono sintomatici di questa struttura patriarcale, celata dietro alla centralità data solo dal punto di vista della promozione alle figure femminili, ancora una volta, particolarmente a Harley Quinn. Durante la scena di presentazione proprio della folle compagna del Joker, sentiamo la terribile guardia corrotta Griggs rivolgersi ad un'ancora prigioniera Harley: Griggs: Oh my God. You are really in bad shape upstairs, lady. Harley Quinn: Gonna come in here and tell me that? Or are you too scared? Come on, I'm bored. I'm bored. Play with me! Griggs: You put five of my guards in the hospital, honey. No one's gonna play with you. You sleep on the ground. Harley Quinn: I sleep where I want, when I want, with who I want. Griggs: Oh man, I love you. Griggs: Alpha-1, hit her! Vediamo quindi come la forza visuale del personaggio femminile, con in aggiunta la sua presunta forza verbale, si scontri inevitabilmente con la forza bruta delle guardie uomini. Ancora, al momento dello scontro finale, vediamo l'Incantatrice in procinto di concludere il suo incantesimo e il personaggio di Deadshoot (Will Smith) dire qualcosa tipo "Devi andare dalla tua donna, darle due calci e dirle di smetterla". Se da un lato abbiamo tre personalità femminili passive, la controparte viene rappresentata dalla figura di Amanda Weller (Viola Davis), perfida mente dietro i gesti del mercenario Flag, che ubbidisce effettivamente ai suoi ordini come un cagnolino. Dal punto di vista visivo, però, le scene dedicate all'agente Weller non colpiscono la mente dello spettatore, che la guarda distrattamente, non registrandola come essere umano femminile, ma solo in quanto personaggio ambiguo e tendenziamente negativo. Nel corso della storia del cinema il paradigma uomo/personaggio attivo donna/personaggio passivo si è decisamente allentato, pensiamo a titoli come Kill Bill, Hunger Games, Zero Dark Thirty e così via. In Suicide Squad, invece, in conclusione posso dire che il paradigma di una donna passiva e strettamente legata più al visuale che al narrativo, all'azione, torna, forte e legato anche ad una forte aspettativa del pubblico, soddisfacendo il bisogno voyeuristico della macchina da presa.

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