A A proposito di Il Cavaliere Oscuro - Il ritorno

A proposito di Il Cavaliere Oscuro - Il ritorno

Il cavaliere oscuro – Il ritorno rappresenta il terzo tassello della saga cinematografica dedicata a Batman e targata Christopher Nolan. Al regista britannico è affidato l'arduo compito di restituire all'universo del super eroe tutta la suggestione e il fascino assopiti dalle pittoreche pellicole di Joel Schumacher Batman Forever (1995) e Batman & Robin (1997), che tra balletti, canti e variegate “macchiette” appaiono come una moderna rivisitazione della cena di Trimalcione.

Ci prova Nolan e ci riesce. Concepisce un primo film di transizione: Batman Begins (2005). Ampiamente positivo. Narra le vicende del giovane miliardario Bruce Wayne, ormai universalmente note al grande pubblico, ma in una chiave nuova, più intimistica. Lontano anni luce dalle carnevalate di Schumacher, il film adotta atmosfere cupe, indispensabili per trasmettere allo spettatore gli stati d'animo propri del protagonista, alle prese con una vita devastata. Da incorniciare le scene in cui, quasi allo stato brado, si ritrova in Estremo Oriente alla ricerca di un qualcosa a cui non sa dare un nome né un perchè, per poi ritrovarsi sulle tracce di un raro fiore azzurro che gli consenta di arruolarsi presso una scuola di monaci-guerrieri, arroccata su una cima innevata e pressoché inaccessibile. Un esperto Ra's al Ghul gli fa da mentore, insegnandogli i segreti del combattimento ninja, oltre a guidarlo psicologicamente nella sua eterna lotta contro i fantasmi del proprio passato. La saga prosegue con il pluriosannato “Il cavaliere oscuro”, campione di incassi e di critica, non a torto. É qui il Joker a fare da mattatore, interpretato in maniera devastante dal compianto Heath Ledger. È lui che, coadivuato dal brillante Due Facce di Aaron Eckhart, ruba letteralmente la scena a tutti gli altri personaggi, lasciando lo stesso Christian Bale/Batman senza il terreno sotto i piedi. Per quanto dotato di una sceneggiatura e di una scenografia eccellenti, forse il limite di questo film è di aver tralasciato il percorso di Bruce Wayne intrapreso in Batman Begins, col quale, infatti, non ci sono evidenti collegamenti. L'uomo-pipistrello appare qui come un canonico paladino della giustizia in un contesto che, invece, si infiamma di fronte all'indagine più sfrontata della pura follia che può impossessarsi di un uomo o, peggio, di un super criminale, follia che raggiunge un tale livello da fare apparire indifferente il passaggio dalla vita alla morte o dalla morte alla vita.

Il cavaliere oscuro – Il ritorno è stato lo step finale necessario a riprendere quanto iniziato in Batman Begins e a far tornare il protagonista pienamente al centro della ribalita. Sono trascorsi otto anni dai tragici eventi culminati nella morte di Harvey Dent/Due Facce. Bruce Wayne è un uomo in totale disfacimento fisico e psicologico, auto-reclusosi nella sua magione in uno stato di non vita, probabilmente l'unico che gli consenta quantomeno di sopravvivivere. Sulle sue spalle il peso di aver vinto attraverso una sconfitta, l'addossamento della responsabilità degli assassini compiuti da Due Facce. Sulle sue spalle il peso della figura di un super eroe che, in perenne disputa tra elementi di esaltazione e di disperazione, è risultata ingestibile e letale per un uomo solitario, sinistrato dal peso di un passato orribile. Sulle sue spalle, soprattutto, la morte dell'amore della sua vita, Rachel Dawes. Troppo lancinante il personale convincimento di averla, in qualche modo, trascinata verso la morte a causa delle azioni e reazioni messe in moto dal super eroe da lui stesso creato. Ancor di più, forse, il rimpianto di non essere mai stato capace di esternare i propri sentimenti verso di lei, continuando a vagare impotente nelle desolate praterie della propria solitudine.

Ed ecco, dunque, un casalingo signor Wayne, con tanto di vestaglia di flanella, trascinarsi faticosamente tra le facoltose stanze del proprio palazzo supportato da un bastone da passeggio, ingobbito, stanco, rassegnato, sconfitto. Il sovvertimento di una condizione che appare ormai da anni stagnante giunge inaspettato nella persona di John Blake, un agente di Polizia rimasto anch'egli orfano in tenera età. Il dialogo tra i due è toccante. Blake narra un episodio della sua fanciullezza, quando riconobbe nel miliardario Bruce Wayne, in visita presso il suo orfanatrofio, lo sguardo ingannevole che, dietro una maschera di tranquillità e rilassatezza, celava i patimenti di un passato mai sopito. Rivelazioni alle quali Bruce reagisce inizialmente in maniera apparentemente impassibile, trincerando i propri sentimenti come è ormai sua abitudine da anni. Lo vediamo, però pian piano scogliersi di fronte alle parole del suo interlocutore, che lo toccano fin nel profondo, tradendo la propria profondissima sensibilità emotiva, volutamente e sistematicamente seppellita nel tempo nella propria amarezza. Alla richiesta del poliziotto di tornare a vestire i panni di Batman, il magnate si irrigidisce, come a richiudersi in sé stesso di fronte a un eventuale ritorno verso le emozioni che la vita sa dare, voltandosi in silenzio verso l'orizzonte, per fare intendere di non essere stato minimamente scalfito da quelle parole. La sua profondità d'animo e i suoi freni inibitori rispetto alle proprie emozioni convinvono in quell'uomo in vestaglia, voltato, enigmatico, affascinante quanto inquitante, attimi di silenzio in cui ci si chiede quale delle due sfere potrà prevalere in quell'uomo perennemente in bilico. La risultante è forse l'unica adatta a quel personaggio cosi controverso: “Perchè ha detto che l'istituto per ragazzi era sovvenzionato dalla Wayne Foundation?”, egli proferisce, senza voltarsi, per preservare la sua impassiblità di fronte agli eventi, ma allo stesso tempo per far intendere, a suo modo, quanto avesse apprezzato l'intervento dell'agente, nonché il suo spessore morale. Un atteggiamento che richiama la sua filantropia verso il prossimo, tenuta rigorosamente segreta, il suo battersi dietro una maschera, senza godere degli onori in prima persona. Un atteggiamento di un personaggio super partes rispetto agli eventi della vita, apparentemente proprio di un uomo fermo e risoluto, ma nato in realtà come unico efficace contraltare ai demoni del passato.

È il momento di svolta. Bruce si ridesta dal torpore, tra lo stupore dell'anziano maggiordomo Alfred: torna alla vita pubblica recandosi in ospedale per la gamba malcurata, si presenta, incappucciato, dal commissario di Polizia James Gordon (ricoverato dopo un'aggressione capeggiata da un misterioso personaggio, Bane) fa visita al responsabile scientifico della propria azienda, Lucius Fox, già fornitore del suo equipaggiamento da super eroe, dal quale riceve delle simpatiche esortazioni a rimettersi in attività. Emozionanti i momenti in cui decide di tornare a essere Batman. Davanti agli occhi di Alfred sperimenta un tutore per la gamba malconcia: la gamba, ora, funziona perfettamente e in lui è sinonimo della propria rinascita, del proprio ritorno. Distrugge con un solo calcio parte di una colonna esclamando “Non è male...non è male per niente” come espressione di liberazione dopo anni di quiescenza. Colpisce il suo incedere verso la cascata della sua caverna, alle parole di Alfred che lo ammonisce circa la pericolosità del suo avversario, Bane, e del suo eventuale rimettersi in gioco. La preoccupazione del fedele maggiordomo è sovrastata da quella figura, ancora una volta, e non a caso, di spalle, che con incedere lento e meditato, si avvia verso la cascata come se si stesse accumulando, particella dopo particella, tutta quella voglia di rinascita che forse albergava da sempre in lui, puntualmente affossata, però, dallo scoramento e dall'abbattimento. I suoi passi sono lenti, accurati, quasi studiati, come se ognuno di esso incarnasse un singolo segmento della propria ripresa psicologica. Più di tutto, le mani bagnate passate tra i capelli, a testimonianza di una nuova linfa vitale pronta a scorrere sorprendentemente sulla sua persona. Ed eccolo qui, Bruce Wayne, in completo nero, motivato, vigoroso, di fronte alla propria armatura che risorge letteralmente dalle tenebre, dall'interno di una teca sotterranea.

Batman ritorna tra lo stupore generale: preleva a velocità supersonica un criminale dalla propria moto, appare, monumentale e imperturbabile, tra un oceano di poliziotti pronti a catturarlo. Ingaggia un brutale duello con Bane, dal quale, però, esce duramente sconfitto. Feroce mercenario il non altrimenti conosciuto Bane. Scelta astuta e pertinente, quella del regista Nolan. Bisognava in qualche modo cercare di emanciparsi dall'enorme eredità del Joker di Ledger della precedente pellicola: l'unica soluzione plausibile era la scelta di un personaggio che fosse esattamente agli antipodi. Si ricorre, dunque, a Bane, già apparso nell'infausto Batman & Robin di Schumacher sotto l'italianizzata denominazione di “Flagello” nel ruolo di un cavernicolo tirapiedi capace solamente di fracassare muri e di farfugliare, a stento, qualche parola. Qui, invece, appare come un colossale testafina, scaltro, irremovibile, imponente, impassibile. Dal suo volto coperto da una tecnologica maschera non traspare alcuna imperturbabilità. Sembra quasi una macchina progettata per il suo unico scopo, ovvero distruggere Gotham come espressione di rivalsa rispetto ai patimenti subiti un tempo. Imprigionato e forse addirittura nato in un profondo pozzo sito in una non identificata località straniera, riesce facilmente a sopraffare Batman, fracassandogli addirittura la maschera e scaraventandolo in un Inferno sulla Terra: il pozzo, per l'appunto. È qui che Bane spiega l'angosciosa dinamica della prigione: la possibilità di vedere cosi vicino sopra di sé il varco verso la superficie è tragicamente vanificata dall'impossibilità di uscirne. I prigionieri sono dunque destinati ad una eterna dannazione, condannati a dover ammirare il fascino della libertà, senza avere la possibilità di raggiungerla.

Da questo momento in poi, per ben ventuno minuti, eccezion fatta per un breve frame, la figura di Batman è lasciata al proprio destino. Eventi tumultuosi travolgono il destino di Gotham, vengono mostrate azioni e strategie di tutti gli altri personaggi, ma Wayne è ignorato, come precipitato in una dimensione dalla quale non si può più venir fuori. É qui la grandezza di Nolan: non si tratta della solita sconfitta temporanea del filmetto di turno, dopo la quale l'eroe designato riesce banalmente a riemergere per poi travolgere tutto e tutti. Qui la sconfitta è letale, oseremo dire definitiva, il fondo viene toccato con mano. Le immagini di un Bruce immobilizzato a causa di una vertebra che gli fuoriesce dalla schiena, mentre penosamente cerca inutilmente di trascinarsi possono essere comprese pienamente solo da uno spettatore che ha a sua volta toccato il fondo nella vita. Si tratta di quei momenti in cui qualsiasi sogno o aspettativa della propria esistenza svanisce all'improvviso, senza alcuna possibilità di poter tornare indietro. La mente si offusca di fronte alla mancata accettazione di una realtà talmente assurda da apparire irreale. Ci si sveglia sperando con tutto il proprio Io di aver fatto solo un brutto sogno, ma la crudele realtà ti rende completamente impotente e solo. L'intervento di un leale prigioniero, che gli fa grossolanamente rientrare la vertebra con un pugno ben assestato, catapulta Bruce in uno stato visionario, durante il quale ha di fronte a sé un'apparizione di un redivivo Ra's al Ghul che lo sbeffeggia sottolineando il suo fallimento. L'immagine di un Bruce allo stremo delle sue energie fisiche e mentali ci fa toccare con mano l'espressione di un uomo che assiste ai propri peggiori incubi dal profondo della propria disperazione.

A conferire un'atmosfera mitologica e ancestrale alla dimensione della prigionia è la storia dell'innocente: un bambino, figlio di una madre condannata alla reclusione nel pozzo e successivamente sopraffatta dai prigionieri, rappresenta l'unico individuo ad essere riuscito nell'impresa di compiere il salto verso la terra ferma, sorretto dalla consapevolezza di non aver alcuna altra possibilità di sopravvivenza.

Dopo molti mesi di atroce agonia, guarita la schiena, ritemprato nel corpo e nello spirito, assistiamo ad un allenamento di un rinvigorito Bruce Wayne, tra lo scetticismo dell'amico prigioniero. “Non devo morire qui dentro”: è questa la tenace risposta di Bruce al suo interlocutore. La sua forza di volontà, la sua tempra, la sua voglia di lottare in una situazione di estrema difficoltà possono far venire in mente ad ogni spettatore che abbia dovuto subire un percorso di vita accidentato quanto commovente possa essere stata la propria lotta di fronte a un obiettivo percepito come utopistico, senza poter contare su alcun appoggio dal mondo esterno. È una lotta solitaria dove il proprio Io è contendente e sfidante al tempo stesso. I suoi vari tentativi falliti di risalita del pozzo testimoniano l'umanità del personaggio, il realismo che Nolan conferisce all'eroe per farci comprendere come non esistano super eroi infallibili, quanto persone che si mettono alla prova con tutte le proprie forze per raggiungere un obiettivo.

È un anziano prigioniero, medico della prigione, a confidare a Bruce la necessità di un salto dell'anima, non basato unicamente sulla forza fisica: è lui a rivelarci il segreto della romanzesca figura dell'innocente – il salto privo della corda, un autentico spartiacque tra la vita e la morte. Paradossalmente, è proprio la tranquillità di essere aggrappato ad una corda che impedisce alla propria anima di poter sviluppare tutte le potenzialità sovraumane indispensabili per compiere il salto verso la libertà.

Convintosi, notiamo un Bruce che si approccia in maniera molto più metodica e accurata rispetto ai tentativi precedenti. Una simpatica esortazione dell'amico prigioniero e il conseguente sorriso di Bruce ci fanno entrare pienamente nella psicologia dei due personaggi, restituendoci l'idea di come il prigioniero intravedesse lo spessore morale di Batman, nonché di quanto lo stesso Bruce fosse orgoglioso del proprio percorso di vita,

compiuto in assoluta solitudine e degno di essere stato vissuto. Parte la scalata. Il saggio e fermo “No” all'offerta della corda è seguito da un'arrampicata lenta, studiata, ricca di consapevolezza propria di un uomo nuovo, consapevolezza sia della difficoltà dell'impresa che delle proprie potenzialità. In cima, sul muretto dal quale compiere il salto, incitato dalle urla degli oppressi prigionieri al di sotto, il colpo di scena: uno stormo di pipistrelli sbuca improvvisamente da un varco, tra lo stupore di colui che li ha assurti a simbolo, volando indomabilmente verso l'uscita del pozzo. In un'immagine sublime, decine di pipistrelli volano all'impazzata verso l'azzurro del cielo, in una esaltante e simbolica fuga verso la libertà. Dopo un attimo di silenzio, l'eroe riesce incredibilmente a saltare dal lato opposto, compiendo l'impresa impossibile. Tra le urla a

squarciagola dei detenuti, si scorgono gli occhi sgranati del prigioniero che ha assistino Bruce durante i mesi di agonia. Il suo stupore immenso è l'immagine di come si possa restare attoniti nell'assistere a come la virtù morale di un semplice uomo possa consentirgli di raggiungere un obiettivo considerato assolutamente pazzesco.

L'uscita dal pozzo avviene con uno slancio liberatorio, in primo piano le gambe del protagonista che lo spingono verso la terra ferma. Esse rappresentano, ancora una volta, il realismo di un personaggio che ha dovuto ripartire da zero, che con il semplice apporto del proprio fisico ha dovuto compiere un'impresa irreale. È come se il personaggio si rendesse conto di aver potuto contare solo su sé stesso, ed è egli stesso che decide di attribuire al proprio corpo un tributo, un ringraziamento tramite uno slancio plateale. Sebbene non visibile da alcuno, nel suo profondo sente di voler essere sia interprete che testimone di un gesto simbolico. Infine, finalmente alla luce del sole, dona la libertà agli altri prigionieri lanciando loro una corda, per poi, ancora stupefatto di sé stesso, lanciarsi in una romantica corsa verso l'orizzonte.

Di ritorno a Gotham, veste nuovamente le vestigia di Batman. L'uomo-pipistrello è risorto dalle proprie ceneri, lo vediamo, di fronte a uno stupefatto agente Blake, lottare senza alcun colpo ferire contro ben cinque avversari. Il calcio finale a uno di loro, lento e scenico, è il modo per sottolineare a sé stesso quanto le davastazioni del proprio passato siano ora ampiamente e agevolmente sotto controllo. Un'autentica guerra civile si scatena a Gotham. Batman si misura nuovamente con Bane, in un'agguerrita lotta colpo su colpo. Stavolta è il super eroe ad avere la meglio. Bane, atterrito di fronte al formidabile ritorno del rivale, gli chiede come abbia potuto fare a fuggire. Nella risposta di Batman notiamo tutto l'orgoglio e la sicurezza di una persona che sia letteralmente sprofondata per poi essere miracolosamente riuscita a risalire: “Credevi di essere l'unico...che potesse conquistare la forza per scappare...?”

Ma il pubblico viene spiazzato dalla scoperta della vera identità del leggendario innocente che fuggì dal pozzo anni addietro: si tratta dell'alleata di Wayne, Miranda Tate. Ella non è altro che la figlia di Ra's al Ghul, decisa a vendicarsi delle penurie subite e artefice dell'intero complotto verso la città. Al termine della lotta, dopo la morte di Bane e Miranda, Batman è costretto al sacrificio estremo, trasportare una bomba atomica oltre la baia della città, per riuscire a salvarla. Tempo dopo vengono celebrati i suoi funerali e letto il suo testamento, ma in una scena finale, in bilico tra sogno e realtà, troviamo un Bruce Wayne sorridente e rilassato al tavolino di un bar in compagnia di una ragazza (Selina Kyle, la gatta), mentre scambia un cenno di intesa con il soddisfatto maggiordomo e padre adottivo Alfred. È forse questa la sua vittoria più grande, aver trovato la forza di mettere da parte i demoni del passato per poter affrontare una vita felice.

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