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7/10

Fires on the Plain regia di Shinya Tsukamoto

Guerra
recensione di Alessandro Giovannini

Durante gli scontri nippo-americani nel Pacifico, il soldato Tamura (Shinya Tsukamoto) si trova disperso nella giungla delle Filippine: dovrà attraversare scenari da incubo pur di sopravvivere.

Tratto dal romanzo di Shohei Ooka, già portato sullo schermo nel 1959 dal maestro Kon Ichikawa.  Se si pensa al cinema americano di guerra, non è facile trovare pellicole che mostrino il conflitto bellico nelle particolarità più raccapriccianti: un esempio efficace è il memorabile incipit de Salvate il soldato Ryan, in cui la carneficina è stata mostrata senza tanti complimenti; di solito però, anche quando non si tratta di veri e propri film propagandistici verso le forze armate, è raro vedere eccessi di violenza alla pari del film Spielberg-iano. Il cinema asiatico, che ha una radicata tradizione di exploitation, ha avuto più facilità in questo: basti pensare alla famigerata saga di Men Behind the Sun ad opera del regista di Hong Kong T.F. Mou.

Il film di Ichikawa fece sensazione alla sua epoca per gli scottanti temi trattati (cannibalismo compreso), ma Tsukamoto deve aver pensato che lasciasse troppo all'immaginazione. Così ha deciso di realizzarne un remake ben più esplicito, insomma un remake alla Tsukamoto, di cui ben conosciamo gli eccessi visivi. Il regista parla chiaro: in un'epoca in cui il Giappone sta riscoprendo una vena nazionalistica di stampo ultraconservatore, con il governo di Shinzo Abe che proclama eroi i criminali di guerra responsabili del massacro di Nanchino, il creatore di Tetsuo ha pensato bene di ricordare ai suoi compatrioti ed al mondo in generale quali siano gli orrori del conflitto armato. In quest'ottica ha ritenuto giusto e necessario non nascondere gli orrori del massacro, nè le abiezioni cui può ridursi un essere umano spinto dal più bestiale istinto di sopravvivenza: in un film in cui, alla Kubrick o alla Malick, non si vedono i soldati nemici ma tutto accade entro le fila del proprio esercito, gli orrori paiono ancora più grandi; commilitoni usciti di senno che tentano di uccidervi per mangiarvi: immaginate di vivere una situazione del genere. Siamo negli abissi del delirio, in qualcosa di simile a film quali Apocalypse Now o L'alba della libertà, solo ancor più espliciti graficamente, ancor più violenti psicologicamente. Rinunciando ad alcune sue prerogative stilistiche (forsennata camera a mano, passo uno o altre stranezze di montaggio), il regista nipponico, anche interprete principale, opta per una messinscena più pacata, in immagini dai colori molto saturi che restituiscono l'idea di un ambiente paradisiaco, con il verde acceso della giungla sopra cui si staglia l'azzurro cristallino del cielo. Colori caldi, in apparenza rassicuranti, ma deturpati dal grigio, dal marrone e dal rosso delle montagne di cadaveri in putrefazione che appestano la zona di guerra, attraverso cui il soldato Tamura vagabonda in cerca di salvezza e con sempre meno presenza di spirito. Il film dura meno di un'ora e mezza ma lascia dentro un macigno difficile da scrollarsi di dosso. Troppo estremo per poter sperare di ricevere una larga distribuzione, Fires on the Plain rischia di non vedere mai la luce nel nostro paese. Se tuttavia uscisse, magari in home video diretto, il consiglio di visione è d'obbligo per gli appassionati del regista e per chi abbia voglia di confrontarsi con alcuni degli aspetti più tremendi della razza cui apparteniamo. Sarete ricompensati da molte scene cinematograficamente straordinarie (su tutte l'assalto notturno alla collina, impressionante), offuscate da una certa ripetitività e monotonia della vicenda, fisiologica in un film del genere ma che comunque è giusto segnalare. Inoltre chi non è avvezzo al cinema giapponese potrebbe non apprezzare la recitazione iperespressiva, giudicandola grottesca.

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