A L'altra Heimat - Cronaca di un sogno

L'altra Heimat - Cronaca di un sogno

In uscita nelle sale per un paio di giorni (31 marzo e 1 aprile), la quarta incarnazione del progetto trentennale di Heimat, cui Edgar Reitz ha dedicato quasi tutta la propria carriera, è la prima ad essere concepita espressamente per la sala cinematografica, sebbene anche la prima serie, nata per la trasmissione tv, fosse stata portata nelle sale in 4 parti. L'altra Heimat - Cronaca di un sogno dura "solo" 4 ore, ed è ambientato prima di tutti gli altri, nella Schabbach (paesino immaginario dell'Hunsrück, regione agricola della Germania che ha dato i natali al regista) di metà '800: modeste case di fango e mattoni, oppressione della dominazione napoleonica, economia precaria basata su raccolti spesso insufficienti a sfamare la popolazione, stretto contatto con la morte che è realtà quotidiana, cupo timore religioso, ed un sogno: emigrare in Sud America, terra di favoleggianti promesse di ricchezza ed abbondanza. Questo almeno è il sogno di Jakob, avido lettore affascinato dall'esotico, ma figlio di contadini e perciò costretto suo malgrado a dare una mano alla famiglia lavorando i campi. Patria amata ed odiata, che si vuol lasciare  ma cui si è bene o male ancorati, per legami famigliari e sentimentali o per patriottico senso di appartenenza. Temi sicuramente attuali in un'Europa contemporanea che si trova a fronteggiare quotidianamente ondate di immigrazione regolare e/o clandestina, composta da profughi con speranze simili a quelle dei protagonisti di quest'opera.

Avrei dovuto scrivere una recensione del film, come di consueto, ma l'anteprima stampa è stata funestata da problemi tecnici che hanno impedito per un'ora abbondante la comparsa dei sottotitoli italiani, e non masticando io la lingua tedesca mi sono dovuto affidare all'istinto ed alla libera interpretazione dell'intreccio man mano che si dipanava davanti ai miei occhi; sebbene la trama fosse per sommi capi comprensibile anche così, per correttezza verso i lettori mi limito alla stesura di questo articolo di commento, che omette perciò il giudizio numerico consueto. Posso sicuramente consigliare la visione di questo quarto capitolo anche ai neofiti della saga, poichè essendo il primo in ordine cronologico è perfettamente fruibile da coloro i quali sono digiuni dall'opera di Reitz (peraltro è anche il mio caso). Per di più il film è tecnicamente molto valido, con una serie di scelte estetiche (ricorso al B/N con isolate note di colore, abbondanza di piani sequenza, macchina da presa "fluttuante" che svolazza attorno ai suoi protagonisti e priva di vincoli si libra leggera nell'aria) che concorrono a creare un'impressione di lirismo spesso disancorato dall'esigenza di ricostruzione realistica di un contesto storico, in un anelito di racconto universale.

Le perplessità maggiori derivano invece da un intreccio vero e proprio che rimanda ad innumerevoli storie di amori contrastati (gran parte della vicenda ruota attorno ad un triangolo tra jakob, il fratello Gustav e la giovane Jettchen, contesa dai due) con un approccio un po' schematico e che sa (questo sì) di sceneggiato televisivo d'altri tempi, e da una scrittura che a volte si fa eccessivamente carica, risultando didascalica nei dialoghi o nelle azioni di alcuni personaggi; ad esempio Jakob sogna di fuggire dal luogo natìo = Jakob corre per i campi o nel bosco mimando il volteggiare di uccello: una fastidiosa ridondanza, e ce ne sono parecchie nel corso del film, quasi come se Reitz non si fidasse della capacità del pubblico di capire le situazioni e si premurasse di esplicitarle in tutti i modi (il che mi fa supporre che il suo pubblico ideale di riferimento sia di età avanzata). C'è insomma un'attualità tematica in parte depotenziata da modi desueti di racconto.

Da elogiare le belle prove attoriali (fa macchia la comparsata di Werner Herzog sul finale) anche da parte degli attori più giovani ed un eccellente reparto fotografia, che anche grazie alle camere digitali Arri a 4K è ingrado di confezionare inquadrature di rara bellezza.

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