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7/10

Paradise Beach - Dentro l'incubo regia di Jaume Collet-Serra

Thriller
recensione di Alessandro Giovannini

una surfista braccata da uno squalo si rifugia su uno scoglio, salvata dalla bassa marea. Ha solo poche ore prima che il livello dell'acqua risalga: riuscirà a non diventare cibo per i pesci?

Vorrei iniziare l'articolo sconsigliando in modo particolare la visione della visione doppiata del film, dato il discutubile lavoro che è stato approntato. A partire dall'inspiegabile titolo italiano (infatti la spiaggia non ha nome nel film, e ciò viene ribadito più volte), la versione nostrana di The Shallows va completamente a perdere il senso di una delle prime sequenze del film, un dialogo in macchina tra la protagonista (Blake Lively), una ragazza americana leggermente sbandata e in crisi esistenziale giunta in vacanza in Messico per fare surf in una spiaggia descrittale anni prima dalla madre come luogo paradisiaco, e il suo momentaneo accompagnatore, un nativo del luogo che la sta scarrozzando attraverso la giungla e che quasi non parla inglese. Tutta la sequenza, una delle poche scene di dialogo del film, è imbastita sulle differenze linguistiche e le incomprensioni reciproche, che il doppiaggio distrugge completamente; come se non bastasse ci sono comunque delle occasionali sottotitolature di espressioni in spagnolo pronunciate dai protagonisti, mentre altre sono lasciate senza sottotitoli. Un caos totale che offre una perfetta dimostrazione di quanto l'attività del doppiaggio mortifichi e snaturi l'essenza di una pellicola.

Sul film: il thriller di Jaume Collet-Serra si inserisce in un filone assai rodato di minacce subacquee, declinato in una versione one-woman only dalle dinamiche di assedio alla George Romero: nessuna via di fuga, l'abbandono del rifugio che equivale a morte certa, la necessità di resistere il più possibile ingegnandosi al contempo nell'elaborare una strategia di fuga o di contrattacco, di fronte a una minaccia inarrestabile che conosce pietà o stanchezza. Le idee di sceneggiatura non mancano, e l'inventiva nel vivacizzare una situazione così minima (una ragazza aggrappata ad uno spuntone di roccia) va riconosciuta ed apprezzata. Certo alcuni stratagemmi funzionano meglio di altri: il problema dialogico ad esempio è in parte risolto inserendo un "coprotagonista" silenzioso, un gabbianello ferito abbarbicato a sua volta sullo scoglio ed impossibilitato a volare via. Con lui la protagonista (e lo spettatore) empatizza inevitabilmente, e si sfoga esprimendo i propri pensieri o dichiarando le sue intezioni. Un espediente efficace in grado di intenerire gli animi del pubblico. In altre occasioni tuttavia la protagonista parlerà semplicemente tra sè e sè, e questi momenti suonano troppo come ammissione di incapacità di sceneggiatura di trovare un modo efficace nella comunicazione degli avvenimenti allo spettatore. Dove il film funziona bene è indubbiamente l'ambito sonoro: sia lo score di Beltrami sia il sound design sono di buona fattura, complice una regia che sa come dosare le musiche (malgrado qualche sequenza da videoclip) e i minacciosi silenzi, andando ad istituire anche a livello acustico una contrapposizione tra l'umano (vivace, pop) e l'animale (silenzioso, cupo), differenza che riverbera anche nei cromatismi della contrastata fotografia del film, caratterizzata da una robusta color correction.

Si tratta in definitiva di un thriller situazionale di intrattenimento leggero, cui non è impossibile attribuire valori metaforici (la femmina minacciata dalla pinna-fallo che vuole predarla-possederla) ma non è nemmeno così necessario, quando la tensione è garantita dal più classico dei dilemmi del genere: riuscirà a salvarsi?

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