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R Recensione

6/10

R.I.P.D. - Poliziotti dall'aldila' regia di Robert Schwentke

Azione
recensione di Riccardo De Franco

Il “Dipartimento Riposa In Pace” è uno speciale distretto di polizia situato tra due mondi, quello dei viventi e quello dei morti. Tra le fila del R.I.P.D. vengono selezionati e reclutati rappresentanti delle forze dell'ordine da tutte le epoche che si sono distinti per particolari doti e attaccamento al distintivo: ad essi è affidato l'incarico di tenere a bada i defunti che tornano sulla Terra a fare i loro comodi o a creare scompiglio. Ed è così che i due protagonisti si ritrovano improvvisamente colleghi, solo che uno dei due è uno sbirro moderno, disciplinato e serio, l’altro è uno sceriffo federale dell’America ottocentesca, irascibile e imprevedibile.

Non c’erano grosse aspettative verso questo titolo, anche se Robert Schwentke, regista europeo approdato con un po’ di fortuna a Hollywood, aveva ottenuto diversi consensi grazie alla commedia d’azione RED, andate ben oltre le rosee aspettative al botteghino. E di commedia d’azione trattasi anche in questo caso, perché R.I.P.D., sebbene affondi le sue radici in un fumetto grottesco/fantastico, rientra a pieno titolo nella categoria dei classici buddy movie all’americana. La storia originale presenta sulla carta un soggetto tutto sommato intrigante, e la prevedibile alchimia tra i due protagonisti promette scintille, anche se fin da subito i più attenti avranno notato evidenti similitudini con un altro buddy movie atipico uscito ben 15 anni prima (Men In Black); tuttavia questa somiglianza risale già alle fonti fumettistiche, pertanto non può essere considerata un vero e proprio difetto .

Piuttosto se bisogna proprio puntare l’indice sull’operato di Schwentke la principale critica da muovere consiste proprio nel non aver saputo sfruttare appieno il potenziale del film. Il compito indubbiamente non era facile, da una parte c’era da gestire un film con costi decisamente superiori rispetto ad un comune poliziesco “di coppia”, dall’altra il rischio di andare a parare sui soliti cliché e su dinamiche viste e straviste era alto. E il regista tedesco purtroppo si è scontrato con entrambi gli ostacoli, ma andiamo con ordine.

La scelta del cast è di tutto rispetto: azzeccatissimo Jeff Bridges per il ruolo del burbero sceriffo dalle vecchie maniere, di cui già solo l’aspetto e la parlata da cowboy smargiasso sono spassosi antipasti; Kevin Bacon anche quando non è ispirato rimane comunque una garanzia per interpretare cattivi, specialmente quando sopra le righe come in questo caso; Mary Louise Parker infine conferma di essere nel pieno della sua rinascita artistica, e come affascinante 40enne impiegata in parti tragicomiche naviga sicura. Purtroppo la nota dolente, per certi versi, è il co-protagonista, quel Ryan Reynolds che già in molti hanno catalogato come “ammazza-franchise”. Non sono d’accordo con l’opinione comune che lo ritiene un interprete inespressivo e fallimentare, nonostante le numerose scelte discutibili (a voler essere generosi) della sua carriera corredate da altrettante dimenticabili performance; Reynolds in alcune occasioni ha dimostrato di saper fare anche di più (come nel sottovalutatissimo Buried), di dare l’input necessario al personaggio che gli viene affidato. Purtroppo il ragazzo non si impegna, e così senza neanche riuscire a svolgere il minimo indispensabile finisce per risultare un peso morto nel film: in R.I.P.D. l’alchimia tra i due poliziotti funziona fino ad un certo punto, perché le spacconate di Bridges dopo metà film diventano noiose se le reazioni della spalla sono prevedibili e il “poliziotto buono” non sale in cattedra dimostrando un minimo di carisma. La regola fondamentale del buddy movie, ovvero avere a disposizione una coppia vincente, qui si perde per strada, e il Nick Walker interpretato dal divo più giovane, magari anche non supportato da un copione solido, diventa via via trasparente, fino a non lasciare traccia già dopo la prima visione. Menzione d’onore al cameo, se così si può definire, di James Hong (lo spettrale Lo Pan di carpenteriana memoria), che alla sua età si dimostra arzillo quanto basta e qui gli viene affibbiata una parte simpaticissima che vi lascio scoprire da soli.

L’altro ostacolo cui accennavo è quello della portata del film, quindi di riflesso del suo aspetto visivo. Schwentke sfrutta benino il budget a disposizione, e ha l’intuizione di non cercare a tutti i costi un’estetica verosimile e fotorealistica: la computer grafica è volutamente caricaturale, il che contribuisce ad accentuare il lato grottesco di molti personaggi, soprattutto le entità non-morte che i due protagonisti si trovano ad affrontare per tutta la durata. Ma se il look delle creature, con relative trasformazioni, può andare bene, altrettanto non si può dire delle scene d’azione e dell’estetica nelle fasi più concitate del film; se fino ad un certo punto la messa in scena si mantiene in equilibrio senza scadere nel finto, quando il gioco si fa duro, e la trama assume proporzioni apocalittiche, l’impianto visivo comincia a barcollare, mostrando il fianco con una CGI posticcia, una fotografia blanda e poco ispirata, e un mix regia/montaggio che non fornisce appigli neanche per un intrattenimento elementare.

Indirettamente è un po’ la radiografia di tutta la pellicola: l’incapacità di intrattenere a dovere, difetto tristemente diffuso tra le opere cinematografiche contemporanee. Si dovrebbe spingere il pedale sull’umorismo, magari anche macabro e cattivo, ma le gag veramente gustose sono ridotte all’osso, a volte lasciando spazio a inappropriati momenti morti. Laddove si potrebbe spaziare con l’immaginazione ed esplorare trame meno scontate con un mondo ed una mitologia che lo consentono, si è preferito ripiegare su meccanismi già visti, stimolando pallidi e continui dejavu. Infine l’azione, che dovrebbe essere la chiave di volta in un prodotto del genere, è deficitaria e menomata da un comparto tecnico non completamente all’altezza; oggi forse è diventato troppo facile mostrare un cowboy che viene strattonato in mezzo a grattacieli da una creatura demoniaca, mentre sullo sfondo si scatena il giorno del giudizio, ma poi alla resa dei conti il cineasta di turno si ritrova solamente a fare sfoggio di uno sfarzo tecnologico che oggi più che mai risulta piatto e privo di mordente.

Dare anima e infondere personalità a certe scene, quello si che risolleverebbe tutto, e aiuterebbe il cinema di genere a ricreare piccoli cult, come quelli con cui molti di noi sono cresciuti nei decenni precedenti. Ma il mix letale di spettatori pigri e poco sognatori (domanda), produttori avidi (offerta) e registi ininfluenti o peggio ancora svogliati (intermediari), continua a mietere vittime nella ruota dell'attuale mercato cinematografico. R.I.P.D. rimane uno dei tanti anonimi “vorrei ma non posso”, una potenziale gemma che al momento della verità si è dimostrata inconsistente bigiotteria per una serata di divertimento discontinuo e amaro in bocca.

V Voti

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Slask 6/10

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