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7/10

Le due vie del destino regia di Jonathan Teplitzky

Biografico
recensione di Alessandro Giovannini

Nel 1942 l'esercito giapponese invade Singapore, sconfiggendo il presidio delle truppe britanniche. Eric Lomax, giovane con una passione per le ferrovie, fa parte dei soldati catturati; lo attende un viaggio all'inferno: sarà usato come forza lavoro, insieme a migliaia di altri prigionieri, nella costruzione di una tratta ferroviaria che si addentri nel fitto della giungla per collegare Tailandia e Birmania, utile all'impero nipponico per aggirare la supremazia navale degli Alleati nel Pacifico. Gli eventi e le torture subite durante la costruzione della cosiddetta "ferrovia della morte" segneranno profondamente la vita di Lomax, che solo nel 1996 pubblicherà un libro di memorie divenuto best-seller e su cui il film è basato.

Quarto film dell'australiano Jonathan Teplitzky, dopo un paio di prove di commedia e una drammatica. E' evidente il suo approccio molto rispettoso e poco enfatico alla vicenda, enfasi imputabile maggiormente alle musiche che sono un po' troppo invadenti; la regia invece asseconda, mantenedosi poco vistosa, le performance attoriali dell'altisonante cast: Colin Firth è perfetto per la parte del Lomax stanco e logorato dai ricordi gravosi eppure sotto sotto pieno di una gran voglia di vivere, un personaggio molto ben scritto di cui l'attore riesce a far trapelare le nevrosi così come l'intelligente umorismo. Nicole Kidman ha un ruolo abbastanza insolito per lei, la moglie innamoratissima del marito per il quale costituisce un pilastro, una ragione di vita. Una donna amorevole che resa accanto ad una persona anche quando mostra i lati più oscuri della propria personalità.

Il film non è una mera rievocazione della storia pregressa del personaggio; la storia si avvia con la scoperta che uno degli aguzzini giapponesi del campo di prigionia è ancora vivo nel presente del racconto (anni '80), e la cosneguente decisione di Lomax di andarlo a incontrare. L'attore giapponese è Hiroyuki Sanada, che il pubblico occidentale potrebbe ricordare per essere la spalla di Ken Watanabe ne L'ultimo samurai. La sua parte è più ridotta ma non meno intensa rispetto a quella di Lomax. L'incontro/scontro tra i due è il fulcro del film, nonchè il suo ricettacolo tematico: riaffrontare i propri demoni, nel piccolo delle vicende di due singoli uomini, è sineddoche di un'esigenza più grande, il riconoscimento storico di un massacro: l'attore Sanada infatti ha dichiarato come del fatto lui stesso ne sapesse poco perchè l'argomento non si affronta nelle scuole giapponesi. Il film (ed il libro) è quindi sia un intrigante racconto autobiografico sia un'interessante occasione di approfondimento storico su un episodio della WWII poco conosciuto in Italia, e a quanto pare nello stesso Giappone che ne fu uno dei protagonisti.

La regia come detto è discreta, cauta sorpattutto nel mostrare le scene dirette di violenza, che tende più a suggerire, anche se gli andrebbe appuntata una leggera contraddizione nel costruire suspance su ciò che avviene nella "camera oscura" del campo, che pare avere traumatizzato più che mai il povero Lomax. Inoltre andando verso il finale lo sguardo compassionevole ma asciutto tenuto fino a quel momento da Teplitzky si sbilancia pericolosamente verso la melensaggine. Non ci cade, sia chiaro, ma a quel punto lo spettatore dovrebbe essersi ormai interessato alla vicenda, e se l'autore non è riuscito a catturarlo fino a quel momento non è diventando troppo sentimentali che può ovviare al problema. Piacevole il ricorso a fotografie originali a fine film: personalmente ho sempre apprezzato l'incursione di documenti reali all'interno di film di ambientazione storica.

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