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3/10

Gothic regia di Ken Russell

Horror
recensione di Elena Rimondo

1816. Nella villa sul lago di Ginevra del libertino George Byron in esilio in Svizzera, il padrone di casa e i suoi ospiti – il dottor Polidori, Mary Wollstonecraft e Percy Bysshe Shelley – si sfidano nella gara più famosa della storia della letteratura. Se oggi possiamo leggere Frankenstein, forse lo dobbiamo anche ad una tormentata notte di incubi generati da una seduta spiritica.

La genesi del Frankenstein di Mary Shelley sarebbe già di per sé materia da romanzo o da film, ma da Ken Russell non ci si poteva aspettare un film convenzionale in costume in cui i nostri tre sfidanti – il dottor Polidori, il poeta Percy Bysshe Shelley e la sua amante Mary – si immergono a capofitto nella scrittura, ispirati da racconti di fantasmi, leggende e miti. Qui non li si vede mai prendere in mano una penna; al massimo, siedono presso il caminetto a leggere racconti gotici non abbastanza terrificanti per i loro gusti. Ecco che allora l’idea di allestire una seduta spiritica viene in loro soccorso, e così un tranquillo (o quasi) dopocena a base di tintura d’oppio e sesso si trasforma in un vero e proprio incubo ad occhi aperti. Sarebbe però più adatto parlare di “incubi”, al plurale, giacché ciascun personaggio è perseguitato dai mostri partoriti dal proprio inconscio. Il film si concentra soprattutto su Mary, in un certo senso la protagonista del film e, a dire il vero, la più sensata (o, meglio, la meno svitata) dei quattro, nonché l’indiscussa vincitrice della competizione letteraria. Ebbene, Ken Russell e Stephen Volk, lo sceneggiatore del film, suggeriscono che dietro al sogno del dottor Frankenstein d’infondere la vita in un cadavere si celi il profondo dolore di Mary per il suo bimbo nato morto e il conseguente desiderio di riportarlo in vita. Mentre Mary è perseguitata da visioni di parti e neonati e dalle premonizioni delle morti di Percy, Byron e Polidori, tutti gli altri si aggirano per l’enorme villa in preda alle proprie pulsioni, con l’eccezione di Claire (la sorellastra di Mary e l’amante di Byron), sulla quale la seduta spiritica ha avuto effetti deleteri. Man mano che la notte avanza, gli incubi si fanno sempre più terrificanti, ma proprio quando la situazione è sul punto di degenerare, ecco che il sorgere del giorno riporta pace e serenità tra i turbolenti inquilini di villa Diodati; tranquille passeggiate in giardino e bucolici déjeuners sur l’herbe prendono il posto degli eccessi notturni come se nulla fosse accaduto. Il finale può lasciare perplesso più di qualcuno (e non solo perché viene da chiedersi se, e quando, i nostri andranno mai a nanna), ma mai quanto tutto il resto del film, che non è di certo tra i meglio riusciti di Russell. Malgrado la dose generosa di dettagli macabri e il susseguirsi frenetico di scene di stravizi, visioni e incontri ravvicinati, la carica provocatoria del film viene soffocata dal ricorso spasmodico del grottesco. In poche parole, il film è vittima dei suoi stessi eccessi, e mentre il più sobrio I diavoli continua a turbare, Gothic è stato ridotto al rango di cult per appassionati di letteratura gotica. Nonostante la breve durata (meno di un’ora e mezza), lo scorazzare senza sosta e senza senso del manipolo di letterati oppiomani per villa Diodati a lungo andare stanca, anche perché in ogni scena si avverte la volontà di stupire il borghese a suon di trovate di pessimo gusto. Il kitsch è forse il tratto più distintivo del film; esso caratterizza ogni suo aspetto (dalla colonna sonora ai dialoghi, passando per il trucco e parrucco, la scenografia e il montaggio) e ogni scena, tranne forse le ultime. Il che ci fa capire perché Gothic non è di certo diventato un classico: esso è figlio del proprio tempo, ovvero i discutibili anni ’80. Purtroppo il film di Russell è un distillato di tutto il peggio degli anni ’80, tanto che, se agli adolescenti di oggi o ai nostri figli volessimo far loro capire che cosa siano stati quegli anni, potremmo far vedere loro questo film. Poco conta infatti che la storia sia ambientata nell’Ottocento, dato che Gothic sembra strettamente imparentato con il Rocky Horror Picture Show (lo spettacolo è del 1973, il film del 1975): stessa atmosfera, stesse trovate di cattivo gusto, stesso compiacimento. Con l’aggravante che Russell si prende troppo sul serio, come dimostrano i numerosi riferimenti alla psicanalisi. A contare le immagini di animali o di gente che sale e scende le scale si perderebbe il conto, ma resta l’impressione che tutti questi simbolismi alla Buñuel non siano altro che un furbo tentativo di dare spessore psicologico a dei personaggi alquanto macchiettistici. Eppure dei personaggi e una storia così avrebbero potuto dare risultati migliori in mano ad un Russell non affiancato da Stephen Volk o, meglio ancora, ai Monty Python.

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Stefano Luigi Maurizi (ha votato 10 questo film) alle 22:53 del 24 settembre 2017 ha scritto:

Spero vivamente tu stia scherzando