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R Recensione

8/10

L Ultimo Inquisitore regia di Milos Forman

Drammatico
recensione di Cristina Coccia

Nella Spagna del 1792, il pittore Francisco Goya (Stellan Skarsgård) riesce a diventare pittore di corte, facendo molta attenzione ad instaurare buoni rapporti con la regina Maria Luisa di Borbone-Parma e con gli alti prelati del Consiglio dell'Inquisizione e dei Tribunali. In particolare, accetta di ritrarre frate Lorenzo Casamares (Javier Bardem), credente e devoto sostenitore del metodo della corda, con il quale Goya stabilisce un rapporto di amicizia e di rispetto reciproco. Goya ritrae spesso anche Inès (Natalie Portman), la figlia del ricco mercante Tomás Bilbatúa, che diventa la sua modella preferita, nonché sua musa ispiratrice. La sfortunata ragazza, viene, però, arrestata dall’Inquisizione con l’accusa di giudaismo, per essersi rifiutata di mangiare carne di maiale. Inès viene torturata, sottoposta alla corda ed imprigionata nelle carceri dell’Inquisizione. Goya cerca di convincere Lorenzo ad aiutare la giovane, ma il prelato, invece di farla uscire di prigione, approfitta di lei ogni volta che si reca a farle visita. Una sera Goya e Casamares vengono invitati a cena dal mercante Bilbatùa, che trae in inganno frate Lorenzo, facendogli firmare, sotto tortura, una tanto compromettente, quanto grottesca confessione. In seguito, Casamares è costretto a fuggire in Francia, per non essere condannato dalla stessa Inquisizione. Intanto ha inizio la Rivoluzione Francese, si diffondono gli ideali dell’Illuminismo e, nel 1808, le truppe napoleoniche giungono in Spagna per piantare il seme della democrazia. In realtà, impongono le loro idee con la violenza, ma aboliscono temporaneamente l’Inquisizione e liberano Inès, dopo quindici anni di prigionia. Irriconoscibile, sfigurata dagli stenti e dalla pazzia, la donna si reca da Goya, ormai divenuto sordo, e gli confessa di aver avuto una figlia da frate Lorenzo, in carcere. Lorenzo, tornato dalla Francia e diventato il procuratore capo del governo francese in terra spagnola e, quindi, nemico acerrimo della stessa Chiesa, si trova a condannare a morte i membri del Sant’Uffizio con cui prima collaborava, sostenendo di giudicarli in nome della libertà. Quando, invece, si trova davanti Inès e, con lei, l’orribile verità del suo passato, decide di metterla in manicomio e, dopo aver trovato sua figlia, di costringerla a lasciare la Spagna. Ci sarà ancora un cambiamento di programma per Lorenzo quando, in Spagna, sbarca l’esercito britannico, inizia la controrivoluzione e vengono nuovamente ripristinate la monarchia e l’Inquisizione. Siamo nel 1813, anno dell’avanzata di Wellington in Spagna e del ritorno sul trono di Ferdinando VII di Borbone.

L’opera di Milos Forman, già autore di Amadeus, Man on the moon e Qualcuno volò sul nido del cuculo, si presenta come un documentario storico sul periodo dell’Inquisizione Spagnola, che ebbe origine nel XV secolo e che fu abolita definitivamente nel 1834. Tuttavia, Forman non ha mai avuto l’intenzione di girare un film storico, piuttosto di ritrarre, con il linguaggio cinematografico, i fantasmi di Goya, quei mostri rappresentati nelle Pinturas Negras e che si nascondono tanto all'ombra dei regimi, quanto negli oscuri anfratti della democrazia.

Il regista dichiara di aver scritto la sceneggiatura di Goya’s Ghosts negli anni Ottanta, con Jean-Claude Carrière e di essersi ispirato agli eventi in cui si trovò coinvolto negli anni Cinquanta, in Cecoslovacchia, durante l’era comunista. “Le persone venivano arrestate senza ragioni, poi confessavano crimini che non avevano commesso, ovviamente sotto tortura, e poi venivano giustiziate”(1)sostiene lo stesso Forman.

Soffermandoci sugli avvenimenti storici di quel periodo, occorre ricordare che, nel 1946, in Cecoslovacchia, il Partito Comunista vinse le elezioni, ma, nel settembre 1947, la polizia, controllata dai comunisti, annunciò la scoperta di una cospirazione contro lo Stato, completamente inventata, e questo scatenò una violenta repressione dei confronti del Partito democratico slovacco. Nel 1948 questa repressione subì una notevole accelerazione con il “colpo di Praga”, nel febbraio 1948, che aprì la via all’instaurazione del monopolio del potere del Partito comunista cecoslovacco. La Cecoslovacchia divenne una "democrazia popolare" (fino al 1960) e fu introdotto il centralismo burocratico sotto la direzione del Partito Comunista. Gli elementi di dissenso furono eliminati a tutti i livelli della società, compresi quelli della Chiesa cattolica.

Furono condotti soprattutto processi politici contro ex alleati democratici e socialisti e questi procedimenti raggiunsero il loro culmine con il processo contro Milada Horàkovà, che si svolse a Praga nel 1950. Dopo il colpo di stato comunista, la Horàkovà si dimise, per protesta, dal Parlamento, continuando, però, ad avere stretti contatti con l'opposizione al nuovo regime. Venne arrestata con l'accusa di spionaggio e cospirazione, al fine del rovesciamento del regime comunista, fu torturata, ma non confessò mai. Il 31 maggio 1950 iniziò il processo a lei e ad altri dodici suoi compagni e, l'8 giugno 1950, la Horáková fu condannata a morte con tre dei suoi coimputati, per poi essere giustiziata il 27 giugno. Fu l’unica donna fra le 234 vittime politiche giustiziate in Cecoslovacchia dal 1948 al 1960. (2)

La sua storia, quindi, per certi aspetti, ricorda molto quella di Inès, nella sceneggiatura della pellicola di Forman.

Tempo dopo, il regista, ricordando un libro sull’Inquisizione spagnola, letto nella decade del 1950, e illuminato dai dipinti di Goya, durante la sua prima visita al Museo del Prado, decise di portare a termine la sua opera. Forman, da grande artista, che definisce Goya il “più coraggioso codardo nell’arte”(3), è consapevole del fatto che, anche creando opere d’arte, o raccontando storie, si può fare politica, decontestualizzando ed esponendo la vita delle persone, o semplicemente ricreando la cupa e angosciosa atmosfera nella quale ci si trova quando sono lesi i diritti civili.

Molti critici si sono espressi riguardo alla pellicola del regista ceco, talvolta tacciandola di essere superficiale e di presentare personaggi storici privi di spessore, in un’opera confusa, in bilico tra dramma e commedia. L’idea che Forman vuol dare al pubblico è esattamente questa. Egli ritrae due personaggi, uno reale e l’altro frutto di finzione: un pittore, che mostra pubblicamente due facce, una accondiscendente ed una spudoratamente critica, e un antagonista, a dir poco volubile, che rappresenta l’ipocrisia di ogni regime, finanche di quello democratico. Nel titolo originale, il regista mantiene il velo della rappresentazione storica sul suo film, ma già la traduzione italiana lascia supporre che il vero protagonista dell’opera sia Lorenzo Casamares. Chiaramente è lui l’ultimo inquisitore, o, forse, anche questa è ancora l’apparenza della rappresentazione di Forman, che, indubbiamente, si presta a molteplici livelli interpretativi.

Il film è soprattutto un’opera di atmosfera, di fotografia, tanto curata da diventare mezzo di ricostruzione cromatica ed artistica della vita di un audace e oltraggioso pittore moderno. Goya riuscì a porsi come critico della natura umana e della bestialità che andava sempre più prendendo il sopravvento nel mondo moderno. Visse nel periodo cruciale della nostra storia, l’età dei lumi, l’epoca del trionfo della ragione e, mentre sosteneva che “Il sonno della ragione genera mostri”, fu capace di far vedere al mondo di quali brutalità fosse capace chi era mosso dagli ideali illuministi. In nome della libertà si possono compiere i più efferati crimini e si può cadere nell’errore di imporre la sovranità di un gruppo che prende soltanto il posto di un altro, anche se, all’apparenza, sembra apportare un ipotetico cambiamento opponendosi al regime precedente. “Ciascun governo istituisce leggi per il proprio utile; la democrazia fa leggi democratiche, la tirannide tiranniche e allo stesso modo gli altri governi. E una volta che hanno fatto le leggi, eccoli proclamare che il giusto per i governati si identifica con ciò che è invece il loro proprio utile, e chi se ne allontana lo puniscono come trasgressore sia della legge sia della giustizia. In ciò consiste, mio ottimo amico, quello che dico giusto, identico in tutte quante le poleis, l'utile del potere costituito. Ma, se non erro, questo potere detiene la forza. Così ne viene, per chi sappia ben ragionare, che in ogni caso il giusto è sempre identico all'utile del più forte.” (4) ed è per questo che la democrazia liberale moderna si è, di fatto, rivelata un’altra faccia del dispotismo.

Contestualizzando gli avvenimenti storici del film, Napoleone stesso, sostenitore dei principi dell’Illuminismo e dell’egualitarismo, andò al potere con un colpo di stato (il 18 brumaio) affermando il suo regime con la forza. Certamente un film del genere deve risultare credibile, come lo sono le camere di tortura, i manicomi, le prigioni, ma l’intento meno lampante di Forman è quello di decontestualizzare gli eventi per tentare di arrivare, attraverso l’analisi storica, ad una critica della natura umana e dei suoi effetti. Siamo gli individui raffigurati dal Goya nei Los caprichos, saturi di vizi, miserie, vinti dagli istinti e dai mostri diabolici partoriti dalla nostra mente, o siamo esseri razionali, perfettamente capaci di usare la logica per comprendere quale sia la strada per ottenere la nostra libertà? Prima di tutto bisognerebbe definire meglio il concetto di libertà, termine spesso abusato, utilizzato solo per giustificare un regime che prende il posto di un altro, innalzato a ideale superiore, quando, scavando a fondo, si svela soltanto come fondamento di ideologie e inganni. “Non ci sarà alcuna libertà per i nemici della libertà. Lei è la vera incarnazione del fanatismo cieco e del nepotismo. Lei è lo strumento attraverso il quale i pochi hanno tenuto i molti in catene. Lei rappresenta quanto c’è di peggio in Spagna e, quindi, verrà giudicato per le sue azioni" ecco come frate Lorenzo condanna il cardinale a capo dell’Inquisizione, adottando gli stessi metodi usati dai suoi nemici, con cui in precedenza si era schierato. Questo a testimonianza del fatto che in ogni regime democratico esiste una componente tirannica che preme per imporre le idee di egualitarismo e libertà.

Ancora oggi si parla di Voltaire, gli si attribuiscono frasi come "Disapprovo quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo." (5)e poi, dopo aver dichiarato questo, si giudica, si disprezza, si incrimina e si usa qualunque mezzo per emarginare chi, per un motivo o per un altro, decide di non rimestare tra gli avanzi del convenzionalismo e del  "senso comune" (6). Goya fu molto abile nel proporre se stesso come artista convenzionale, ma anche nel dare alla storia opere come le Pitture nere, che presentano i veri fantasmi della nostra epoca, opere a cui il grande pittore si dedicò dal 1819, quando, sconfortato dalle circostanze in cui si trovava a dover lavorare, si ritirò nella Quinta del sordo, sulle rive del Manzanarre. Un dipinto particolarmente significativo di questa serie è Crono che divora i suoi figli, in cui l’autore ritrae il volto e il corpo deformato di una figura mitologica indispensabile per comprendere la sua visione della storia, Crono, figlio di Urano, dio del Cielo e di Gea, dea della Terra, due divinità generate dal Caos. Crono uccise suo padre evirandolo, per aiutare la Terra a liberarsi di Urano, che giaceva costantemente su di lei impedendo ai figli concepiti di uscire dal suo grembo. Crono, sposatosi con la sorella Rea e terrorizzato dalla profezia di un oracolo che presagiva per lui la stessa sorte del padre, decise di divorare tutti i suoi figli, per impedire che uno di loro lo uccidesse. Con Zeus, però, il suo piano non ebbe successo. Crono, che nella mitologia greca simboleggiava il Tempo, prese il nome di Saturno nella mitologia romana, in cui si racconta che, dopo esser stato esiliato da Zeus ed essere stato accolto amichevolmente in Italia dal dio Giano, fondò le mitologiche città saturnie. Divenne la divinità dell’abbondanza e della fertilità e fu per sempre legato alla Terra. In questa visione, rappresenta, perciò, un maschio ancestrale, indifferenziato dalla controparte femminile, della quale, però, assume i caratteri negativi. Distaccatosi dalla divinità maschile che l’ha originato e che dominava in armonia con la Terra (la componente materiale del cosmo),

Crono diventa l’archetipo dell’uomo moderno, soggetto al tempo, separato dalla sua parte virile e spirituale e imprigionato esclusivamente in quella materiale. Ne consegue che, essendo vincolato alla materia di cui è composto, è legato anche agli istinti più bassi e alla passionalità. Sono state date varie interpretazioni al dipinto: Crono rappresenterebbe il conflitto tra vecchiaia e gioventù, il Tempo come divoratore di ogni cosa, la Spagna che distruggeva i suoi figli migliori in guerre e rivoluzioni, ma, probabilmente, la spiegazione più logica e sintetica è quella di leggere il dipinto come critica alla condizione umana del mondo moderno. D’altra parte anche Lorenzo, rivolgendosi a Goya, nella sceneggiatura, afferma che “il popolo spagnolo se ne infischia degli ideali. La Spagna, oggi, pullula di puttane in vendita” utilizzando un’espressione che rende bene l’idea di quanto fatuo possa apparire chi ostenta la sua fede in un ideale solo per il proprio utile o chi, come se appartenesse ad un branco, segue la massa o si lascia guidare solo da una mentalità borghese. L’uomo, in balìa dei suoi bisogni e della sua componente bestiale, è costretto a mutar pelle, a sostenere un regime o un altro per soddisfare il proprio utile, per sopravvivere all’autodistruzione, e, in questo processo, degenera, va incontro ad un abbrutimento che lo lascia indefinito, schiacciato, riducendolo ad una creatura grottesca e amorfa, quasi priva di anima.

Il tono grottesco è perfettamente adatto a questa esposizione, soprattutto quando si presentano avvenimenti che sembrano riproporsi con modalità simili. (Ricordiamoci che “gli eventi storici si presentano due volte, la prima in veste di tragedia, la seconda in guisa di farsa.”)(7) Il finale del film di Forman, tragicamente ridicolo, delinea questa situazione in modo significativo, lasciando nella scena i tre protagonisti accompagnati da una cantilena spagnola, El pelele esta malo (che racconta la storia di un povero burattino malato che chiede di morire), a prova del fatto che lo sguardo critico e implacabile dell’artista può leggere la storia in modo più preciso di chiunque altro. Il narratore interno diventa, così, narratore esterno e, mascherando con l’ironia la sua descrizione, riesce ad essere preciso e spietato. Qui Goya retrocede fin quasi a fondersi con l’artista Forman in un processo di identificazione: entrambi si collocano sullo sfondo come spettatori sordi che, con le loro pennellate, sono in grado di rappresentare la dissoluzione della nostra società. Resta un’indefinita moltitudine di burattini che va incontro ad un’inevitabile morte e alla fine di una consapevole completezza umana. Tutto, ovviamente, sempre in nome della libertà.  

Note: (1)     Steven Rea. (EN) ‘Goya’s Ghost’ director witnessed parallels to the Inquisition. Pop Matters, 26-7-2007. (2)     Courtois, Werth, Panné, Paczkowski, Bartosek, Margolin – Il libro nero del comunismo, 1998, Milano, Mondadori, pagg. 376-378 (3)     Robert Ayers. (EN) Milos Forman. Artinfo.com, 5-3-2008 (4)     Platone, La Repubblica, Libro I - [338e-339a] (5)     Evelyn Beatrice Hall, Gli amici di Voltaire, 1906 (6)     (Cit. Il buon senso c'era; ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune”) Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi, cap. XXXII (7)     Karl Marx, Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte, 2006, Roma, Editori Riuniti

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