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8/10

Last Night regia di Massy Tadjedin

Drammatico
recensione di Cristina Coccia

Michael e Joanna sono sposati da quattro anni, sono apparentemente felici e appagati dalla loro relazione, forse immatura, ma sincera e affettuosamente impeccabile. Dopo una cena di lavoro di Michael, a cui partecipa anche Joanna, si scatena una lite tra i due, a causa dell’evidente intesa tra Michael e la sua nuova avvenente collega Laura. Il giorno seguente lui parte per un viaggio di lavoro proprio con Laura e il dubbio inizia a tormentare i due coniugi: chi sta tradendo chi? Se si sospetta dell’altro, è lecito arrendersi alla tentazione? Destino vuole che, proprio quella mattina, Joanna incontri, davanti ad una caffetteria, la sua vecchia fiamma Alex, scrittore come lei, amore mai dimenticato e vivo nella sua immaginazione in tutti i momenti difficili del suo matrimonio. Due coppie di amanti si contendono la scena, lasciandosi andare a ricordi, fantasie, domande, supposizioni, in un’unica incancellabile notte.

Ci sono due storie parallele, unite da sottilissimi fili sospesi su parole non dette, su sguardi, delusioni ed illusioni. Una coppia legittima e due illecite sono costrette a nascondere ogni gesto, ogni pensiero per evitare di complicare la situazione, per non ferire l’altro irrimediabilmente.

La regista iraniana Massy Tadjedin gira una pellicola (scelta per aprire la quinta edizione del Festival Internazionale del Cinema di Roma) in cui ritrae una circostanza insolita che forse tutti, almeno una volta nella vita, hanno immaginato di vivere, un contesto in cui può sembrare lecito recuperare le occasioni mancate, ritrovarsi o perdersi, esaminare i propri dubbi senza pensare a tutte le conseguenze degli atti compiuti o immaginati. Solo una notte, un viaggio e una partenza, poi ricordi e nient’altro.

Spesso l’amore più intenso è quello che non arriva a concretizzarsi, quello che consola nelle notti in cui non si riesce a dormire, quello che resta lì, silenzioso e fermo nei dettagli, nei luoghi, nei flashback, senza appesantirsi con la consuetudine, con le difficoltà della convivenza.

La bellezza di questo film sta proprio nei dettagli e nelle espressioni dei volti che aiutano a costruire le storie, che sembrano partecipare attivamente alla trama, esaltati ancora di più dalla scelta della regista di utilizzare uno stile consono al cinema degli anni ‘30, nella sceneggiatura come nel montaggio classico, fatto di raccordi sonori e di movimento, di dissolvenze invisibili e incrociate, di dettagli, primi piani e mezze figure che lasciano entrare facilmente lo spettatore nella mente dei protagonisti. Il giudizio sui personaggi e sulle loro scelte, insieme alla tensione emotiva che suscitano i dialoghi, taglienti e profondi, sono isolati nel fuoricampo, senza inquinare la perfezione estetica delle scene e del loro unico commento musicale. I colori segnano, inoltre, in maniera quasi subliminale, il confine tra le due storie, facendosi accesi e caldi nelle scene con Joanna e Alex, ma spenti e freddi in quelle con Michael e Laura.

La macchina da presa è silente, impercettibile e lascia che siano gli attori a dare corpo ai loro tormenti, come la sensuale, eterea e raffinata Keira Knightley (bellissima icona di una femminilità sottile, pudica, insicura e irrequieta), che non è mai stata tanto brava e che si conferma una delle attrici più dotate della sua generazione. Assolutamente perfetta!

on sono da meno Eva Mendes, nei panni di Laura (spudorata e triste femme fatale), Sam Worthington, che dà il volto a Michael, ma soprattutto l’affascinante Guillaume Canet, il cui viso, particolarmente intenso e commosso, lascia che si posi su di lui un velo di tragicità, tipica dell’espressività francese anni ’60.

Ci sono tutti gli ingredienti del melodramma classico, ma traslato in un contesto contemporaneo frenetico, che raramente lascia spazio alla bellezza e all’incanto di pochi momenti. Quattro percorsi vengono tracciati, lasciando intravedere, come attraverso un vetro, le possibili alternative, illudendo e disilludendo tanto i protagonisti quanto gli spettatori. Si partecipa all’insoddisfazione di Alex, ai dubbi di Joanna, alla sua gelosia e alla determinazione con cui ha sempre rinunciato all’amore della sua vita per non rovinare il rapporto con Michael, alla debolezza e alla vergogna che provano invece gli altri due amanti, quelli che realmente consumano il tradimento e che si allontanano, forse definitivamente. Last Night si pone in una dimensione estranea alle emozioni, che esplodono solo alla fine, per sfogo, come le lacrime di Joanna.

Se un film riesce a dare questa sensazione e a mantenerla fino all’ultima scena, può considerarsi veramente riuscito, capace di dire senza mai cadere nel già detto, lasciando sempre l’impressione che ci sia ancora qualcosa che resta in sospeso, nelle vite dei protagonisti, ma soprattutto nelle nostre e che non termina per niente quando le luci del cinema si riaccendono in sala.

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