Non Lasciarmi regia di Mark Romanek
PoliticoNel college di Hailsham, nella campagna inglese, alcuni studenti vengono educati, fin da bambini, ad essere docili e sottomessi. In realtà sono dei cloni che servono a donare, in un futuro non lontano, organi all’umanità. La storia ci viene raccontata da Kathy (Mulligan), segretamente innamorata del collega e amico Tommy (Garfield), che con l’amica Ruth (Knightley) condividono un' infanzia già compromessa. Quando i tre ragazzi scoprono il segreto oscuro e angoscioso riguardante il loro futuro, decidono di fuggire dal collegio/lager. Ma questa decisione va contro la loro educazione di stampo militare, legata ad un forte senso del dovere. E così, inesorabilmente si avviano verso un destino sconvolgente che li vede diventare adulti e continuare a confrontarsi con i profondi sentimenti di amore, gelosia e tradimento che rischiano di dilaniarli.
Dalla penna di Kazuo Ishiguro, scrittore nato nel Paese dove è avvenuta la clonazione della pecora Dolly e che ha ispirato la sceneggiatura di questo film, non poteva mancare un confronto con le conseguenze del progresso scientifico. La fantascienza come pretesto per aprire una serie di interrogativi sulla vita, sul dolore, sui rapporti sentimentali, sul sacrificio di sé, sul senso dell’etica, sull’atteggiamento dell’uomo rispetto al progresso: l’universale e il particolare, il macroscopico e il microscopico. Il suo romanzo “Never let me go” , al quale ha lavorato per quindici anni, anche se descrive un mondo parallelo dominato dalla clonazione, è tragicamente umano.
I protagonisti del film - Kathy, Tommy e Ruth - trascorrono l'infanzia nel collegio inglese di Hailsham, un luogo apparentemente idilliaco. Sono in realtà vittime predestinate ad un sacrificio necessario per far progredire il genere umano; i bambini che si trovano a vivere nella realtà ovattata di Hailsham si sentono al sicuro dai pericoli del mondo esterno. Ma solo perché non si tratta di bambini comuni. Ognuno di loro è nato con una missione, semplice e chiarissima: crescere robusto e sano, per poter servire come “pezzo di ricambio” ai fragili corpi umani.
Niente sembra turbare la quiete del collegio, finché una tutrice rivelerà ai bambini che il loro destino era già stato pianificato.
I tre protagonisti non accenneranno mai ad un'origine o ad un legame di parentela nel orso di tutta la narrazione – che si svolge in un unico lungo flashback, da parte della protagonista Kathy. Vivono questa condizione di orfani, assuefatti alla grigia e silente crudeltà di Hailsham come tanti polli da batteria per servire il progresso scientifico.
Ambientazioni soffuse, con prevalenza di toni pastello e grigi - dalle divise collegiali alle mura degli ospedali - rendono il dramma fin troppo piatto. Si ha l'impressione che il film prenda più le pieghe di un diario/racconto intimista che non di denuncia. La scenografia firmata da Mark Digby (The Millionaire) è tutt'uno con lo stato d'animo e la condizione larvale della vita dentro Hailsham. L'unica vibrazione che scuote lo stato emotivo, destando sogni e desideri, è espressa dal ritornello di una canzone : “Darling, hold me and never never never let me go”.
La regia e il gusto fotografico per l'inquadratura di Mark Romanek - celebre autore di video musicali come “Scream” di Michael Jackson - fedele alle intenzioni di Hishiguro, riesce a condurre l'esperienza reale e ordinaria della vita del college inglese verso un piano sempre più astratto e metaforico.
La tragedia di questa lenta rassegnazione al destino è tramata con un'eleganza tipicamente nipponica, senza contrasti, atti di forza o ribellione. La scelta degli attori adulti è suggestiva oltre che ispirata. La coppia Ruth – Tommy (interpretata da una fin troppo apatica Keyra Knightley e uno stilizzato Andrew Garfield) è lunare e consunta. Entrambi sembrano emergere dal dolore dei dipinti di Munch. Nessuno di loro metterà al mondo bambini perché generare è un atto creativo e la “creatività” è bandita dalle loro vite. Per questo c'è una sessualità triste, frustrata come quella immortalata dagli espressionisti. Si tratta di una prigionia psichica, più affilata e capillare di quella schiavistica, che non contempla la salvezza.
Ma non sono anche loro umani, in fondo? Esseri che soffrono e sperano, temono e desiderano, come tutti gli altri? Allo spettatore non vengono lasciati dubbi al riguardo.
Tweet