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8/10

La mazurka del barone, della santa e del fico fiorone regia di Pupi Avati

Commedia
recensione di Francesco Carabelli

Il barone Anteo Pellacani eredita una villa con giardino. Dovrà convivere con la fama del fico che è piantato nel mezzo dello stesso e che da anni è oggetto di venerazione.

Da scettico si trasformerà in credente grazie all'aiuto di una prostituta che si finge santa.

 

Possiamo definire La mazurka del barone, della santa e del fico fiorone, come  il film che ha dato la notorietà a Pupi Avati e che gli ha permesso l’inizio di una carriera più che trentennale nel mondo del cinema.  

Frutto di una sceneggiatura di Pupi Avati, e del fratello Antonio e dell’attore Gianni Cavina, sfrutta le supreme doti attoriali di Ugo Tognazzi, che prese parte alla pellicola per una serie di coincidenze, senza alcuna garanzia di risultato, con un regista ai più sconosciuto, il quale, dopo gli esordi alla fine degli anni ’60, aveva dovuto interrompere la propria attività nel mondo del cinema a causa dell’impossibilità di produrre nuovi film, visto l’insuccesso dei primi due. Leggenda vuole che Paolo Villaggio avrebbe dovuto impersonare il barone Anteo Pellacani, ma il comico genovese, dopo l’impegno preso  inizialmente, si defilò e nel film ricoprì una parte di secondo piano, lasciando il ruolo di primattore all’amico Tognazzi. Lo stile grottesco dato da Avati alla pellicola, ricorda il cinema del conterraneo Fellini, da cui Avati fu influenzato e  dal cui stile fu rapito in gioventù. Si mescola a questo tono grottesco la tendenza a trattare temi religiosi o esoterici, con una buona dose di ironia che esprime il carattere emiliano-romagnolo dei protagonisti. Anteo Pellacani protagonista della storia è un barone che si ritrova erede di una villa dove è custodito un fico ritenuto miracoloso sin dal 700 dopo Cristo, quando fu rifugio di Santa Girolama. Da allora in poi miracoli si succedettero; molte persone guarirono grazie all’influsso della pianta. Non così per Anteo che, arrampicandosi in gioventù sul fico, cadde e ,rovinandosi una gamba , dovette dire addio alle sue velleità sportive , diventando altresì impotente. La caduta fu l’origine  di un atteggiamento di scetticismo di Anteo nei confronti della Chiesa e di tutti i miracoli, atteggiamento che ben presto diventò irrisione e rifiuto di ogni sacralità. Vedremo come, nel corso del film, Anteo dovrà ricredersi di fronte alle grazie di una prostituta che si finge Santa Girolama. Tognazzi tratteggia con arguzia il personaggio di Anteo, mettendoci molto della propria vis comica e della sua persona, per quel fare canzonatorio e sopra le righe che gli permette di regalarci un barone a tutto tondo. Forse perde parte del suo carisma nella seconda parte della pellicola quando non riesce del tutto, a mio parere, a rendere con veridicità la conversione del barone. Tutto sommato una pellicola riuscita, anche grazie al cast di contorno, fatto di semiprofessionisti che Avati è, come sempre,  abile ad utilizzare, lasciando spazio alla loro semplicità e spontaneità, il che regala un tocco di veracità e di gradevolezza alla pellicola. Alcune scene sono delle vere chicche e sono espressione della mancanza di sofisticazione del cinema italiano degli anni ’70, capace di esprimere una cultura popolare verace e non artefatta in fase di sceneggiatura. Anche Paolo Villaggio, qui in uno dei suoi primi ruoli sul grande schermo, riesce a costruire un personaggio eccentrico, ma radicato nel costume italiano. Diverse le scene esilaranti, ma, tra tutte, troneggia quella del video confessionale, che sfrutta al servizio della fede le  più recenti conquiste tecnologiche. Una pellicola che non può mancare nella collezione degli appassionati del cinema di Pupi Avati, facendocene scoprire le origini ma, soprattutto, affascinerà gli amanti  del cinema di Ugo Tognazzi.

 

 

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