A Recensione Blu-Ray - Strade perdute

Recensione Blu-Ray - Strade perdute

 

Fred e Pete, il medesimo e l’altro, si avvicendano in questa deliziosa pellicola del 1997 di David Lynch, incarnando un fruttuoso slittamento d’identità, che rimette in gioco la questione dello sguardo, in un continuo andirivieni tra soggetto e oggetto che frastorna, ammalia, disorienta e atterrisce. Sebbene il regista abbia notoriamente voluto mettere in scena l’informità della vita inconscia, ciò che davvero gli interessa è la trasfigurazione, ovvero quel momento in cui l’oggetto si carica di una valenza che lo riposiziona, in riferimento a un osservatore che è passato attraverso un percorso etico che ne ha mutato significativamente la prospettiva. Inutile, a parere dello scrivente, seppure potrebbe risultare certamente interessante, trastullarsi in un’esegesi psicanalitica di Strade perdute, che è in tal senso ricco di suggestioni, piuttosto si potrebbe tentare di tracciare una mappa del movimento interno al film, della sua circolarità, in cui il doppio sguardo, quello del Medesimo e dell’Altro, per l’appunto,  risponde all’esigenza di articolare il tentativo impossibile, sovrumano, di rendere ‘un’ soggetto autonomo fino in fondo, ciò slegato da un dispositivo comunitario che lo raccolga al suo interno e che gli doni, attraverso l’intersoggettività, quel residuo di senso che altrimenti gli sarebbe precluso. L’ultima, sfuggente, inquadratura del film mostra Fred alla guida della sua auto mentre viene colto da un improvviso raptus che ne deforma i tratti: la spiegazione più logica che viene data è che, essendosi ricomposto il fitto puzzle dell’intera vicenda, assistiamo all’esecuzione della condanna alla sedia elettrica del protagonista, che avevamo abbandonato all’inizio , e che sappiamo avere barbaramente ucciso la moglie che lo tradiva, a causa della sua impotenza. Però, allo stesso tempo, il suo funambolismo, l’uscire e il rientrare in sé, configura un solipsismo, un’alienazione, che rende vacuo ogni sforzo di sottrarsi a una realtà opprimente, una rigida griglia in cui è posizionato senza aver alcuna reale possibilità di liberarsi. Insomma, al suo egoistico tentativo di deterritorializzazione corrisponde una rovinosa collisione contro un muro semiotico (del capitale) che gli impedisce di smarcarsi davvero, laddove è solo la schizofrenia (e non la psicosi, quella comunitaria) che gli consente di allontanarsi momentaneamente da una situazione in cui è fatalmente catturato.  Una delle sequenze finali, in cui vediamo lo stesso Fred annunciare a se stesso al citofono che Dick Laurent (il sempre ottimo Robert Loggia) è morto, ha ricordato molto a chi scrive l’altra significativa scena dell’ultimo film di Nolan, Interstellar, dove un incredulo Matthew McConaughey, ormai risucchiato nella quinta dimensione, rovesciava un testo della libreria della sua casa, segnalando un evento indecifrabile: a dimostrazione del fatto che, fisica a parte, si può, flettendo al massimo le pareti del pensiero, raggiungere risultati altrettanto strabilianti. Il terzo personaggio, quel folletto (chi sarà costui? Il Male? L’Es? L’inconscio più profondo?) che irrompe nella vita di Fred, ma anche in quella di Pete, e che ha il dono dell’ubiquità, della veggenza e quant’altro, non riesce con la sua presenza a realizzare quella ‘terzietà’ che perfezionerebbe il moto circolatorio del film di Lynch, che, è bene precisarlo, è volontariamente imperfetto, in quanto ciò che interessava al regista era proprio mettere in scena, con grande virtuosismo, il gesto estremo di un soggetto solo, disadattato, non integrato, che comunque prova eroicamente a portare a termine un vorticoso movimento di trasfigurazione, destinato a collassare su se stesso, in quanto non sostenuto da un dispositivo comunitario. Lynch padroneggia con superba maestria tutta la messa in scena che inchioda lo sguardo dello spettatore, il quale,  nell’iperbolico tentativo di aggrapparsi a un filo che sostenga l’intera narrazione, si lascia sedurre dalla visionarietà del regista, e anche laddove rimangano dei vuoti incolmabili dalla limitatezza della ragione non viene meno il godimento prodotto dalla fruizione dell’opera, che apre parentesi plurime che chiedono di essere riempite a piacimento di chi guarda. Strade perdute è il primo capitolo di una splendida trilogia che prosegue con Mulholland Drive e culmina con l’angosciante Inland Empire.

Pubblicato da Raro Video e distribuito da CG Entertainment,  Strade perdute è disponibile in Blu-ray, in formato 16/9 (2.35:1) con audio in italiano e originale (DD 2.0 e DTS-HD Master Audio) con sottotitoli opzionabili. Nei contenuti speciali: Trailer, Making Of e Intervista al regista.

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