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9/10

La vendetta di un uomo tranquillo regia di Raúl Arévalo

Drama
recensione di Leda Mariani

Dal titolo originale, molto più appropriato, Tarde para la ira, il film è ambientato nella calda estate 2007 a Madrid. Curro è l’unico di una banda di quattro criminali ad essere arrestato per una rapina in gioielleria. Otto anni più tardi, la fidanzata Ana e il figlio, sono in attesa che esca di prigione. José è un uomo chiuso e solitario. Una mattina si reca nel bar gestito da Ana e dal fratello e da quel giorno la sua vita si intreccia con quella degli altri frequentatori abituali, che lo accolgono come uno di loro. In particolar modo è Ana a vedere nel nuovo arrivato una speranza per il futuro. Scontata la pena, Curro viene rilasciato e torna a casa convinto di iniziare una nuova vita. Trova però una donna confusa ed insicura e un uomo che, distruggendo le sue aspettative, cambierà tutti i suoi piani, facendogli solo assaggiare lo sconvolgimento e la sofferenza della quale fu lui vittima, esattamente otto anni prima.

Raúl Arévalo, alla sua prima opera sia a livello di regia che di sceneggiatura, scritta a quattro mani con David Pulido, crea un film assolutamente perfetto e funzionante, che dimostra quanto il giovane cinema spagnolo sappia disegnare pellicole di genere avvincenti, ma anche esteticamente interessanti, evocative e soprattutto originali: nelle idee, e nel taglio che si decide di dare alla narrazione. Vincitore di quattro Premi Goya (miglior film, miglior regista esordiente, migliore sceneggiatura originale e miglior attore non protagonista a Manolo Solo), se li è meritati davvero tutti, assicurandosi il ruolo di miglior film spagnolo del 2016, anno di produzione, oltre che la piena attenzione alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia.

Attori uno più bravo dell’altro - Antonio de la Torre, Luis Callejo, Ruth Dìaz, Manolo Solo, Font Garcìa, Raùl Jiménez -, molto amici tra di loro, hanno contribuito a rendere il film particolarmente realistico.  Tra questi spicca il versatilissimo, anche dal punto di vista fisico, de la Torre, visto in Volver e in Gli amanti passeggeri, di Pedro Almodóvar, nella Ballata dell'odio e dell'amore di Álex de la Iglesia, ma anche in altri interessanti film spagnoli. Quattro anni per trovare i finanziamenti, incontrati nella casa di produzione Roulette Media, con il supporto di RTVE, e sei settimane di riprese in Spagna tra Madrid, Segovia, la provincia di entrambe le città, Martín Muñoz de las Posadas e Melque de Cercos. Il film è stato un vero successo in patria, con recensioni più che lusinghiere per un’opera che sa coniugare i canoni tradizionali del thriller, con richiami forti all'identità locale, soprattutto di periferia. La storia è asciutta, essenziale ed incisiva, e ruota attorno al dramma umano universale del desiderio di vendetta (incontenibile), anche di fronte al fatto di non corrispondere più, nel viverlo, a ciò che si è sempre stati, e nell’amara consapevolezza che non potrà mai essere un vero strumento di risoluzione di qualunque atto di violenza o di tragedia. Un dramma della solitudine raccontato in maniera profonda, che evoca molto altro, ma che allo stesso tempo riesce assolutamente ad essere d’intrattenimento.

I protagonisti provengono da classi sociali completamente differenti, hanno un passato e caratteri diversi, ma sono accomunati da un evento tragico che ha travolto le loro vite e che si è trasformato, loro malgrado, e per ciascuno in modo diverso, in un dramma del quale non potranno mai più liberarsi. Forse si tenderà ad entrare più in empatia con il personaggio di José, perché vittima, nella sua passività ed impotenza, davanti ad un fatto che non ha scelto di mettere in atto e che ha distrutto, per sempre ed irrimediabilmente, la sua vita, trasformandolo in una persona completamente diversa da quella che era. Ma le storie dei personaggi sono tutte credibili, tutte ugualmente intense, e l’osservazione di questi esseri umani, per lo spettatore, è verosimile, impietosa, e forte. I rapporti tra i personaggi si vedono e si sentono: sono palpabili.

Il film ha una violenza elegante: micidiale quanto interessante, anche dal punto di vista estetico. L’atmosfera fa respirare aggressività, valorizzata dalla fotografia di Arnau Valls Colomer,  molto pertinente, appropriata, e che valorizza i flussi emozionali, aiutando l’opera d’insieme ad esprimersi correttamente, attraendo nel contempo l’attenzione dello spettatore con toni, colori, luci, sempre forti, tesi, e brutali. Lo specchio di un’aggressività che ritroviamo tutti i giorni nella gente: al bar, a freddo, quando ad esempio sentiamo commentare i fatti di cronaca. Gli interpreti hanno volti normali, non sono giovanissimi, né belli: sono le facce dei vicini di casa, di gente come noi, che può raccontare in maniera verosimile il peso della vita e la violenza inevitabile che essa esprime e contiene.

La regia è rigorosa, l'estetica particolare, riconoscibile e d’autore, la sceneggiatura è molto ben strutturata e divisa in capitoli. I canoni del genere thriller sono tutti rispettati, ma inseriti in una territorialità molto marcata, come quella madrilena. Gli indizi sui personaggi si accumulano con gradualità, perfettamente piazzati e cadenzati, e lentamente l’atroce quadro del destino, la beffa, viene a galla, esplodendo in tutta la sua atrocità. Come una bomba ad orologeria, dal pieno effetto suspense. L'incipit drammatico e d’impatto, enfatizzato dal forte piano sequenza dell’incidente iniziale, lascia presto il posto ad un noir in cui si muovono sentimenti primordiali: si avverte la presenza di una verità taciuta quanto potente, quasi indicibile, e che non ha ancora esaurito il suo potenziale di devastazione.

La cinepresa resta sempre incollata ai volti dei protagonisti: li segue, li pedina con movimenti incessanti, riprese a spalla, passaggi in steadycam. José, il protagonista, è un uomo perbene, all'apparenza solitario e riservato, ma in realtà prigioniero di un rancore soffocante. La tragedia che alberga da troppo tempo in lui ha nutrito in maniera silenziosa un'insospettabile aggressività e si dischiude in modo progressivo alla comprensione del pubblico. La ferocia, dapprima invisibile, dilaga con un impatto travolgente e spiazzante, ma anche con calcolata precisione. In parte il film è anche un road-movie, in cui le dinamiche si fanno somiglianti a quelle di un western, dando vita ad un film credibile, crudo e vivo: una storia fatta di realismo e tensione, che tiene incollati allo schermo fino all'ultima scena.

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tramblogy alle 23:58 del 29 aprile 2017 ha scritto:

a parte il titolo sfalsato, voto e recensione pompati troppo; alcune forzature inutili nel racconto. sopra le righe,mha!?