Shadow regia di Federico Zampaglione
HorrorReduce dalla guerra in Iraq, David sceglie uno sperduto paradiso europeo per praticare la sua più grande passione: il biking. Tra i boschi conosce Angeline di cui condivide lo stesso amore per la natura. Ma l’idillio non durerà a lungo: braccati da una coppia di cacciatori, i due finiranno nella casa degli orrori di uno psicopatico.
Federico Zampaglione, reduce a sua volta dall’insuccesso della grottesca black-comedy all’italiana Nero Bifamiliare, si cimenta nel genere, a suo dire, più amato, con il beneplacito del “maestro (italiano) del brivido” Dario Argento. Nella natura spettrale e (poco) selvaggia di Tarvisio nel Friuli, il leader dei Tiromancino vorrebbe rievocare le atmosfere del grande cinema horror italiano anni ’70, ispirandosi ai suoi maestri (e non è forse un caso che a fargli da aiuto-regista sia Fabrizio “Roy” Bava, figlio di Lamberto).
Con Shadow - che ha debuttato al London FrightFest nell'agosto 2009 – Zampaglione segue il consiglio di Argento e scavalca le barriere linguistiche dell’ (in)esportabilità italiana, girando in inglese e con un cast internazionale: l’americano Jake Muxworthy, volto di serial tv made in USA e Karina Testa, già protagonista del raccapricciante horror neo-nazi Frontière(s).
Ma, come in ogni film dell’orrore che si rispetti, a far da padrone è il “villain” di turno: persona più che personaggio, mimo più che attore, l’inquietante Nuot Arquint dà corpo – glabro ed asceticamente emaciato – al personalissimo “Frankestein” di Zampaglione. Torturatore muto con il pallino del collezionismo (di orrori storici), Mortis incarna, di nome e di fatto, la Nera Signora, indifferente e impietosa, voyeuristica e sadica, che fa delle sue vittime soggetti di celluloide. Arquint lecca rane allucinogene e si trastulla con manichini da sartoria come il Buffalo Bill de Il Silenzio degli Innocenti ma dei suoi trofei umani non sembra darsi gran pena.
La tortura è puro divertimento, priva di qualsiasi giustificazione se non l’emulazione dei grandi maestri della storia: nella galleria degli orrori Bush divide la parete con Hitler e Stalin e neppure Zampaglione, in tutta la sua non-italianità, disdegna la frecciatina critico-sociale alle brutture della guerra.
La Natura si ribella all’uomo, che pure non vuole domarla, inghiottendolo e dandolo in pasto ai suoi carnefici: i due cacciatori “montanari” (Chris Coppola e Ottaviano Blitch) vorrebbero trasformare la scampagnata di David e Angeline in un tranquillo weekend di paura, ma il loro destino è, se possibile, peggiore di quello riservato loro da Boorman (ennesima influenza del regista romano).
La tensione si snoda tra i boschi mentre la macchina da presa segue impazzita le prede braccate, in un susseguirsi di immagini rese frenetiche dal montaggio epilettico di Eric Strand, ma è quando cala la notte ed i fantasmi delle leggende escono dalle loro tane che il vero orrore ha inizio. Vieni/C’è una strada nel bosco/Il suo nome conosco/Vuoi conoscerlo tu: Claudio Villa risuona alla radio, ignaro dell’ironia che le sue parole possono suscitare. Tra le grinfie di un mostro alieno che di umano ha a stento le sembianze, vittima e carnefice si trovano fianco a fianco, ugualmente inermi, ugualmente privi di valore, pezzi di carne sul bancone di un macellaio.
Partendo da una sceneggiatura fin troppo minimale (scritta a sei mani con il padre e Giacomo Gensini), Zampaglione firma un horror estremamente asciutto. Talmente asciutto da impedire al terrore di montare proprio quando ce ne sarebbe più bisogno. La paura assillante, che martella senza sosta, non ha il tempo di maturare pienamente e colpisce a sprazzi, con schegge di follia improvvisa. E l’orrore, quello vero, resta confinato all’ultimo, crudele fotogramma. Per smarcarsi dall’etichetta “Tiromanicino” Zampaglione lascia la composizione della colonna sonora al fratello Francesco, in collaborazione con gli Alvarius.
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