R Recensione

8/10

Crosscurrent regia di Yang Chao

Drammatico
recensione di Francesco Ruzzier

Gao Chun, giovane capitano di una nave merci, si ritrova a risalire il fiume Yangtze, dalla foce alla sorgente, per rincorrere l'anima, il fantasma o l'idea di una ragazza che continua ad incontrare in ogni porto in cui approda, ricercando continuamente l'amore perduto raccontato da una serie di poesie trovate nella stiva della nave e che accompagnano il suo viaggio.

 

"Sicuramente c'erano anche dei sogni che si dimenticavano del tutto, dei quali non restava più traccia. tranne un certo strano stato d'animo, uno stordimento misterioso. Oppure si ricordavano solo più tardi, molto più tardi, e non si sapeva più se si era fatta un'esperienza reale o soltanto sognato. Soltanto... soltanto...!"

Arthur Schnitzler - Doppio Sogno

Sarà probabilmente capitato a tutti, almeno una volta nella vita, di entrare in una sala cinematografica mentre fuori splendeva la luce del giorno ed uscire venendo accolti dal buio della notte; oppure di entrare con il sole ed uscire con la pioggia, provando, quasi sempre, una sensazione un po' strana: questo malinconico senso di piacere è presumibilmente legato alla consapevolezza di una totale alienazione da ciò che accade nel mondo esterno, dalla perdita di ogni tipo di valore e significato - anche se solo per due ore - della vita di tutti i giorni. Isolato, nel buio del cinema, lo spettatore abita uno spazio e un tempo irreali, ma che, per la durata del film, sono l'unica cosa che conta. E così, uscendo dalla sala, si ha quasi la sensazione di aver compiuto un viaggio nel tempo.

A volte però accade che sia la visione stessa di un film, e non la "ritualità" della sala, ad investire lo spettatore con questo tipo di esperienza spiazzante, regalandogli il piacere di perdersi in un flusso ipnotico di immagini. È questo il caso del mistico ed enigmatico Crosscurrent del regista cinese Yang Chao, presentato in concorso alla 66ª Berlinale, dove ha vinto l’Orso d’Argento per la miglior fotografia.

Si tratta di un percorso spirituale che sembra riavvolgere il nastro di una storia d'amore e di fantasmi, nella quale si percepisce continuamente la spiritualità di momenti e situazioni appartenenti alla vita di chiunque e in cui è incredibilmente facile perdersi, compiendo così una fruizione non convenzionale e lineare del film, riempendo le immagini, le parole e i silenzi di pensieri e ricordi propri, riuscendo in questo modo a viaggiare con la mente al fianco del protagonista.

La cornice del fiume Yangtze, valorizzata da una fotografia eccellente e funzionale al racconto, contribuisce a dare al film quell'aura onirica necessaria all'immersione totale nelle immagini, e le poesie, trovate e lette dal protagonista durante il suo viaggio, si susseguono sovraimpresse sullo schermo creando una perfetta correlazione tra parole ed immagini e valorizzando, con la dovuta alternanza, i piccoli e intimi gesti dei personaggi e la magnificenza dei paesaggi.

A questo si aggiungono i grattacieli, i templi buddisti, i porti abbandonati e la natura incontaminata: tutti luoghi di una Cina perduta, irraggiungibile, ma immutabile come la protagonista, che conferiscono al film un'ulteriore chiave di lettura, più politica ed oggettiva, che trasforma il navigare nelle acque del fiume in una riappropriazione della spiritualità di una cultura.

Ma forse il pregio maggiore di Crosscurrent è quello di non esaurirsi in un vortice di pensieri ed emozioni, di non interrompersi, come spesso accade con i sogni, senza chiudere il percorso iniziato. È solo quando raggiungiamo assieme al protagonista la sorgente del fiume che ci viene finalmente regalata la visione d'insieme del percorso compiuto fino a quel momento: una veduta dall'alto che in una sola immagine racchiude tutto il fiume risalito controcorrente e con esso ciò che è stato rievocato durante il viaggio; un modo perfetto per chiudere il cerchio, gettare nell'acqua le parole dette e pensate e poter finalmente ripartire.

"Così continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato" Francis Scott Fitzgerald - Il grande Gatsby

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