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10/10

Dancer in the Dark regia di Lars von Trier

Drammatico
recensione di Alessandro Pascale

Selma è una giovane immigrata che dalla Cecoslovacchia è arrivata negli Stati Uniti, insieme al figlio Gene. Selma, però, è affetta da una grave malattia agli occhi che la sta rendendo, a poco a poco, completamente cieca, impedendole di lavorare e di dedicarsi alla sua grande passione, i musical hollywoodiani. Proprio la musica ed il ballo, infatti, sono per Selma l'unica via di fuga dalla realtà, dei sogni isolati all'interno dell'incubo della sua vita.

La ragazza continua a lavorare duramente, accumulando straordinari su straordinari, per pagare l'operazione che potrà salvare il figlio, affetto dalla sua stessa malattia, dalla cecità, ma l'uomo che ospita la sua roulotte nel suo giardino, un amico poliziotto di cui si fida, approfitterà della sua menomazione per ingannarla e rubarle tutti i risparmi. Da questo momento per Selma tutto diventerà sempre più difficile.

 

"Quando accettai la parte sapevo che questo sarebbe stato il primo e l'ultimo film della mia vita. Sono molto contenta che l'unico film della mia carriera sia stato Dancer in the dark."

(Bjork a Cannes dopo aver vinto la Palma d'oro)

Pare che la protagonista Bjork ogni giorno prima di iniziare le riprese del film andasse da Lars Von Trier manifestandogli il suo disprezzo sia verbalmente sia sputandogli in faccia. Pare che la causa siano stati i maniacali e forsennati ritmi imposti dal regista a tutta la troupe, Bjork compresa, obbligandola a ripetere decine e decine di volta le stesse scene. I più maliziosi a posteriori potrebbero anche puntare il dito sulla possibile constatazione della profonda incoerenza tra le ambiguità politico-ideologiche del regista, accusato di simpatie per il nazismo, e la struttura di un film pronto a diventare uno dei più roboanti inni alla vita mai concepiti dall'arte cinematografica.

Dancer in the Dark rappresenta infatti soprattutto questo: un potente manifesto che trasuda la voglia di vivere intrecciarsi con il sogno, la schiettezza con la fantasia, l'onirismo con la tenacia. Il tutto racchiuso nell'incredibile personaggio di Selma, interpretata magistralmente (tanto da meritare perfino la Palma d'oro come miglior attrice) da una Bjork fortissimamente voluta dallo stesso Von Trier, che in sua assenza pare si sarebbe rifiutato di portare avanti il film. E pensare che inizialmente l'artista islandese, con scarsissima esperienza cinematografica alle spalle, era stata contattata solo per la realizzazione di una colonna sonora anch'essa magistrale (basti pensare che I've seen It all, collaborazione tra Bjork, Sjon e Lars Von Trier, per poco non vinse pure l'oscar come miglior canzone nel 2001): ogni traccia inizia con dei rumori che mutano lentamente in musica, accompagnando l'abbandono della realtà della sognatrice Selma verso un mondo fatto di canti, balli e coreografie di gruppo. In pochi istanti si esce dalla dura, monotona e grigia realtà di fabbrica e dalla degradante miseria affliggente la parte più svantaggiata del proletariato industriale americano (anzi immigrato, anticipando anche il tema che verrà sviluppato molto in Dogville), per approdare verso i sogni hollywoodiani, in cui Selma diventa la star vivace, scattante ed eccitante, ribaltando la sua natura timida, prudente e schiva.

Lars Von Trier ha parlato non a torto di un anti-musical, in cui la cura formale per i momenti musicali è evidente, ma totalmente inedita è la totale contradditorietà e asimmetria con il mondo reale da cui invece ama astrarre la protagonista, la quale peraltro è afflitta da grossi problemi di salute che la conducono nel corso del film a diventare cieca. A confermare il carattere anti-idilliaco è la presentazione dei personaggi, la maggior parte dei quali gretti e meschini, spinti a loro volta a tale de-evoluzione dalle costrizioni economiche e dalle norme sociali dominanti. A livello stilistico tutto ciò viene reso con un'impostazione ultra-realistica garantita da una costante ripresa con camera a mano, secondo il modello già fissato dal regista ne Le onde del destino (peraltro questo film, assieme a Idioti e al qui presente, costituiscono la cosiddetta Trilogia del cuore d'oro).

Ne segue una visione disturbante e alienante, in cui l'immedesimazione con le disgrazie della protagonista si fa totale, causata da una dilagante pietà che si prova per la sua genuinità, la sua gentilezza, il suo altruismo, schiacciati come ramoscelli dal bulldozer dell'egoismo umano.

L'intera parte finale del film diventa così un lento martirio in cui il dolore della protagonista diventa sgomento reale per lo spettatore, a tal punto coinvolto nella vicenda da non poter credere possibile il tetro e violento finale che rende Dancer in the Dark un atto d'accusa spietato verso ogni ontologica ingiustizia umana, più che verso il contingente sistema carcerario americano o la pena di morte. Il dramma tragico costruito attorno alla sua storia è qualcosa degno di essere accostato alle grandi storie raccontate da Sofocle, Eschilo ed Euripide, in un'atmosfera eterea, fuori dal tempo ma in grado di toccare un livello artistico, etico ed umano in termini assoluti, squarciando anche i cuori più duri ed abituati alla violenza del reale quotidiano. Dancer in the Dark è un film che piangere. E non soltanto la lacrimuccia, ma proprio un pianto a singhiozzo.

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Voto degli utenti: 9,3/10 in media su 6 voti.

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Stefano Luigi Maurizi (ha votato 10 questo film) alle 22:26 del 18 settembre 2017 ha scritto:

Il miglior Von Trier, a mani bassissime