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8/10

Nymphomaniac: Vol. II regia di Lars von Trier

Drammatico
recensione di Alessandro Pascale & Maria Eleonora C. Mollard

Joe continua il racconto della sua vita da ninfomane ormai adulta. Se nel primo volume dell'opera venivano descritti 5 episodi riconducibili per lo più alle fasi dell'infanzia e dell'adolescenza qui vengono raccontati tre episodi denominati "The Eastern and the Western Church (The Silent Duck)", "The Mirror" e "The Gun".

Alessandro Pascale:

Quei maledetti ultimi due minuti...

Riesco quasi a immaginarmi il ghigno soddisfatto di Lars Von Trier mentre scrive, gira e realizza come finale dell'opera titanica Nymphomaniac quei maledetti ultimi due minuti che annientano completamente lo spettatore giunto al termine di 4 ore (5 e mezza nella versione integrale) di visione estenuante fatta di peni, vagine, seni e amplessi più o meno pacati.

Ma andiamo con ordine: il secondo volume dell'opera ci trascina oltre il periodo adolescenziale di Joe. Stacy Martin, la conturbante Joe della giovinezza lascia il posto a Charlotte Gainsbourg, che oltre al ruolo di narratrice diventa anche la protagonista fisica effettiva della seconda parte del racconto sulle proprie peripezie sessuali. Il dato non è irrilevante e la differenza balza subito all'occhio: ammaliante ed a tratti eccitante (pur con notevoli punte di grottesco) era la prima parte, in cui spiccava l'aspetto più sensuale, innocente ed anche eccitante della storia; sempre più cupa, torbida ed esasperante diventa la seconda parte, in cui la rappresentazione delle perversioni di Joe raggiunge livelli sempre più avanzati e decadenti. Lo stacco è dato dalla crisi vissuta da Joe, che segna uno spartiacque nella sua vita: una crisi sessuale che nasconde la sua profonda incapacità di restare nei canoni psicologici e sociali richiesti dalla vita familiare borghese. Di qui il triste epilogo della sua vita “normale” con Jerome, con cui pure per un periodo riesce ad instaurare una vita quasi normale, per quanto insoddisfacente sotto diversi aspetti.

È questo mal de vivre, questo spleen esistenziale (prima ancora che fisico, nonostante lo si presenti in un rapporto invertito, concentrandosi sull'ansia sessuale come causa del problema), che la porta alla ricerca di esperienze sempre nuove, spingendo ai confini del torbido la sua curiosità e voglia di esplorare. Nell'intraprendere questo percorso verso gli inferi però Joe viene emarginata sempre più dalla società, motivo che la spinge a riscoprire l'originaria ribellione giovanile, appesantita però tragicamente dalla disillusione e dallo scorrere impietoso degli anni. L'approdo finale è quindi la vita criminale, accompagnata dalla scoperta salvifica dell'omosessualità che sfiora quasi la pedofilia. Un percorso però troppo instabile e precario perché possa mantenersi in equilibrio a lungo. Il che ci riporta all'inizio del film: all'abbandono e al pestaggio subito in un vicolo sperduto dove viene trovata e salvata dal mite Seligman.

È una seconda parte che sembra fino a questo punto più opaca rispetto al primo volume. Nonostante il filo della narrazione regga, i ritmi si fanno più asfittici e pesanti; l'impressione che si stia girando in tondo con uno stile un po' manierista e fine a sé stesso si affaccia spesso nella mente dello spettatore. Le splendide similitudini formulate nel primo volume da Seligman cedono il passo a paragoni meno entusiasmanti e brillanti, come arriva peraltro a dire esplicitamente la stessa Joe nel corso del film. Quel che potrebbe però sembrare la constatazione di un'opera imperfetta ed incompleta trova tutto il suo senso in quei due maledetti minuti finali.

Siamo al termine del racconto: Joe, dopo aver ripercorso la sua vita, si affaccia alla finestra e scorge un simbolico raggio di sole sul muro dello stabile opposto. La notte è finita. Lo sprazzo di luce indica un nuovo giorno, una rinascita. Von Trier ci stupisce, facendo decidere ad una Joe rinfrancata psicologicamente dal racconto, una svolta nella propria vita: d'ora in avanti rinuncerà al sesso, dal quale si è lasciata guidare verso il degrado per tutta la sua vita. L'incontro con Seligman, il primo uomo al quale abbia raccontato le sue vicende biografiche, trovandovi comprensione e appoggio simpatetico, è stato fondamentale. Il nuovo proposito è giunto. Una nuova vita può reiniziare. Dopo una notte in bianco ci si può finalmente mettere a dormire ringraziando il caro amico Seligman per le cure fisiche e spirituali. Si spegne la luce. Si chiude la porta. Buio. Potrebbe finire il film, dando un senso di edificazione morale e umanistica, mostrando la virtù maieutica del dialogo e della condivisione delle esperienze, dell'importanza di incontrare la verginità, la purezza, l'innocenza capaci di offrire una guida salda per l'avvenire.

Invece il film non finisce. Arrivano i fatidici due minuti. Di colpo si capisce come Joe, nello scaricarsi la coscienza dalle scorie di una vita, non sia riuscita a purificarsi senza infettare l'amico Seligman, del quale si comprende ora la minore ispirazione intellettuale della seconda parte del film: la sua anima filosofica marciva e si impoveriva nella crescente interazione con una donna in cui evidenzia lui stesso più volte richiami e simbolismi satanici e blasfemi. La metafora religiosa si fa evidente: il peccato trionfa. Non c'è spazio per il perdono. Non c'è spazio per la resurrezione dell'anima, che nonostante i buoni propositi precipita nell'abisso. Questi due minuti quindi stravolgono il senso finale dell'opera. Lars Von Trier ci ricorda con un atto di estrema malizia e perfidia che l'essere umano è corrotto e corruttibile. Ogni essere umano. Senza eccezioni. L'essere umano è una bestia in preda ai propri istinti. Non c'è ragione che tenga. Non esiste purezza capace di resistere. Tutto il percorso di redenzione e di alba di una nuova esistenza va letteralmente in frantumi.

Mi rivolgo direttamente a Lars Von Trier: probabilmente hai ragione. Ma il modo in cui ci hai ricordato per l'ennesima volta la tua volontà di indagare pessimisticamente sui sentimenti umani più infimi ha questa volta qualcosa di estremamente frustrante e violento.

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Maria Eleonora C. Mollard:

La prima parte di questo feuilleton ci aveva lasciato con la nostra (anti)eroina incapace di provare piacere. In questo secondo tempo la ritroviamo ancora stesa nel lettino di Seligman (Stellan Skarsgårda), l'ospite, lo spettatore attivo di un film già concluso, a continuare il suo racconto intervallandolo con aneddoti inverosimili: come l'orgasmo spontaneo provato a dodici anni, mentre stesa sull'erba vide due figure eteree di donna. Se Joe (Charlotte Gainsbourg) si aggrappava a quel ricordo divino, Seligman analizzando il racconto, le offre un quadro più satanico di quella visione composta da Valeria Messalina e la puttana di Babilonia.

Il ciclo di Joe rinizia

Capitolo 6

La Chiesa orientale e la Chiesa occidentale (la papera silenziosa)

dove Seligman spiega brevemente lo scisma della religione cristiana nella Chiesa orientale focalizzata sul perdono e la trasfigurazione e la Chiesa occidentale imperniata sulla sofferenza e sulla crocifissione. E, da qui, Joe (nel passato ha ancora il volto di Stacy Martin) conduce il suo ascoltatore nella ricerca del suo paradiso perduto. Così sappiamo che sposata con Jerome (Shia LaBeouf), da lì a poco diventa madre di un bambino non programmato, Marcel (Jacob Levin- Christensen), e insoddisfatta sessualmente, come una tigre in gabbia, viene liberata dal marito che, giocando d'anticipo, le propone a denti stretti una relazione aperta; ormai provato dai ritmi compulsivi del sesso fine a se stesso.

E qui Von Trier, alleggerisce la sofferenza di Joe con una vena comica che pervade più episodi: la scommessa tra i coniugi al ristorante (da sottolineare il cameo del grande Udo Kier), il gioco di ruolo in un ingorgo stradale e il teatrino dei due africani nel rapporto a tre (e qui subentra nell'arco temporale Charlotte Gainsbourg).

La discesa continua e, noi con la protagonista, brancoliamo nel buio (nella parentesi tra il cap. 6 e il 7, uomini pericolosi, cosa ha vissuto esattamente la ninfomane del titolo?) fino a giungere a K (un Jemie Bell sadico e convincente) un uomo violento che si mette a disposizione (?) di chi cerca qualcosa di estremo. L'edificio in cui accoglie le clienti sembra disabitato, spoglio, asettico. Le luci sono fredde, K non bacia la fila di donne silenti che lo attendono, non vuole un rapporto sessuale con loro. Ci sono poche regole e la peggiore è che non esiste nessun Fidelio per entrare o per uscire dalla “stanza dei giochi”.

Dimentica dei suoi doveri di madre, il giorno di Natale, incapace di tenersi lontana dall'entropia della sua vita e dalla routine col suo aguzzino, verrà abbandonata da un marito pieno di rancore e da un figlio che è come un estraneo.

Capitolo 7

Lo Specchio è l'episodio più sottotono, dove il mondo non può più contenere la sua dipendenza.

Lo schema di Joe è la giornata tipo di un tossico. Al mattino il suo unico pensiero è come procurarsi una dose, poco importano le modalità, diventa il suo obiettivo giornaliero e così via, per ogni giorno della sua vita finché non viene costretta dal lavoro a seguire una terapia.

In quell'angosciante e brevissima scena della disintossicazione sessuale, dove arriva a nascondersi dalla sua immagine allo specchio prima di mandare all'aria tutto con un discorso che non fa onore alle Riot Grrrl (o al lato femminile del regista), dove si convince che la sua particolarità è qualcosa che va oltre ai meri problemi psicologici delle altre sex addicted coinvolte nella riabilitazione. Lei è la ninfomane.

Capitolo 8

The Gun ovvero dove Joe rinuncia alla vita di società per quella criminale e usa le sue pulsioni come metodo di sopravvivenza.

L, un Willem Defoe un po' (strano a dirlo) anonimo e poco delineato dal regista, gestisce quello che ama chiamare un recupero crediti e istiga Joe, dopo aver lavorato con lui per anni, a cercare una sua erede tra le giovani disadattate frutto di una famiglia deviata dai crimini o dal vizio.

P (Mia Goth) è una ragazzina di quindici anni, insicura per via di una malformazione all'orecchio, e circondata da una solitudine pari a quella della nostra eroina, che la segue mentre gioca a basket, per circuirla e farla diventare la sua protégé.

Epilogo

Father? Yes son? I want to kill you

Mother, I want to... fuck you

In cui P raggiunta la maturità si offre alla sua educatrice in una scena materna/incestuosa colmando quel distacco che ha caratterizzato il rapporto di Joe con la sua distaccata madre.

P si dimostra subito instabile nel rapportarsi ai suoi "clienti" minacciandoli con una pistola, senza perdersi nei trucchetti mentali usati dalla sua tutrice per ottenere quello che vuole. Il caso (?) vuole che uno dei tanti affari includa Jerome (con il volto di Michael Pas, siamo sinceri, era necessario questo cambio per due brevissime scene?) da cui P stessa dovrà riscuotere i soldi in sei rate che diventeranno appuntamenti che porteranno Joe a quel vicolo buio e umido all'inizio del primo volume.

La pornografia è noiosa, Lars Von Trier no(n del tutto)

Probabilmente sarebbe stato più onesto prendere le ore e ore di girato e farne una miniserie che ci desse il tempo di simpatizzare per i protagonisti, alleggerire gli attimi di impasse con una cadenza settimanale (a lui la scelta) e una durata ad episodio in linea con i prodotti odierni. Per ora, possiamo fare solo “speculazioni” su questa versione ridotta.

Lars Von Trier dimostra di aver ancora la capacità di strapparci una smorfia, cosa che non succedeva da “Il grande capo”. Gli appunti di Seligman diventano più rari e meno sfasati (e fastidiosi) rispetto al racconto di Joe; lo split screen viene usato al momento giusto (e in modo comico), la natura della protagonista viene scoperta senza riserve e, a dialoghi intellettualoidi si alternano attimi in cui la sapienza registica del discusso autore viene a galla.

L'albero dell'anima, quando Joe trova il suo albero (come il padre), magnificamente deformato, aggrappato alla terra mentre i rami tendono disperatamente al cielo, fa parte della scena più classica di tutto il film, e la fotografia di Manuel Alberto Claro dona una natura divina all'ennesima Donna del regista. Se è vero che la società non ha posto per Joe, nell'epoca in cui i film distribuiti tra tot mesi all'estero sono disponibili oggi in versione lo-fi, e siamo bombardati di continuo da un'offerta spesso soddisfacente, è incredibile che al di là di tutto il battage (antipatico) dei mesi scorsi , quest'opera (nella sua completezza) sia tra le più discusse dell'anno.

Il finale forse, è un po' prevedibile (considerando che la confessione di Joe, è per Seligman un preliminare estenuante) ma non ci è dato modo di vederlo del tutto. Lo schermo diventa nero, il cerchio si chiude, è il momento di un'altra seduta, un altro pubblico e un altro film in un ciclo di continuità che non si spezzerà mai come quell'infinito sommato da Joe quando Jerome spezzò il suo sigillo riversando il male di questa donna nel mondo e il male del mondo in questa donna.

 

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Voto degli utenti: 6,9/10 in media su 7 voti.

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alexmn (ha votato 8 questo film) alle 11:41 del 24 aprile 2014 ha scritto:

il capitolo 8 mi è sembrato il più debole. la divagazione sulla nuova vita criminale di joe è troppo breve per sembrare quantomeno verosimile, così come la trasformazione di P da ragazzina insicura a giovane donna spietata che non guarda in faccia nemmeno a chi l'ha tirata fuori da un infausto destino. va bene le ellissi temporali, però il passaggio per entrambe avviene in modo troppo rapido da poterci credere..

comunquemente, ottimi entrambi i punti di vista su un'opera che nel complesso ho apprezzato assai e che da' il massimo rivedendo di seguito entrambi i capitoli.

alejo90 (ha votato 8 questo film) alle 18:43 del 24 aprile 2014 ha scritto:

concordo, spero che la versione integrale approfondisca di più questi aspetti che anche a me sono parsi eccessivamente superficiali e sbrigativi

alejo90 (ha votato 8 questo film) alle 18:52 del 24 aprile 2014 ha scritto:

PS: aggiungo che sono anche d'accordo con Maria circa la sostituzione attoriale di LaBeuf, che ho personalmente trovato talmente fastidiosa da avermi suscitato malessere

Alessio Colangelo (ha votato 8 questo film) alle 19:38 del 25 aprile 2014 ha scritto:

aggiungerei solo "Quei maledetti ultimi due minuti per fortuna che ci sono!"

Bellissime recensioni comunque mi trovo molto d'accordo anche sul voto.

MariaEleonora alle 21:30 del 25 aprile 2014 ha scritto:

Pazzo Trier amalo

misterlonely (ha votato 4 questo film) alle 2:40 del 26 aprile 2014 ha scritto:

Solo il fatto di iniziare un film con mezz'ora di discorsi è insopportabile, esemplare la parte sulla chiesa d'oriente e d'occidente con tanto di foto presa da google immagini giusto per tenere sveglio lo spettatore che sta già dormendo da venti minuti. Anche in questo capitolo pezzi di sceneggiatura completamente insensati, la parte con Jamie Bell lunghissima, decontestualizzata e forzatamente assurda, perché bisogna per forza scandalizzare gli intellettuali fan di Von Trier dell'ultim'ora. Svolta gangster con l'arrivo di Willem Dafoe, ancora una volta senza alcuna giustificazione né spiegazione di alcun tipo. Infiliamoci i Talking Heads perché fa figo. Questa seconda parte per me si distingue in positivo dalla prima per sole due cose: la scena con il "pedofilo", unica parte in cui si tira fuori anche un concetto un minimo coraggioso e interessante per fortuna dopo un mare di banalità e frasine fatte sulla vita e l'amore. seconda cosa bella senz'altro il finale, l'unica cosa del film che non è retorica e perlomeno è onesta nei confronti dello spettatore. menzione speciale va alla scena con i due neri presa direttamente da una sceneggiatura mai realizzata di Neri Parenti. ma è Von Trier quindi è per forza capolavoro, non sia mai.

tramblogy alle 12:31 del 3 dicembre 2014 ha scritto:

azz...questo è il primo lars che non mi è piaciuto, a parte i dialoghi interessanti, non so....probabile che non mi sia piaciuta la storia, e la fine sembra forzata...mha??!!