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8/10

Melancholia regia di Lars von Trier

Fantascienza
recensione di Fulvia Massimi

La depressa Justine manda a monte il suo matrimonio a poche ore dall'inizio del ricevimento mentre la sorella Claire si lascia angosciare dal passaggio di un pianeta in rotta di collisione con la Terra. L'orbita di Melancholia non incontrerà soltanto quella terrestre ma anche quella delle due donne, condizionandone la (breve) esistenza.

Nel 2009 fu con lo scioccante Antichrist che Lars Von Trier - autore tra i più controversi del panorama cinematografico contemporaneo - divise il pubblico di Cannes tra accaniti detrattori ed entusiastici cultori (spaccatura che interessa pressoché interamente la sua carriera). Oggi, a soli due anni di distanza dalla pellicola che valse a Charlotte Gainsbourg il premio per la miglior interpretazione femminile, le dichiarazioni inutilmente provocatorie rilasciate dal regista danese in conferenza stampa rischiano di adombrare la potenza stregante della sua ultima fatica: Melancholia, dramma fantascientifico e pre-apocalittico di un'umanità proiettata verso l'inevitabile distruzione.

Attirando l'interesse mediatico della stampa più o meno specilistica su presunte simpatie naziste piuttosto che sulla struggente bellezza della sua pellicola, Von Trier - che dopo quasi trent'anni di onorata frequentazione non sarà più ospite gradito sulla Croisette - offre l'ennesima conferma di una propensione allo scandalo che se da un lato strizza l'occhio al botteghino, dall'altro impedisce ai suoi lavori di guadagnarsi un'esistenza ed un riconoscimento autonomo, scorporati dalla fama ambigua e ambivalente del loro creatore.

Ormai lontano (ma non per questo dimentico) dai tempi di Dogma 95, Von Trier sconfessa i principi del movimento "purificatorio" fondato a Copenaghen nel marzo del 1995 per dedicarsi ad una ricerca estetica di indiscutibile pregio: una linea continuativa che recupera molte delle scelte operate già con Antichrist. Dopo la parentesi comica de Il grande capo - dove le risorse randomizzate dell'automavision venivano impiegate con esiti stranianti e divertiti - il cineasta danese si volge ad una sorta di rinnovata sperimentazione, uno stile curato, analitico e certamente non casuale nel quale l'elaborazione di contenuti personali, disturbanti e, per alcuni, opinabili non vieta tuttavia di leggere l'esaltazione  di un valore artistico indipendente dalla natura del suo autore (un discorso applicabile, ad esempio, ai lavori della Riefensthal).

Il lunghissimo prologo in slow-motion, esaltato dalla fotografia preziosa di Michael Alberto Caro, richiama immediatamente alla memoria l'incipit di Antichrist ma la sua capacità seduttiva esula dall'illustrazione di una carnalità artisticamente pornografica per riferirsi invece alla dimensione del sogno o piuttosto dell'incubo: una sequenza di immagini oniriche e flashforward, inframmezzati da epifanie apocalittiche (affidate, come in Antichrist, al mondo animale) e citazioni iconografiche non meno rivelatrici (Justine galleggia sull'acqua come l'Ofelia shakespeariana dipinta da Millais), scorre al ritmo lento e ammaliante del leit-motiv wagneriano (il preludio al Tristano e Isotta, non meno efficace di Händel), generando un effetto ipnotico d'impatto analogo.

Otto minuti sono sufficienti a Von Trier per dare prova di sé, condensando in uno spazio-tempo ristretto eppure paradossalmente dilatato la disintegrazione dell'universo conosciuto: il collasso dell'esistenza filtrato attraverso gli occhi spenti e il grido muto di due donne rimaste sole alla fine del mondo. Melancholia procede allora - come il pianeta fittizio da cui prende il titolo - a rivelare il senso di tali anticipazioni, avvicinandosi gradualmente ma con incombenza pressante al momento della verità. Attraverso una struttura sdoppiata, che segue in due capitoli divisi le sorti prima di Justine e poi di Claire, la sceneggiatura di Von Trier si serve dell'individuo per raccontare l'universale, traducendo in scrittura ciò che Kubrick era solito fare con la carrellata: un allargamento di campo e di prospettiva che nelle intenzioni registiche del film-maker danese trova invece diversa realizzazione.

La predilezione insistita per la camera a mano (e il senso di precarietà ad esso associata) rimanda in qualche modo al realismo anti-tecnologico di Dogma ma col risultato (in principio tenacemente rifiutato) di mettere in risalto l'individualità, la responsabilità e il senso di presenza autoriale dietro l'obiettivo. Un obiettivo che si incolla al personaggio senza fornirgli tregua ma che al soffocamento del primo piano alterna il respiro vasto e inquietante del campo lungo e della plongée, trasferendo l'anima anfibia del film - giocato appunto sul continuo rimbalzo dal particolare al generale - in un discorso registico estremamente strutturato.

Il bipolarismo, psicologico e concettuale, si afferma quale cifra fondante del lavoro di Von Trier, intenzionato ad esplorare nuovamente le derive di una depressione che lo coinvolge in prima persona. A Kirsten Dunst - giustamente premiata a Cannes, come la Gainsbourg prima di lei - il regista affida allora un ruolo ostico e quasi camaleontico (da sposa raggiante a relitto umano il passo è brevissimo), che rimanda in fondo alla complessità di un cinema nel quale l'attenzione al femminile si accompagna alla fatica fisica ed emotiva di rappresentarlo.

Spesso tacciato di discutibile misoginia, Von Trier si addentra nella personalità enigmatica e ambivalente della Donna -  di cui ritrae il lato umano come quello diabolico (o, nel caso di Justine, patologicamente schizofrenico) - lasciandole l'ingrato ma necessario compito di constatare la corruzione del mondo (racchiusa nel lucido dialogo tra le due sorelle) e assistervi impotente, mentre l'Uomo - pavido, sfuggente, inutile (i personaggi interpretati da Alexander Skarsgård e Kiefer Sutherland subiscono tutto il disprezzo del regista) - si defila con egoismo, senza offrirle  alcuna difesa.

La fine annunciata non è per questo meno sconvolgente: nell'azzeramento di ogni forma di vita essa non cancella però l'intensità del terrore (splendidamente inscenato dalla Gainsbourg negli istanti finali del film) e del disagio che Von Trier è in grado di incanalare nella sua opera, un'energia silenziosa che genera sgomento ma anche sollievo, poichè da essa si sprigiona l'esito liberatorio di una follia comunque destinata ad autoannientarsi. Il grande scalpore internazionale generato dalla gaffe del regista è allora ben poca cosa di fronte alla maturità del suo lavoro, elogio di una malinconia che annichilisce e conquista e che non potrebbe trovare forma più elevata entro cui trasfigurarsi.

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Voto degli utenti: 8,4/10 in media su 14 voti.

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alexmn (ha votato 8 questo film) alle 0:42 del 28 ottobre 2011 ha scritto:

personalmente credo che il salto a livello di forza narrativa e profondità di contenuti rispetto ad Antichrist sia enorme. come hai ben evidenziato, la bellezza del prologo di melancholia (titolo stupendamente-tremendamente evocativo) fa scomparire dalla (mia) mente il senso di inutilità (quasi di fastidio) che mi aveva lasciato l'inizio (nonchè tutto il resto della pellicola) di Antichrist.

dove quel film sembrava non saper bene dove andare a parare, l'incisività di melancholia è incredibile. aldilà di quelle dichiarazioni maldestre e del relativo imabarazzo da cui non seppe uscire, con questo film Von Trier sapeva esattamente cosa raccontare e l'ha fatto con tutto il talento di cui è capace.

kirsten dunst bravissima, ma so di essere poco oggettivo perchè la adoro da sempre.

e complimenti fulvia per una recensione che ho apprezzato soprattutto nel passaggio sul bipolarismo psicologico-concettuale e nell'analisi del prologo (spazio-tempo ristretto eppure paradossalmente dilatato).

ero sul piede di guerra con il buon lars e invece ha saputo sorprendermi.

ps: senza voler sminuire la gravità delle dichiarazioni di von trier in conferenza stampa, trovo eccessivo il perbenismo e il (finto) pudore di chi l'ha dichiarato non più gradito ospite a Cannes. con quello che si vede/sente/legge in giro, è proprio una scelta infantil-reazionaria.

hayleystark, autore, alle 8:22 del 28 ottobre 2011 ha scritto:

E diciamo anche politica(mente corretta)... Antichrist - che non ho visto in sala ma con un certo ritardo (e quindi potenzialmente influenzata da tutta una serie di articoli/recensioni ecc.. particolarmente ambivalenti) - continua a lasciarmi con un senso di disturbo ma non necessariamente di negatività. Non riesco a pensare che si tratti di violenza gratuita ai danni di chi guarda, anche perché la cura estetica che lo avvolge è a suo modo sorprendente. Allo stesso tempo, quindi, ho trovato incomprensibili certi pareri negativi espressi in rete su Melancholia - considerato un passo indietro (se non addirittura l'avvio del declino) per Von Trier. Secondo me, e lo ribadisco, qui l'impianto formale e il contenuto del film si pongono finalmente su un piano di equivalenza, dandosi risalto a vicenda. E la crudeltà che tanto connota il cinema di Von Trier c'è e si vede (il personaggio della Rampling è atroce). Anche nella scarsa ponderazione con cui considera le sue uscite pubbliche: certe battute non le faresti neanche in casa di amici stretti... Ma se dovessimo lasciarci coinvolgere ogni volta dal tam-tam mediatico non avrebbe nemmeno più senso andare al cinema.

alexmn (ha votato 8 questo film) alle 10:56 del 28 ottobre 2011 ha scritto:

non comprendo nemmeno io i pareri negativi...e non riesco a togliermi dalla testa che le inutili polemiche post-cannes abbiamo influenzato in qualche modo i giudizi.

detto questo, considero melancholia una sorta di nuova maturità artistica per von trier..anni luce lontana dal dogma, ma in realtà più vicina di quanto non sembri come tipologia di ricerca e come forza del linguaggio.

mea culpa per non aver menzionato la rampling..atrocemente magnifica. in generale tutto il cast funziona a meraviglia..con tutti quei gran attori.

loson79 (ha votato 9 questo film) alle 12:00 del 21 dicembre 2011 ha scritto:

Il miglior Von Trier dai tempi di Dogville e forse - azzardo - il migliore in assoluto. Di certo il mio preferito, assieme a quello di Europa. Vade retro Antichrist sei pattume.

Peasyfloyd (ha votato 8 questo film) alle 20:32 del 19 gennaio 2012 ha scritto:

inizialmente non avrei saputo dire se mi piacesse davvero, perchè Melancholia è un film che a larghi tratti ti irrita, sia per come è girato (bellissimi i primi 8 minuti, per carità, fotograficamente perfetti, ma nessuno ha pensato almeno un momento "minchia, iniziamo bene, slow-motion che non finisce più e colonna sonora pomposa e magniloquente a stecca"?) sia per il ritratto dei personaggi e il lungo no-sense della narrazione (diamine la "sposa" Dunst avrei voluto prenderla a schiaffi, e a lungo l'unico motivo di interesse è stato il suo decolleté...).

E' nella seconda parte che il film trova pieno motivo di spiegazione di sè stesso, e rivaluta tutta la parte precedente spiegandola senza peraltro neanceh dover fare ricorso ad una spiegazione precisa. Quello che ne esce alla fine è un film imponente per lo scopo che ottiene: riuscire a far ragionare sulla vita umana nel suo complesso, sulla sua fragilità e insignificanza come sulla sua incredibile ricchezza e preziosità quotidiana. Il finale è uno dei più sconvolgenti mai visti al cinema. Ho visto persone uscire dal cinema stordite che non riuscivano neanche a fare frasi dotate di senso...

L'analisi tecnica di Fulvia altrettanto impressionante, ma ci siamo abituati dai

hayleystark, autore, alle 21:26 del 19 gennaio 2012 ha scritto:

RE:

Ti appoggio completamente su Justine: insopportabile per quasi tutto il film (ti verrebbe voglia di soffocarla col polpettone), si riscatta sul finale (sapere che se ne andrà al creatore di certo aiuta...) e, a maggior ragione, tanto di cappello alla Dunst per essere così "mobile" (sulla Gainsbourg il giudizio positivo è perfino superfluo). Del prologo, che dire, ormai da Lars ci si può aspettare di tutto - e io, manco a dirlo, ADORO quella sua sfacciatissima paraculaggine.

alejo90 (ha votato 9 questo film) alle 13:52 del 20 gennaio 2012 ha scritto:

Questo film, che vanta uno dei più bei finali della storia del cinema, è qualcosa di certamente anomalo, ma non troppo: insomma sebbene il genio di Lars von Trier gli permetta di realizzare pellicole che per originalità, inventiva ed estetica siano tranquillamente in grado di eclissare la maggior parte delle produzioni contemporanee, con Melancholia pesca a piene mani dagli stilemi del Dogma 95, specie nella prima delle due parti in cui è diviso il film (parti che prendono nome dalle due sorelle: Justine e Claire), ed in particolare il richiamo a Festen (199 di Thomas Vinterberg, il primo film creato con le regole del manifesto.

La situazione di partenza è infatti talmente simile da ritenere impossibile escludere una mancata influenza: una grande famiglia dell'aristocrazia danese riunita in una magione di campagna a massacrarsi (psicologicamente) l'un l'altro. Sebbene le motivazioni siano diverse, infatti, anche il fulcro di questo film sono le frustrazioni che agitano gli animi dei protagonisti e che portano questi famigliari ad attaccarsi a vicenda. Il legame fra le due sorelle è tuttavia molto forte, e gli sforzi compiuti soprattutto da Claire fanno sì che tale rapporto superi le incomprensioni. Ma c'è un altro piccolo problema: il mondo è a rischio distruzione causa avvicinamento del pianeta Melancholia. C'è davvero un senso di precarietà continua, di angoscia metafisica che pervade tutto il film, dai primi minuti in slow motion (il precedente capolavoro Antichrist iniziava allo stesso modo) all'inquadratura finale, un senso di vuoto e di catastrofe imminente, pur rimanendo nell'ottica di un film raccolto, quasi claustrofobico, totalmente schiacciato sull'uomo: pochissime sono le visuali dallo spazio, la maggior parte delle volte che vediamo il pianeta avvicinarsi, lo vediamo dalla prospettiva dei personaggi. E la malinconia è davvero il sentimento che pervade lo spettatore durante la visione: un senso di impotenza, di tristezza mista a rassegnazione, eppure di sconvolgimento emotivo, di ansia di azione; lo spettatore si dibatte in una gabbia come fanno i personaggi del film. Trier è come al solito distaccato, impassibile di fronte agli avvenimenti, eppure sotto sotto totalmente partecipe, per due motivi: 1)Trier è un uomo, e come tale la fine del mondo riguarda anche lui 2)è un film al solito estremamente personale, nel senso che mette in scena le angosce e le paure del regista in primis, malato cronico di depressione e generalmente pessimista riguardo il genere umano.

Il cast è eccellente, a cominciare dalle due protagoniste (donne, come quasi sempre capita nei film del regista danese); la fotografia di Manuel Alberto Claro è fredda, nero-bluastra, cimiteriale; molto belli anche costumi e scene (esterni girati al Tjolöholm Castle). Bella colonna sonora con pezzi classici, come nel film precedente.

Che altro dire? L'ennesimo capolavoro di von Trier.

hayleystark, autore, alle 13:58 del 20 gennaio 2012 ha scritto:

RE:

Anche qui una doppia recensione si poteva fare

Peasyfloyd (ha votato 8 questo film) alle 14:28 del 20 gennaio 2012 ha scritto:

tra l'altro leggendo questi versi mi è venuto in mente proprio questo film. Mi sembrano perfetti per descrivere l'essenza dell'opera:

«il vivere mi inorridisce

e affascina

siamo minimi microbi

in bilico distratto

tra disperazione e presunzione»

(Danilo Dolci)

Marco_Biasio (ha votato 8 questo film) alle 0:40 del 6 maggio 2012 ha scritto:

Su Antichrist ho dovuto ragionarci parecchio, anche solo per capire se mi piacesse oppure no. Questo è molto meno cerebrale e molto, molto più potente. L'estetica del prologo in slow motion lascia il tempo che trova (preferivo il bianco e nero di Antichrist con Lascia ch'io pianga di Handel): la polpa è tantissima e si lascia gustare con relativa facilità. Didascalia dei dialoghi a parte, concordo con tutto quello che hai detto tu, Fulvia: fantastico il degenerare irreversibile della fragile psicologia dei personaggi femminili, ed impressionante il distacco, il disprezzo che Von Trier rovescia sui personaggi maschili (basti vedersi il marito di Claire, scienziato ricchissimo, sicuro di sé, sempre convinto di agire nel bene suo e in quello degli altri, che alla fine non solo sbaglia le previsioni sulla collisione di Melancholia con la Terra, ma addirittura non sa nemmeno quante siano le buche del suo campo da golf!). Scena finale quasi kubrickiana. Menzione d'onore per Kirsten Dunst, sempre più bella e sempre più brava, specie nella prima parte.

bargeld (ha votato 8 questo film) alle 17:56 del 15 giugno 2012 ha scritto:

Finalmente l'ho recuperato! Che dire, Fulvia, credo che la tua sia l'analisi più lucida che io abbia letto (non solo sul web) riguardo a questa pellicola. Non c'è nulla da fare, è un modo di fare cinema che io adoro, perchè riesce a comunicare con l'arte visiva e poche parole. Quando parli di rimbalzo tra particolare e generale mi trovi assolutamente in sintonia.

@Los: eppure concettualmente i due film sono davvero molto simili!