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5/10

Ultimatum Alla Terra regia di Scott Derrickson

Fantascienza
recensione di Alessandro Pascale

 

Washington. Un disco volante atterra in un parco di Washington e la popolazione si accalca intorno ai militari per vedere l'avvenimento. Dal disco volante esce Klaatu, un extraterrestre, che si avvicina ai militari portando un piccolo dono; un soldato, tratto in inganno dal panico, spara senza pensarci. Subito dal disco volante esce un gigantesco robot, Gort, in soccorso del compagno ferito, facendo sparire con il suo raggio laser tutte le armi nelle vicinanze. Klaatu, dopo essere stato portato in un ospedale, chiede di parlare alla sede delle Nazioni Unite per fare un discorso all'umanità ma ciò gli viene negato dal governo americano che lo tiene prigioniere. Presto però Klaatu elude la sorveglianza e incomincerà una serie di tentativi per convincerlo a non distuggere l'umanità.

 

C’è una scena che trovo profondamente razzista in Ultimatum alla terra: verso il settantesimo minuto “l’alieno” Klaatu salva la vita al piccolo Jacob, che muta i suoi sentimenti di ostilità verso “l’invasore” precedentemente giudicato un nemico da combattere. Lo spaesamento e la perdita delle certezze è tale che il bambino, abbandonandosi alle emozioni chiede sostegno e protezione all’alieno. Perché è razzista questa scena? Perché Jacob simboleggia ovviamente l’umanità, che sul punto della catastrofe viene salvata da un intervento esterno (il contatto con gli alieni) benefico in quanto determinante per il mutamento di prospettiva umana e comportamentale. Il problema è che per esprimere la condizione di minorità dell’umanità non viene scelto solo un bambino (essere che non ha ancora sivluppato in pieno il proprio aspetto razionale) ma un bambino nero. E con le treccine lunghe per giunta! Il salvatore invece chi è se non l’incarnazione dell’uomo medio di razza caucasica (Keanu Reeves)?

Sciocchezzuole direte voi, e probabilmente è vero, però la ripetuta insistenza dell’approccio WASP-centrico di tutta l’opera è abbastanza scocciante, ed è uno dei motivi per cui Ultimatum alla terra è un’opera tutto sommato abbastanza inutile, andandosi ad aggiungere ad una serie di kolossal-catastrofiche che si divertono a prevedere la fine del mondo nei modi più assurdi (in questo caso il dilagare di cavallette d’acciaio o una cosa simile, come da ricordo biblico). Siamo insomma completamente distanti dalle istanze originali venute fuori con i contenuti di District 9 o con le sperimentazioni stilistiche di Cloverfield.

L’asfitticità della trama e la rigidità dei personaggi eliminano ogni barlume di magia che si poteva trovare nell’originale storico film di Robert Wise (del 1951) di cui Derrickson ha proceduto a fare il remake. Il tema politico dell’ambientalismo è trattato in maniera tutto sommato superficiale e il messaggio finale della bontà e necessità di perdonare il genere umano e dargli un’ulteriore chance è terribile sia per la sua scontatezza sia per il suo buonismo sentimentale. In definitiva una cosetta senza troppe pretese, ed è un peccato non tanto per Keanu Reeves, che ormai con i suoi personaggi robotici in stile “so tutto io, faccio tutto io e tengo sempre la stessa espressione” ha bell’e rotto il bippp, ma anche per il regista Derrickson, che era reduce dall’interessante prova de L’esorcismo di Emily Rose. Ce ne faremo una ragione…

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