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10/10

L'Esorcista regia di William Friedkin

Horror
recensione di Carlo Danieli

Washington DC. In una confortevole casa di Georgetown, vive l’attrice divorziata Chris MacNeil, assieme alla figlia dodicenne Regan, alla segretaria Sharon e a due fidati domestici.  Mentre tutto sembra procedere normalmente, la piccola Regan comincia a dare improvvisi segni di squilibrio. Chris, la madre, si rivolge ai medici per dei controlli, che danno tutti esito negativo: Regan non sembra soffrire di alcun disturbo. Ma i suoi attacchi si fanno sempre più preoccupanti e allarmanti, mentre si verificano fenomeni inspiegabili quali mobili che si spostano, oggetti che volano, il letto che trema.  Dopo aver eseguito nuovi esami clinici ed essersi rivolta a una equipe di psichiatri rivelatesi impotente, Chris, giunta alla completa disperazione, decide di provare con l’ultima, estrema soluzione: rivolgersi ad un esorcista.

Uscito per la prima volta nelle sale nel lontano 1973, l’Esorcista ha segnato un’epoca, reinventando i canoni del genere horror e spingendosi laddove nessun film aveva osato prima. La stragrande maggioranza degli horror successivi devono un qualcosa a l’Esorcista, vuoi per le tematica trattata della possessione diabolica, vuoi per un certo modo di fare cinema. Un’aurea di mistero avvolge questo film: morti legate a persone vicine al cast, strane sparizioni di statue, incidenti sul set, svenimenti e attacchi di panico nelle sale in cui venne proiettato alimentano l’alone di mistero e la leggendaria forza oscura della pellicola, considerando anche il tema trattato. Basti pensare anche che gli 85 giorni di riprese si trasformarono in un’odissea di 224 giorni. Insomma un film maledetto, che però riuscì a fruttare milioni di dollari, risultando uno degli incassi più importanti della storia del cinema.  Questa è stata una delle grandi forze del film: la propria dimensione planetaria, il saper rivolgersi a diverse generazioni, che, seppur si tratta di film degli anni ’70, guardano ancora ad esso con interesse e curiosità. Diciamolo fin da subito: non è un film di paura, ma sulla paura. Paura intesa non del moderno senso di orrore generato da immagini splatter vibranti di sangue e arti mozzati, bensì paura generata dal più profondo e oscuro male: il demonio. Per chi ci crede l’angelo che si ribellò a Dio, per chi non ci crede l’incarnazione dei nostri mali più ancestrali e nascosti. Ciò che si respira durante la visione del film è un clima di estrema  tensione, in un crescendo sempre maggiore e un’atmosfera di angoscia e inquietudine generata dalla discesa Regan agli inferi: l’essere umano trasformato in bestia dal Male che se ne impossessa e le fa fare tutto ciò che umano non è, tutto ciò che è estremamente all’opposto di quel che farebbe una dolce ragazzina innocente. “Perché una bambina?” chiede padre Karras a padre Merrin. La risposta è eloquente: “Credo che voglia portarci alla disperazione, perché vedendoci ridotti a bestie mostruose noi escludiamo la possibilità dell’amore di Dio”. Un male insomma presente dentro di noi, una sorta di nemico invisibile impossibile da combattere con normali armi, che alberga nelle nostra anima e là vi rimane. Uno dei meriti più grandi del regista, Friedkin, è la capacità di rappresentare senza filtri il Male: una cosa impensabile all’epoca, e che mantiene intatto il suo effetto ancora oggi. Il regista ha avuto il merito di osare senza risparmiare nulla, senza pietà, potremmo dire, per lo spettatore.  Molte scene infatti sono di fortissimo impatto visivo, con gli effetti  sonori che contribuiscono in maniera decisiva.  Attualmente si prediligono mezzi facili per far presa sul pubblico: splatter, scene visivamente disturbanti, che suscitano disgusto ma non stimolano una crescente paura e tensione nell'animo dello spettatore come invece riesce a fare Friedkin in questo film.  Per farlo il cineasta americano ha usato mezzi geniali, studiati con maniacale precisione. Basti pensare alla voce del demone ottenuta mixando il ronzio di uno sciamo d’api, urla dei maiali al mattatoio e urla reali di ragazzi indemoniati.  Tutto nel film si muove con maestria: regia, sceneggiatura, colonna sonora (firmata dalla grande Jack Niztche), fotografia, recitazione. Un aspetto importantissimo spesso ignorato dalla critica è  il contrasto tra l'intima umanità dei momenti di pacato dialogo tra i personaggi e il mostruoso delirio delle scene di possessione, un topos ripreso da un grande classico letterario del terrore a partire da “Lo strano caso del Dr.Jeckyll e Mr.Hyde “. A tal proposito si può notare come il film sia essenzialmente diviso in due parti: una prima parte più lenta in cui viene evidenziata il rapporto intimo e filiale tra madre e figlia, Chris e Regan, caratterizzato da dialoghi vivaci, e una seconda parte, dove prende il soppravvento l’entità demoniaca, caratterizzata da una certa violenza visiva e dal contrasto tra le urla della posseduta e i dialoghi quasi sussurrati tra gli altri protagonisti. Il tutto condito da pause e silenzi a volte quasi improvvisi che aumentano il senso di smarrimento dello spettatore. Se parliamo di contrasti non possiamo fare a meno di notare anche la profonda divisione ,che emerge dal film dal punto di vista delle tematiche, tra scienza e fede. Si assiste ad una sorta di tensione dialettica tra questi due ambiti: scienza e fede, appunto. Dove non arriva la prima ecco che viene in soccorso la seconda. Chris si rivolge prima alla medicina, poi nel silenzio di questa si rivolge alla psichiatria che dovrebbe dare una spiegazione ai disturbi della figlia. Quando neanche quest’ultima dà un aiuto valido, ecco che interviene la religione. Ciò che non è spiegabile con la scienza può essere spiegato con la fede. Per questo l’Esorcista non può essere etichettato semplicemente come horror. È più che altro un film drammatico, incentrato sui temi della fede e dell’esoterismo, che si incrociano e si mescolano inscindibilmente. Gli attori offrono una gigantesca prova di recitazione, tutti compresi, nessuno escluso. Friedkin, che qui è magistrale e si fa leggenda, tira fuori il meglio dai suoi protagonisti.  Il make up è straordinario per l’epoca così come gli effetti speciali. Ulteriore punto di forza per del film sono gli effetti sonori e le musiche, che vinsero peraltro il premio oscar. L’altro oscar che si aggiudicò il film fu per la sceneggiatura non originale, grazie alla penna di William Peter Blatty, autore del romanzo da cui il film è tratto.

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Voto degli utenti: 8,8/10 in media su 6 voti.
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hegel87 10/10
B-B-B 9/10

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