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7/10

Cruising regia di William Friedkin

Drammatico
recensione di Carlo Danieli

Il poliziotto Steven Burns viene incaricato di infiltrarsi negli locali gay di New York per scovare uno psicopatico serial killer che sta facendo strage di omosessuali.

Censurato, osteggiato, tagliato, boicottato e infine dimenticato. Questo è Cruising di William Friedkin, ennesimo film controverso della carriera del regista. E bene precisare fin da subito una cosa: il film, nel suo risultato finale non si può dire completamente riuscito, o almeno non come avrebbe voluto Friedkin stesso. E questo non per colpa sua, che al di là delle polemiche ha girato uno delle pellicole più inquietanti e morbose. Ma per colpa soprattutto di quei 40 minuti di scene tagliate (e perdute per sempre), che certamente si fanno sentire, eccome; a cominciare dal risvolto psicologico del protagonista Al Pacino, non approfondito a dovere per quanto affascinante sia la sua parabola infernale. È come se il film infatti fosse monco, incompleto e questo lo si deve probabilmente alle censure imposte in fase di montaggio. Tratto da avvenimenti realmente accaduti negli ambienti omossessuali della New York anni ’70, Cruising è un Il viaggio nei meandri della sessualità, in questo caso omosessualità, vista soprattutto come metafora delle molteplici nature che connotano ogni soggetto. Fino a che punto l’orientamento sessuale è un qualcosa di definito ed immutabile? La vicenda è incentrata sul personaggio di Steve Burns, un poliziotto sagace a cui è stato affidato il compito di infiltrarsi negli ambienti frequentati da omosessuali al fine di scovare e assicurare alla giustizia un serial-killer che opera proprio in quel mondo. Burns si imbatte così in luoghi, situazioni e individui del tutto inediti e lontani dalla sua realtà; un mondo fatto di perversione e violenza, dove tutto è finalizzato ad unica cosa: la ricerca del piacere fisico attraverso l’estremizzazione dell’atto sessuale, che non diventa più ricerca di amore, ma solo oggetto di piacere. Gli omossessuali che frequentano i locali in cui Burns si infiltra sono connotati da un forte componente di emarginazione sociale e solitudine interiore, che cecano di colmare con il sadomachismo e la violenza. Un mondo infernale, insomma, nel quale Burns è costretto scendere. Queste nuove esperienze andranno di pari passo con i dubbi che piano piano affiorano nelle mente del poliziotto, non più così sicuro della proprie inclinazioni e del propria personalità. Tanto che ad un certo punto dichiara al proprio superiore “Capitano non riesco ad andare avanti, mi sta succedendo qualcosa dentro...". Man mano che la cattura dell’omicida si avvicina, i dubbi in Burns aumentano, fino ad un enigmatico finale, in cui Friedkin abilmente instilla il dubbio sull’approdo finale del terribile viaggio intrapreso dal protagonista: ha forse preso lui il posto dell’assassino a cui dava la caccia? L’ultimo omicidio non chiarisce nulla, così come lo sguardo enigmatico di Pacino che si guarda allo specchio dopo essere tornata a vivere in casa della vecchia fidanzata. La pellicola procede lenta, innestata su un ritmo tipico quasi da film francese, in cui conta di più l’introspezione sui personaggi che la trama. Ed così è anche per Cruising: che parte come thriller ma che si perde poi, volutamente, sull’indagine psicologica nei confronti del protagonista.  A discapito di una sceneggiatura scarna e dei dialoghi essenziali, è attraverso il linguaggio non verbale che lo spettatore può cogliere gli aspetti determinanti dell'evoluzione narrativa: l'ambiguità morale e il conflitto dell'identità sessuale. È un film insomma giocato soprattutto sugli sguardi, sulle situazioni, sulla descrizione dei contesti, che sui dialoghi veri e propri. Questo se apparentemente appiattisce il film, in realtà riesce a imprimere alla pellicola un’aurea di sottile mistero e ambiguità che ricalca il mondo interiore del protagonista. Indubbiamente Al Pacino strepitoso, in un’interpretazione quasi remissiva, ma perfettamente centrata. Eppure l’attore non ama ricordare la partecipazione a questo film, probabilmente per le polemiche enormi che sono scaturite dalla pellicola stessa. D’accordo che siamo negli anni ’80 e certe tematiche erano tabù, ma alla fine dei conti Cruising non si dimostra così scabroso da giustificare l’ondata di sdegno e polemica che ne seguì. Il mondo omossessuale non viene giudicato nè condannato, ma solo ritratto, in un suo aspetto, per ciò che realmente è. Sicuramente un’opera coraggiosa e controcorrente, come gran parte della filmografia di Friedkin, il quale ama giocare sull'ambiguità, in questo caso calandosi nell'ambiente gay, ma senza pronunciarsi in merito, come di sua consuetudine: una scelta che all'epoca venne decisamente fraintesa, suscitando critiche negative e accuse di razzismo che oggi appaiono alquanto ingiustificate Poco esplicito, forse volutamente, il film mantiene alcune zone d'ombra anche dopo la fine. Bellissima anche la descrizione di una New York sporca e sordida da far rabbrividire, alla stregua della New York magnificamente descritta da Scorsese in Taxi Driver.

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