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R Recensione

9/10

Mission regia di Roland Joffé

Drammatico
recensione di Enzo Barbato

L'occupazione spagnola dei territori indios del 1750 attraverso la storia struggente di un sacerdote e di un colonialista, dove il primo riuscirà a far redimere il secondo attraverso la potenza di Dio e l'amore per l'umanità.

Via Urbana, chiesetta di San Lorenzo, fredda e semideserta. Ieri sono andato a confessarmi per l’ennesima volta e puntualmente ho appoggiato il ginocchio sinistro sul chiodo in rilievo mal piantato sul predellino del confessorio. Non posso spostarmi verso destra o mi defilerei dal cono visivo di Padre Hugo e ciò sarebbe poco rispettoso. Il chiodo mi tormenta e ciò è una penitenza già prima dell’assoluzione. In fondo la merito. Sono uno studente. Atti impuri, roba da calli alle mani. LUI me la farà pagare? E il Padre: Ieri è venuto un certo Rodrigo, un mercenario spagnolo con qualche indio Guarani sulla coscienza. Ha ammazzato il fratello in un duello per motivi futili, simili ai tuoi. Donna contesa. Cosa dovrebbe fargli LUI?  

Corroso dal rimorso e votato all’inedia, Rodrigo (Robert De Niro) si fa persuadere da Padre Gabriel (Jeremy Irons), gesuita, che lo invita a pentirsi e a seguirlo in quello che nel 1750 è il giardino dell’Eden, anche se circondato da demoni spagnoli e portoghesi. Il fardello di Rodrigo è pesante, molto, e la fatica per portarlo su tra ripe scivolose e meravigliose cascate è tanta. A obiettivo raggiunto Rodrigo si converte e così tanti indios poco prima considerati animali. Così scopre che l’Eden esiste davvero e con esso degli angeli dipinti che vivono di semplicissimi espedienti.  

Purtroppo, a volte LUI si distrae o al massimo, viene distratto dalle voci fuorvianti del governatore sfruttatore e schiavista del luogo, tale Capeza (de cazo), e del suo entourage di scagnozzi, fermamente convinti della nullità tracimante e selvaggia di questi indios, incapaci di partecipare alla Missione e quindi invitati (con provvedimento coercitivo ovviamente) ad abbandonare quello che è il loro paradiso terrestre.  

Forse rimane ancora una fiammella da alimentare e per interposto pontefice, a sincerarsi delle potenzialità degli indios, viene inviato il cardinale Altamirano (Ray McAnally), tentato però a desistere dal Cabeza (Chuck Low). Il cardinale si troverà di fronte ad uno spettacolo assolutamente splendido. Forse l’Eden esiste davvero, i Guarani si stanno convertendo alla religione cristiana, stanno diventando degli angeli a tutti gli effetti.  

Purtroppo il demonio ha la meglio e Altamirano non si convince del tutto. Si tenta una mediazione, un compromesso ma tutto è inane. Meglio lo sfruttamento e l’interesse economico, altro che LUI, anzi LUI vuole proprio così. Gli indios non sono degni dell’Eden e devono soccombere all’invasore iberico. Ma a volte un fardello onusto, seppur dimenticato, riesce a far fiorire qualcosa che in passato ha lasciato un segno, ha intarsiato un destino. Rodrigo ricorda di essere stato un mercenario, un abile spadaccino, un combattente, anche un assassino e si accorge che è arrivato il momento di non recedere al demonio, anche con l’uso di quella violenza che lo aveva contraddistinto prima della conversione. Padre Gabriel, invece, porge l’altra guancia e decide invece di portare avanti la Missione, tra dardi infuocati e rudimentali cannonate fino alla morte in croce. Gli indios verranno sterminati ma alcuni bambini, nascosti nella giungla avranno il coraggio di navigare verso una nuova vita.  

Bellissima opera di Roland Joffè, con il contributo di una fotografia assolutamente perfetta di Chris Menges, abile nel mescolare i naturali colori freddi della vegetazione e delle monumentali cascate, con quelli caldi delle rocce, del fango e degli indios, oltre a curare sapientemente le prospettive che donano allo spettatore la possibilità di immaginare un limite nelle inquadrature. Emozionante è la colonna sonora del nostro Morricone, resa ancora più incisiva nell’utilizzo in contrasto con l’anima delle scene. Ergo: nella sequenza della battaglia sulle canoe, una scena drammatica che richiederebbe un commento inquietante, sinistro, viene inserito quello che è uno dei cori più belli mai interpretati, intenso, incalzante, struggente. Metodo a mio avviso vincente, usato, che io mi ricordi da Kubrick in “Arancia Meccanica”, che sperimenta un brioso crescendo di Rossini per descrivere i violenti pestaggi dei Drughi e da Herzog in “Stroszek” che sfrutta un frizzante blues tra acuti e armonica di Sonny Terry, mentre un pick-up prende fuoco, Bruno S. fugge in funivia e animali domestici lobotomizzati divertono gli spettatori al solo prezzo di un gettone.  

Da menzionare è la metafora de “La speranza è l’ultima a morire”, quando un eccellente De Niro, colpito a morte dai pallettoni di una fucilata, tarda a morire, quasi a comando, sperando che Padre Gabriel, riesca dove lui ha fallito e mentre cerca di trattenere la vita sfuggente per i capelli, riesce a percepire, con lo sguardo in dissolvenza, che anche la speranza, purtroppo crollerà sotto i colpi del moschetto nemico. Padre Gabriel, in una scena che mi ricorda la struggente avanzata di Timos nell’”Arsenale” di Dovzenko, muore, ma qualcuno raccoglierà quel crocifisso che sarà destinato, col tempo, a vincere. Film formidabile.

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