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6/10

Anonymous regia di Roland Emmerich

Thriller
recensione di Giulia Bramati, Alessandro M. Naboni

Edward De Vere, conte di Oxford ai tempi di Elisabeth I, è autore di numerosi scritti teatrali che, però, non può pubblicare, perché la cosa è considerata disdicevole per un nobile. Decide allora di ingaggiare come prestanome un attore poco istruito, William Shakespeare, il quale inizia a mettere in scena a suo nome i testi del conte.

Quasi quattrocento anni sono trascorsi dalla morte di Shakespeare, ma la sua misteriosa identità continua a suscitare domande, a cui è difficile trovare una risposta. Ben poco è stato ricostruito della sua vita, rimane qualche leggenda, nulla di più. Della enorme quantità di opere tramandateci con la firma di Shakespeare, non tutte possono essere state realmente scritte dal grande maestro. Questa misteriosa situazione sembra quasi superare le dimensioni della questione omerica.

John Orloff cerca di risolvere l'enigma, scegliendo di raccontare una delle tante ipotesi recentemente proposte da alcuni critici: William Shakespeare era un attore, pressoché analfabeta, che prestò il suo nome al nobile Edward De Vere, vero autore di tutti gli scritti teatrali. Per i nobili inglesi di inizio Seicento, soprattutto per i puritani, il teatro non era un'attività degna di essere praticata, ma solo – talvolta – degna di essere fruita.

Il nobile Edward, rimasto orfano, viene affidato alle cure di un puritano, il quale, custode di un segreto molto importante, pianifica fin dal principio il matrimonio del ragazzo con la figlia, impedendogli inoltre l'apprendimento dell'arte della scrittura. Ben pesto, però, il ragazzo stringe una relazione adulterina con la Regina Elisabetta, ruolo ormai costantemente presente nei film in costume. A rivestire i panni della celebre regina dalla pelle candida è una bravissima Vanessa Redgrave, che riesce a rendere il personaggio molto diverso dalle interpretazioni che la storia del cinema ci ha fornito (Judi Dench in Shakespeare in love, per citare una famosa performance): la regina, sotto i ricchi vestiti e il pesante trucco, è molto umana e anche leggermente folle.

Nonostante la trama sia piuttosto romanzata e arricchita di fatti non realmente accaduti – circostanza usuale nei film storici hollywoodiani – il film risulta abbastanza interessante: la vita di corte, ricca di intrighi, relazioni adulterine e scandali, cattura l'attenzione dello spettatore, grazie anche ad una graduale rivelazione dei contenuti, molto ben riuscita grazie all'equilibrio fornito dallo sceneggiatore.

La regia di Emmerich è riconoscibile dalle ricostruzioni digitali della Londra secentesca nelle numerose panoramiche inserite nel film. I costumi e le ambientazioni sono la parte meglio riuscita del film: risulta sempre interessante vedere le forme e le modalità d'uso dei teatri shakespeariani.

Spesso la telecamera si focalizza sulle mani dei protagonisti, quasi per evidenziarne i vari passaggi temporali presenti nel film.

Emmerich ha fatto lavorare molto i suoi attori sulla voce: le battute sono pronunciate in maniera teatrale, quasi fossero loro stesse frutto del lavoro di Shakespeare o De Vere, qual teoria si voglia scegliere. Il protagonista è sorprendentemente interpretato da Rhys Ifans: il folle biondo di Notting Hill e Human Nature dimostra un grande talento per un ruolo altamente drammatico ed impegnativo.

Una nota negativa va attribuita alle prime inquadrature del film, ambientate in un teatro negli Stati Uniti: il regista ha probabilmente voluto paragonare lo sperimentalismo del teatro americano contemporaneo con quello shakespeariano dell'epoca; il film, però, si incentra su una vicenda storica inglese, il collegamento con l'America è dunque superfluo, decisamente poco inerente.

La scelta di ambientare un film nell'Inghilterra elisabettiana è rischiosa, perché troppi registi se ne sono occupati nel corso del tempo ed è diventato uno scenario poco originale; offrire al pubblico un intreccio interessante e innovativo è dunque ancora più difficile.

Emmerich dovette posticipare la produzione del film di parecchi anni dopo l'uscita di Shakespeare in love, molto simile per alcuni aspetti, nonostante la trama sia completamente diversa.

Un film piacevole per chi ama le ricostruzioni storiche e gli intrighi di palazzo.

Giulia Bramati

Veduta aerea di una New York che non sta per essere distrutta. Un’auto frena bruscamente, ma non è per evitare di finire in un cratere. Il suono di un allarme non preannuncia un’invasione aliena. Un uomo misterioso e persone in concitata agitazione senza la minaccia di un grosso giappo-mostro.

Sarebbe stato facile liquidare il nuovo film di Roland ‘disater-movie’ Emmerich con poche parole di aprioristico disprezzo, quasi fosse una cinepanettonata qualsiasi o uno de-i soliti idioti nostrani. Il canuto tedesco-naturalizzato-americano una chance se la merita: Emmerich vs Shakespeare, il re del cinema catastrofico contro il più grande drammaturgo di tutti i tempi.

Ma andiamo con ordine. Con approccio teatrale il regista ci introduce il suo (possibile) alter-ego, in ritardo per il monologo che fa da racconto-cornice. Occhio di bue puntato, entra in scena: noi tutti conosciamo William Shakespeare, autore di 37 testi teatrali, 154 sonetti e alcuni poemi..ma se io vi dicessi che in realtà Shakespeare non ha mai scritto una parola?

La finzione narrativa ci porta indietro di cinque secoli e mezzo, quando il teatro era ancora la forma più diffusa d’intrattenimento popolare. Quella che sapeva appassionare e scuotere coscienze/azioni della gente al punto da essere temuta e controllata da autorità inermi e spaventate dalla sua forza (rivoluzionaria). La stessa arte che era ritenuta sconveniente per un nobile spirito creativo, castrato da un matrimonio-requiem messo in scena per coprire l’ardore dell’istinto giovanile e mascherare abilmente aspirazioni reali. Fu così che, all’alba dei disordini sociali e politici dell’epoca elisabettiana, nacque il mito dello scrittore di Stratford-upon-Avon, l’unico capace di infiammare gli animi e unire il popolo verso sentimenti universali, a colpi di opere geniali nel loro essere allo stesso tempo ricercate/complesse e (anche per questo) accessibili a qualsiasi livello culturale.

Nella Emmerich-storia si segue la teoria dei cosiddetti oxfordiani, quella per cui il vero autore di quei capolavori fu Edward de Vere, futuro conte di Oxford e già bambino prodigio capace di scrivere opere del calibro di Sogno di una notte di mezza estate. Incontrerà prima l’apprezzamento della sensibile regina Elisabetta I, poi diversi anni più tardi anche qualcosa di più in un breve periodo di passione. Edward, cresciuto all’ombra della puritana educazione di William Cecil, consigliere reale, più-o-meno segretamente continuerà a scrivere testi senza che nessuno possa essere messo in scena/vita. L’insana idea si palesa quando il conte realizza la potenza che il teatro ha sul popolo: affidare a qualcun’altro le proprie opere affinchè le renda vive senza rivelarne mai il vero autore. Come poi accadde che un arrogante attoruncolo semi-analfabeta, strafottente e puttaniere diventi conosciuto come l’autore di cotanta produzione letteraria, lo si lascia alla visione dello spettatore. Che a fine film realizzerà come la volontà registica non è mai stata quella di approfondire un’intrigante-anche-se-poco-verosimile eventualità storica, quanto sfruttarne il fascino per arricchire un racconto di intrighi di potere, amori fisici e artistici, cospirazioni, invidie di un pallido gobbo o di scrittori poco talentuosi, arte che si fa ‘politica’ perché altrimenti sarebbe solo inutile decorazione, grandi successi in scena (notevole la rappresentazione del Riccardo III) e uno stage diving ante-litteram sotto il cielo di una stupenda Londra innevata.

L’ipotesi di partenza sulla vera storia del bardo di Stratford-upon-Avon era risibile? Probabile. Seppure la corrente anti-stratfordiana abbia avuto numerose frecce al suo arco, negli anni molte si sono dimostrate spuntate o troppo deboli per dare credibilità alle eresie shakespeariane: dalle più accreditate che indicano anche Francis Bacon come vero autore a quelle più balzane che tirano in gioco addirittura il nome della regina. Fanta-letteratura buona per seghe intellettual-mentali o per dietrologie da salotto.

Emmerich ci ha provato. Nella sua onesta carriera registica fatta sia di ottime pellicole che hanno influenzato un genere, come Stargate e Indipendence Day, sia di immonde zozzerie, come Godzilla e 10.000 A.C., Anonymous poteva essere un film atipico. Non bastano le intenzioni a superare evidenti i limiti di una pellicola che, a dispetto del decalogo video utilizzato per promuoverla, non ha un gran interesse nel voler sviscerare il tema, né la necessaria/imprescinbile cura per la recitazione, tanto che vien da pensare che poco importa chi fosse veramente l’autore. Magnifiche inquadrature a volo d’uccello, ottima CGI (crowding, matte painting, ecc..) e sequenze d’azione ben realizzate sono il marchio di fabbrica di un regista che sul piano della spettacolarità ci sa fare. Su tutto però si eleva il conte di Oxford interpretato da Rhys Ifans. Il suo talento da caratterista si esprime appieno in un ruolo importante, nonostante gli innumerevoli sgambetti di un regista spesso non all’altezza nella direzione degli attori.

Una riflessione personale fuori script: Kenneth Branagh è universalmente riconosciuto come uno dei migliori e più fedeli interpreti/registi shakespeariani su cellulosa e non solo. Non direi mai il contrario, però non posso nascondere che in qualche modo questo film è riuscito laddove il regista inglese non era mai arrivato: spingermi a riprendere in mano quei magnifici pezzi della letteratura mondiale. Touchè.

Alla fine quello che resta è la storia romanzata di un animo poetico nobile molto più del suo rango, il cui unico interessa era vedere in scena le vite dei suoi personaggi, quelli che sentiva parlare di continuo nella sua testa e che non poteva far altro che raccontare con parole che feriscono più di una spada. Sono un poeta, non sono un criminale.

Alessandro M. Naboni

 

V Voti

Voto degli utenti: 5,5/10 in media su 2 voti.
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alexmn 6/10

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hayleystark (ha votato 5 questo film) alle 19:04 del 22 novembre 2011 ha scritto:

Atroce. Ho sbadigliato per metà del film, bestemmiando mentalmente contro quel CANE di doppiatore che dava la voce a Ben Jonson. E se non mi sono addormentata è solo perché ero nel pieno delle mie facoltà mentali e non in fase post-prandiale. Insomma, tutto nella Emmerich-norma. "Alla fine quello che resta è la storia romanzata" mi pare la sintesi più azzeccata, pretendere di più sarebbe il vero delitto storico.

alexmn (ha votato 6 questo film) alle 0:39 del 23 novembre 2011 ha scritto:

fortuna vuole che almeno l'abbia visto in inglese! in effetti sarebbe stato troppo aspettarsi una svolta d'autore nella carriera di emmerich!

ci ha provato a fregarci!!