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4/10

Cose Nostre (Malavita) regia di Luc Besson

Commedia
recensione di Pasquale D'Aiello

Un ex mafioso pentito e la sua famiglia vivono sotto protezione dell'FBI in un piccolo paesino francese. I piani di protezione sono resi estremamente complicati dal carattere “esuberante” della famiglia che non ha perduto del tutto l'aplomb mafioseggiante nella risoluzione delle vicende quotidiane. Tutto diventa più drammatico quando la famiglia mafiosa tradita scopre il loro nascondiglio....

Tratto dal romanzo Malavita (2006) di Tonino Benacquista, narra le vicende di una famiglia molto particolare, i Manzoni, che vive sotto falso nome per sfuggire alla vendetta della mafia statunitense. Infatti il capofamiglia, Giovanni Manzoni (interpretato da Robert De Niro), ha tradito il suo clan, diventando un pentito. L'FBI, per proteggerli, li ha trasferito il più lontano possibile dagli USA, nella fattispecie in un piccolo paesino della Normandia francese. Purtroppo non è compito facile farli passare inosservati, dato il loro carattere a dir poco esuberante, rendendo a dir poco gravoso il compito della squadra dell'FBI che li protegge, pur essendo capitanata dall'esperto e tosto poliziotto Tom Quintiliani (interpretato da Tommy Lee Jones). Tuttavia neppure lui riuscirà a tenerli a lungo in anonimato. Infatti grazie alle bravate di Giovanni (che, oltre agli estemporanei scatti di violenza, ha deciso di passare per un saggista storico), della moglie Maggie (interpretata da Michelle Pfeiffer) esperta nella distruzione di supermercati e dei figli Belle (energica e irruenta adolescente che non ama essere mancata di rispetto) e Warren (intraprendente e scaltro organizzatore di traffici illeciti), verranno individuati dalla famiglia mafiosa, desiderosa di vendetta.

Il film si presenta, nella prima parte, come una commedia che si propone anche di far riflettere sui luoghi comuni che descrivono le caratteristiche dei francesi e degli statunitensi e delle paradossali situazioni che si possono verificare nell'incontro tra le due culture. Nel finale diventa, invece, quasi un action-gangster movie, lasciando i toni brillanti della prima parte per assumerne altri, decisamente più dark. Più complessivamente è soprattutto un omaggio al cinema di genere, sul tema dei gangster. E il fatto che Martin Scorsese abbia deciso di esserne il produttore esecutivo non sembra affatto casuale. Un suo film, Quei bravi ragazzi (1990), viene esplicitamente citato nonché richiamato nella trama e nel nome di alcuni personaggi (la famiglia in cerca di vendetta anche qui porta il nome di Lucchese), come a chiarire la natura dell'operazione. Purtroppo non si può dire che il progetto sia andato a buon fine, sia per il ritmo fiacco, soprattutto nella prima parte, sia per lo sguardo eccessivamente positivo e a-problematico con cui si affronta il tema della mafia. Le violenze messe in campo dall'allegra famigliola hanno quasi sempre un risvolto positivo, si arriva fino al punto di dare una rilevanza sociale ad una delle bravate del capofamiglia. Il tono diventa addirittura idilliaco quando si tratta di descrivere l'unità della famiglia e la sua capacità di trarsi fuori d'impaccio dalle avversità della vita. Il tema della mafia è stato ampiamente sdoganato e, per fortuna, sono lontani i tempi del codice Hays con cui il governo degli USA regolò tra gli anni 30 e i 60 la produzione di Hollywood in tema di criminalità ma una sciocchezza resta ancora una sciocchezza.

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