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6/10

Café Society regia di Woody Allen

Commedia
recensione di Francesco Ruzzier

Anni trenta: una famiglia ebrea vive a New York e tutto scorre abbastanza tranquillo fino a quando uno dei componenti della famiglia decide di partire per Los Angeles per tentare la strada del successo nel mondo del cinema, volendo diventare un agente cinematografico. Nella nuova metropoli incontrerà l'amore e si immergerà nell'atmosfera pimpante della Cafè Society.

In un certo senso l'intera carriera cinematografica di Woody Allen potrebbe essere letta come un lunghissimo ed articolato discorso, a cui ogni anno va ad aggiungersi un nuovo tassello: che appaia più o meno ispirato, film dopo film i regista newyorkese è sempre riuscito però a comunicare un’idea, delle sensazioni e dei ragionamenti al proprio fedelissimo pubblico. Purtroppo però dopo quasi 50 film è quasi fisiologico un passaggio a vuoto: si spera sempre che ciò non accada, ma purtroppo anche un mito vivente come Woody Allen può esaurire le cose da dire. È questo il caso di Café Society, film d’apertura del 69º Festival di Cannes, che ambientato tra Hollywood e New York negli anni ’30 racconta le disavventura amorose di Bobby (Jesse Eisenberg), giovane newyorkese in cerca di fortuna nella fabbrica dei sogni, innamorato di Vonnie (Kristen Stewart), segretaria e amante di un potente imprenditore hollywoodiano (Steve Carell).  Questa volta il regista di Manhattan decide di abbandonare i toni più comici che hanno caratterizzato molte delle ultime produzioni per puntare su un melò più classico e disilluso, che contrappone costantemente l’amore ideale e sognato alle scelte di vita che spesso si rivelano fallimentari, creando in questo modo un’atmosfera incredibilmente disillusa. Per tutta la durata del suo racconto, Allen sembra voler evidenziare come ogni scelta compiuta dai personaggi, sia nella sfera sentimentale che in quella lavorativa, porti sempre delle conseguenze negative e come l’unico modo per rimanere felici sia quello di rifugiarsi in pensieri sognanti e in situazioni disilluse che non hanno la pretesa di pensare al futuro. E così tutti i personaggi sono destinati a vivere nell’infelicità e a guardare costantemente al passato e alle occasioni perdute, provando così un agrodolce senso di piacere.  Oltre a questi temi, che nella produzione di Woody Allen sono stati spesso presenti e presentati in maniera sicuramente più ispirata, c’è poco o nulla in questo Café Society, che purtroppo si presenta come un contenitore vuoto abbellito da qualche battuta brillante e da delle ottime performance attoriali, Kristen Stewart su tutti.

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