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9/10

Following regia di Christopher Nolan

Noir
recensione di Silvia Bragagnolo

Un giovane disoccupato ed aspirante scrittore di nome Bill, ha una particolare ossessione: quella per gli estranei. Iniziando pericolosamente a pedinarle, spera di poter ottenere del materiale d'ispirazione per il suo romanzo. Le cose si complicano quando Bill incontra Cobb, ladro di professione, e viene catapultato nel suo mondo di furti d'appartamento. La situazione non sembra certo migliorare dopo che Bill decide di iniziare una liasion con una vittima dei suoi furti...

Lungometraggio noir d'esordio del 28enne Christopher Nolan, Following si presenta fin da subito come un vero e proprio diamante grezzo, carico di tutti i tratti distintivi della poetica del regista. La pellicola, realizzata nel modo più economico possibile perché finanziata dallo stesso Nolan, che fino ad allora aveva girato solo alcuni cortometraggi, si caratterizza per la durata estremamente limitata (si tratta appunto di appena 69 minuti di film) e per la scelta fondamentale del bianco e nero.

L'intreccio della trama è tutto fuorché lineare, e pertanto richiede una certa attenzione nella visione: il protagonista, sottoposto ad un interrogatorio, con la narrazione della propria storia dà origine ad un vortice adrenalinico di flashback sparsi, vortice che contribuisce a rendere il tutto particolarmente coinvolgente nella sua caoticità. La narrazione in prima persona ci porta inevitabilmente ad assumere il punto di vista del protagonista, e sicuramente la scelta di non collocare le scene di flashback in ordine cronologico non aiuta alla comprensione immediata dell'intera vicenda: tale collocazione atipica dei flashback diventerà un topos nella poetica di Nolan, e sarà presente in altri lungometraggi successivi, specie nel meraviglioso Memento. Qui Bill, giovanissimo disoccupato ed aspirante scrittore, prova un interesse morboso per le persone, tanto da arrivare a pedinarle per scoprire informazioni su di loro e sperare di raccogliere materiale per il suo libro. Tale interesse però diventa ben presto pericoloso: uno sconosciuto si accorge di essere stato seguito, e lo ferma ad un bar. Egli rivela di chiamarsi Cobb, e di aver scelto d'essere un ladro di professione proprio perché, come lui, interessato alle persone e ad una vita adrenalinica.

Ben presto Bill si troverà totalmente assoggettato alla sua personalità carismatica e si lascerà trascinare in diversi furti d'appartamento: si può ben notare l'insicurezza dello scrittore e l'importanza conferita ai giudizi dell'amico/collega già nel momento in cui lo induce a svaligiare il proprio appartamento - ad insaputa di Cobb -, e questo si rifiuterà di continuare l'operazione, perché affermerà di non voler "succhiare il sangue ad un povero disoccupato sfigato." Perché, in effetti, i furti di Cobb sono decisamente anomali: ruba sì oggetti di valore, ma purché non diano troppo nell'occhio e siano facilmente trasportabili, e, soprattutto, è particolarmente interessato agli oggetti più intimi e personali delle sue vittime. La scena chiave dell'intero lungometraggio è proprio questa: Cobb mostra a Bill una scatola di oggetti di valore personale dei proprietari dell'appartamento e la svuota a metà, affermando che "quando sottrai, gli mostri quello che avevano."

Parallelamente ai flashback della vicenda del Bill scrittore, s'intreccia anche quella del Danny ladro, che altri non è se non lo stesso Bill. Lo vediamo però sbarbato, coi capelli tagliati, vestito elegantemente, e decisamente più sicuro di sè: offrendo da bere ad una signora in un bar, si presenta appunto come Danny. La donna, con cui Danny inizierà una liaison, si scoprirà essere piuttosto misteriosa. A Danny non sarà mai chiaro se lei abbia o meno una relazione con quello che lei dice essere il precedente compagno, un uomo molto pericoloso e invischiato in affari di droga e pornografia. Con successivi intrecci di flashback, veniamo a sapere che Bill s'è appropriato di una carta di credito appartenente ad un certo Danny (ecco il perché, dunque, del nome "nuovo"), e che, sotto suggerimento di Cobb, si decide a cambiare look e modo di fare: si assiste quindi alla scena del taglio di capelli e della rasatura della barba, scena che fa un po' da ricongiungimento della matassa nell'intreccio dei flashback. La trasformazione è dunque compiuta: Bill, da scrittore disoccupato, perdente ed insicuro, è diventato il carismatico Danny, un elegante ladruncolo sicuro di sè.

La mutazione di Bill in tutt'altra persona, Danny, non fa altro che rimarcare l'importanza della scena chiave della scatola: proprio come alle vittime dei furti venivano sottratti oggetti personali affinché soltanto con la loro assenza si accorgessero del loro valore, esattamente allo stesso modo Bill, privato della sua vita da disoccupato e aspirante scrittore, onesta e tranquilla, si trasforma in Danny, criminale ed assassino coinvolto in affari estremamente pericolosi, e si accorge di quello che ha perso, ovvero del valore della sua libertà, della sua ambizione, dei suoi sogni, solo nel momento in cui questo gli viene brutalmente sottratto (ed è perfino condannato al carcere). L'interesse per le ossessioni umane, così caro a Nolan, affezionato in generale all'esplorazione - se non all'esasperazione vera e propria - di aspetti tipici della psiche umana (quali quello dellla memoria in Memento, o quello dei sogni in Inception), qui è brillantemente sviluppato e narrato, e l'attenzione per una colonna sonora piuttosto semplice ma martellante ed incisiva, ricorda molto l'altrettanto ottimo thriller b/n "π - Il Teorema Del Delirio" di Aronofsky; il prodotto finale è un senza dubbio grezzo ma ottimamente prodotto lungometraggio di un giovanissimo regista (allora) in erba.

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