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R Recensione

8/10

Lie to Me (20th Century Fox Television, 2009)

Drammatico
recensione di Andrea Grollino

Il Dottor Cal Lightman che ha uno straordinaria e rara capacità: in pochi secondi riesce a capire, dai riflessi involontari del corpo, come le espressioni facciali e le irregolarità vocali, se si stia mentendo o meno. Il suo studio, ossia il Lightman Group, svolge molto spesso consulenze per conto terzi e tra questi figurano anche agenzie governative come l’FBI. È affiancato da un'abile psicologa clinica, Gillian Foster, con la quale ha fondato l'agenzia. Nel loro team anche Eli Locker e Ria Torres, la sua collaboratrice più dotata. Il gruppo molto spesso s’imbatte nelle richieste di consulenze per casi di omicidio o peggio.

Devo prendere appunti!

È stato l’unico pensiero che mi ronzava in testa mentre guardavo la prima stagione. Ovviamente non l’ho fatto, ma un mio caro amico si e proprio come si fa a scuola e all’università, me li sono fatti passare. Tralasciando le leggerezze, veniamo a noi. Lie to Me è una serie ideata da Samuel Baum (The Evidence, Young MacGyver - TV movie) e composta da tre sole stagioni, rispettivamente di 13, 22 e ancora 13 episodi. Nonostante il dispiacere, la chiusura era prevedibile poiché, a parer mio, gli autori non hanno saputo centellinare quello che è l’unico motivo d’interesse capace di incollare lo spettatore allo schermo: le nozioni di cui parlavo prima e per le quali bisognerebbe prendere appunti.

Ad interpretare il dottor Cal Lightman troviamo niente meno che Tim Roth (Pulp Fiction, Le Iene, La leggenda del pianista sull’oceano, L’incredibile Hulk), immenso come sempre, supportato da un eccellente lavoro di doppiaggio da parte di Massimo Popolizio (Il Divo – attore, La grande bellezza – attore, Lord Voldemort – doppiatore, Bruce Willis in: Armageddon - Giudizio finale – doppiatore).

Come dicevo poc’anzi, la prima stagione non cattura, bensì imbriglia letteralmente lo spettatore in una valanga di nozioni sulle scienze di cinesica, prossemica e semiotica. Di fatto, il personaggio di Cal Lightman è ispirato al dottor Paul Ekman, psicologo studioso del comportamento umano ed imponente esperto sul linguaggio del corpo. La cosa veramente curiosa e che quest’ultimo è stato ingaggiato in qualità di consulente scientifico della serie; ora provate ad immaginare la sensazione di trovarsi davanti ad uno come Tim Roth nelle vesti di te stesso? Ho già il mal di testa.

Tornando al telefilm in questione, come dicevo prima, prevederne la chiusura non era poi così complicato. Nella prima stagione troviamo una partenza sparata e concentrata di informazioni. Scritta molto bene, per carità, e le abilità del dottor Lightman, s’incastrano a meraviglia con la linea narrativa delle 13 puntate. Ed qui che a mio dire c’è stato il fatale errore! Lo spettatore vuole sempre di più, ancora e ancora. Quindi cosa succede? Succede che, avendo consumato in pratica tutto il materiale d’interesse nella prima stagione, rimane ben poco da far fare e far vedere. La seconda stagione in fatti, subisce un chiaro rallentamento, prolungato per ben 22 puntate. Si riesce ad arrivare fino alla terza stagione, proprio grazie a Tim Roth, che con la sua interpretazione magistrale e la sua proverbiale faccia da culo (passatemi il francesismo), riesce a tenere in piedi la baracca, tenendo duro ed evitando che la nave affondi troppo presto. Io per primo cominciavo ad annoiarmi, nonostante la personalità prorompente di Roth, ma come dissi in altre occasioni, neanche gli dei del cinema possono nulla contro il calo degli ascolti.

Detto ciò, la serie non è affatto da perdere, perché ha molto da dare e per quanto mi riguarda merita un giudizio più che positivo, perciò, guardatela! Vi assicuro che non ve ne pentirete.

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