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5/10

Broken City regia di Allen Hughes

Thriller
recensione di Fabrizia Malgieri

New York, periodo pre-elettorale del Sindaco della città. L'ex poliziotto Billy Taggart, ora detective privato, viene assunto dall’attuale sindaco per scoprire una presunta relazione extraconiugale della moglie dell'uomo, in quanto potrebbe compromettere la sua campagna elettorale. Ma quando Taggart trova morto il presunto amante, inizia a dubitare sulle reali intenzioni del sindaco, facendosi coinvolgere in una spietata caccia contro la corruzione.

Corruzione e politica. Senza saremmo in un mondo utopico, come quello immaginato dall’umanista e scrittore Thomas More. Eppure Allen Hughes – fratello gemello di Albert, con cui ha diretto nel 2001 From Hell: La vera storia di Jack lo Squartatore  – ci pone di fronte all’uovo di Colombo, svelandoci nel suo assolo Broken City quanto la corruzione, in una grande città come New York City, sia all’ordine del giorno nelle alte sfere della politica. L’orrore, l’orrore, l’orrore. Perdonate la citazione parodistica del colonnello Kurtz in Apocalypse Now (o di “Cuore di Tenebra” di Joseph Conrad, a vostro piacimento), c’è addirittura il rischio di elevare concetti al limite del terra terra.

Non c’è nulla che convince in questo Broken City: la pellicola si traveste da thriller, facendo leva su un apparato narrativo fitto di trame e di personaggi che continuano a slegarsi tra loro, lasciando allo spettatore solo un gran mal di testa. Al limite della sopportabilità il protagonista Mark Wahlberg, attore monolitico quanto inespressivo, che trascina la pellicola in un soporifero e sconclusionato accavallamento di eventi. Senza infamia e senza lode, la presunta femme fatale Catherine Zeta Jones (moglie del sindaco), pronta a tradire come Giuda Iscariota il marito potente e avido. Nel parterre di attori, l’unico che davvero risulta degno di nota è l’appesantito Russell Crowe, imbonitore e calcolatore come ogni buon (?) politico che si rispetti.

In un film che lascia a bocca asciutta sotto diversi punti di vista, l’unico grande elemento di pregio è la curata fotografia di New York in notturna: incantevoli skyline che restituiscono la potenza e, al tempo stesso, la fragilità di una metropoli come la Grande Mela, che sonnecchia sulle acque incurante della spietata corruzione a cui è inevitabilmente soggetta. Ma non basta una bella fotografia – già assaporata in pellicole come From Hell e Codice: Genesi – ad arricchire un film che è fallace in partenza: Broken City grida allo scandalo sull’ovvietà, vorrebbe condurre lo spettatore a riflettere su concetti come redenzione e politica corrotta, eppure si accartoccia su se stessa, travolta da fitte trame e sotto-trame che finiscono solo per appesantirne il ritmo.

Perdibile.

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