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8/10

Anime nere regia di Francesco Munzi

Noir
recensione di Alice Grisa & Francesco Ruzzier

La storia di tre fratelli invischiati nella malavita calabrese e nelle lotte tra famiglie di un piccolo paese dell'Aspromonte. Due di loro si sono trasferiti a Milano, ma non è sufficiente a tenerli lontani dalle ripercussioni di un gesto azzardato compiuto dal nipote ventenne, che metterà in moto una catena di vendette e violenza.

Alice Grisa (voto 8):

Più che un film sull’ndrangheta, Anime nere è una storia di degenerazione umana. Eschileo per forma, contenuti e glacialità ineluttabile, è un punto di vista sulle persone arenate al catrame delle faide familiari. Non c’è lotta contro il male, c’è solo l’approccio alla lotta; resta il male, la sua origine, le sue strane derive. E una riflessione agghiacciante sulla gioventù bruciata, incapace di risanare i conflitti storici e inadeguata ai valori di quello che non è più “un Paese per vecchi”.

La freddezza dell’Aspromonte, i pastori, un mare stretto e un dialetto duro e gutturale non vogliono rappresentare un universo lontano, ma si fanno contesto volutamente inospitale per un tema universale, “filmabile” come paradigma della società sbandata. Perché il male è tanto raccontabile tra il sangue delle capre, tra santini, macigni e vecchi tavoli quanto incarnato tra le strade di Milano, nei quartieri futuristici, tra le architetture dell’Expo e il narcotraffico trasversale di Amsterdam, Italia del Nord e Sud. Africo è luogo della malavita calabrese e terreno concettuale per un riassunto sullo stato moderno dell’anima. Non c’è più neanche l’onore della “vecchia” criminalità, le moderne “anime nere” sono schiacchiate da un rancore sciocco e nonsense, come quello del giovane Leo, e sbattute nel far west calabrese delle capre e delle pistole quanto “apparecchiate” nelle sembianze borghesi di una ricca famiglia milanese.

Si raccontano tre fratelli e tre visioni della vita, dalla più spregiudicata alla più defilata, ma nessuna di queste è vincente. Se c’è un peccato originale (la morte violenta del padre) non esiste reazione che porti alla liberazione. Come sosteneva Eschilo, l’uomo è piegato dall’ineluttabile; qualcuno prova a sollevarsi dal fango amorale della nascita, ma è destinato, per la mancata redenzione dei figli (dei posteri?), a fallire.

Francesco Munzi, al suo terzo film, per l’adattamento del libro di Gioacchino Criaco, sceglie lo stile “anticlassico” della rappresentazione per “non-rappresentazione”, spezzando i climax, troncando le iperboli, optando per un ritmo sincopato senza mostrare il clou ma, forse più efficacemente, le sue livide conseguenze. La fotografia curatissima che affila volti ed espressioni come ritratti manieristi nella notte, l’intensificarsi delle ombre, i colori freddi, la costruzione delle inquadrature pongono il film non sul piano della denuncia sociale e del moralismo didascalico, ma su quello del ragionamento esistenziale.

Anime Nere è un frullato di generi: un noir italiano, una tragedia sassosa, un dramma familiare. Gli attori, convincenti e calibrati, portano la tensione a srotolarsi verso un finale semi-aperto e non del tutto soddisfacente, coerente con la scelta generale dell’“alludere” ma forse non appropriatissimo a una storia così “forte” che meriterebbe una conclusione altrettanto decisa. Rimangono una guerra aperta, interrogativi angoscianti e l’anima, nera e liquefatta, annientata dai propri stessi tentativi falliti.

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Francesco Ruzzier (voto 8):

In Anime Nere di Francesco Munzi, girato, secondo il regista, in "uno dei luoghi più mafiosi d'Italia, uno dei centri nevralgici della 'ndrangheta calabrese", si respira fin dai primi momenti un'aria molto pesante ed opprimente: siamo in Aspromonte, un luogo dove le nuove generazioni sembrano non avere alcuna via di scampo da quelle che sono le regole dell'ambiente in cui vivono, stabilite, da decenni, dalle famiglie mafiose lì radicate. La storia è quella di Leo, figlio ventenne del più anziano di tre fratelli strettamente legati alla 'ndgrangheta. Nonostante Luciano, il padre di Leo, sia l'unico della famiglia a non volersi immischiare con azioni criminali e spera per il figlio un futuro lontano dagli "affari di famiglia", il ragazzo coltiva dentro di sè una rabbia esplosiva, che libera a causa di una banale lite a cui reagisce con un atto di vandalismo intimidatorio contro un bar di una famiglia rivale. Da qui in avanti Anime Nere diventa una discesa nei lati più oscuri e nascosti nei meccanismi di azione e reazione con cui le famiglie mafiose cercano di mantenere ben saldi gli equilibri e, laddove possibile, mirano ad acquisire più potere. La regia di Munzi è abile, utilizzando quasi esclusivamente delle inquadrature molto ravvicinate, a rendere claustrofobica e pesante l'atmosfera, ma soprattutto nello svelare allo spettatore, attraverso gli occhi del protagonista, solamente pochi elementi alla volta, addentrandosi maggiormente in profondità a pari passo con lo svolgersi del film, riuscendo a non dare mai la sensazione di trovarsi all'interno di una struttura prestabilita, in gran parte per merito della spontaneità con cui si susseguono le azioni e le reazioni. Grazie alla maestria con cui il regista romano riesce a non svelare subito le sue carte, soltanto a film inoltrato lo spettatore si accorge di trovarsi all'interno di western dalle tinte noir, reso atipico dalla naturalezza ricercata dalla regia che tende a realizzare le scene madri della vicenda in maniera totalmente antispettacolare, sfruttando al meglio l'efficacia delle sfocature e del fuori campo, per poi scatenare tutta la violenza visiva nell'inaspettato finale.

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