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4/10

47 Ronin regia di Carl Rinsch

Azione
recensione di Alfredo De Vincenzo

L'emarginato Kai decide di unirsi ad un gruppo di Ronin comandato da Kuranosuke Oishi, che cercano vendetta su Lord Kira dopo che questi ha fatto uccidere il loro signore e bandito il gruppo. Per restituire l'onore al loro feudo e al loro signore, i guerrieri si troveranno ad affrontare delle dure prove, che porteranno alla sconfitta di numerosi guerrieri.

47 Ronin non è certo un film d'altri tempi, nulla a che fare quindi con i samurai di Akira Kurosawa, perchè vive di un'anima fantasy da cui non riesce a prescindere fino in fondo. Questa connotazione è ovviamente da attrbuirsi all'origine stessa della storia, che attinge dalle reali vicende e dal mito dei 47 Ronin, intrecciandosi con la cultura del giappone feudale del XVIII secolo. Il protagonista, Kai, è un "mezzosangue", mezzo uomo e mezzo demone, che vive in un villaggio dove incombe la minaccia di uno Shogun, ossia un comandante, accecato dal potere e soprattutto da una strega. Il mezzosangue, interpretato da Keanu Reeves, si innamora della figlia del Daimyo, ossia il signore del villaggio, ed ambisce a diventare samurai, ma a quanto pare nessuno è d'accordo con lui, se non la giovane donna in un mondo fondamentalmente maschilista e sessista, per cui è tutto una continua umiliazione ed emarginazione. Questo fino a quando il Daimyo non viene assassinato, i rispettati Samurai diventano Ronin (samurai senza padrone), banditi ed esiliati, e dovranno prodigarsi per cercare vendetta, come il buon cinema orientale richiede. 47 Ronin di Carl Rinsch, alla sua prima opera da regista, esteticamente è lontano anni luce dalla raffinatezza del cinema giapponese, o più generalmente orientale, pur riuscendo, in alcuni sporadici momenti, a trasmettere quei valori classici del Bushido ("La via del guerriero", ossia un codice di valori etici e morali che adottavano i samurai) specie nel momento del Seppuku (il rituale di suicidio in uso tra i Samurai), facendo trasparire allo spettatore il senso di disciplina e onore che tutt'oggi contraddistingue il popolo giapponese. Il comandante Oishi Kuranosuke (Hiroyuki Sanada), personaggio realmente esistito, incarna alla perfezione questi valori, a differenza del protagonista Kai che, per quanto si sforzi, è troppo vicino al personaggio fantasy per esser preso eccessivamente sul serio. In questa differenza tra i personaggi si gioca in fondo tutto il film, che poteva essere benissimo girato senza l'ingombrante presenza del sempre tenebroso Keanu Reeves e del suo reietto Kai, per lasciar spazio a personaggi ben più interessanti come il comandante Oishi. Se quindi il film permette di comprendere il sistema giapponese, le sue regole ed i suoi limiti, dall'altro la pellicola, nel tentativo arrancato di sorprendere con una buona tenuta estetica, predica nel deserto per via di una sceneggiatura monca che si poggia su frasi del tipo "Provaci se ci riesci", che sembrano uscite da un action movie come Die Hard più che da un film storico/fantasy sui samurai. Manca quindi una profondità di linguaggio, che non sia costituito da frasi fatte, e spesso sembrano persino mancare frammenti di storia che dipingano il quadro generale collocando i personaggi e la loro storia. I personaggi inizialmente vengono raccontati attraverso le loro azioni, ma anche attraverso gli sguardi e le storie, mentre, via via che il film sia avvia verso un finale che lascerà sorpresi i poco avvezzi alla cultura giapponese, la profondità dei personaggi si affievolisce preferendogli stregonerie, draghi e fantasmi. In definitiva 47 Ronin è una grossa delusione, e presenta pecche che neanche una storia di per sè avvincente ed una cultura molto affascinante riescono a colmare, lasciando l'amaro in bocca per quella che poteva essere una grandissma storia, una sorta di epopea che non avrebbe avuto nulla da invidiare ai capisaldi del genere. Un terzo chanbara e due terzi blockbuster americano, 47 Ronin si fa guardare ma si rivela un flop su troppi livelli di lettura, e per un film costato 175 milioni di dollari il risultato è da considerarsi un disastro.

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