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9/10

Indagine su un Cittadino al di Sopra di ogni Sospetto regia di Elio Petri

Politico
recensione di Cristina Coccia

Il capo della sezione omicidi di Roma, il giorno della sua promozione al comando dell'ufficio politico della questura, taglia la gola alla sua amante. Con dei falshback viene rivelato che la donna invitava il commissario ad abusare del suo potere o a riprodurre le scene del crimine dei delitti su cui aveva indagato. Per mettere in crisi lo stesso potere di cui è schiavo, il commissario lascia prove della sua colpevolezza ovunque, ricatta, suggerisce ai colleghi la strada da seguire e poi depista le indagini. In seguito, subentra un incalzante desiderio di essere smascherato.

Il cinema non è per un'élite, ma per le masse. Parlare ad un'élite di intellettuali è come non parlare a nessuno. Non credo si possa fare una rivoluzione col cinema. Io credo in un processo dialettico che debba cominciare tra le grandi masse, attraverso i film e ogni altro mezzo possibile.” (1) Le parole più famose di Elio Petri palesano il suo punto debole, quella premessa sbagliata che, nonostante la sua lucidità (che l’ha reso certamente uno dei registi migliori nel panorama del cinema sociale e politico degli anni Settanta), lo porta ad essere spesso frainteso, analizzato in maniera approssimativa dalla critica e a diventare un bersaglio privilegiato nello scontro critico e politico interno alla sinistra di quel particolare periodo della nostra storia. Egli fermamente credeva in un possibile processo dialettico con le masse, ignorando che ciò che egli auspicava è una strada indubbiamente impercorribile.

Già nel 1895, Gustave Le Bon scriveva: "Si può dire in modo assoluto che le folle non sono influenzabili con ragionamenti. Ma gli argomenti che esse impiegano e quelli che agiscono su di esse appariscono, dal punto di vista logico, di un ordine talmente inferiore che solo per via di analogia si può qualificarli come ragionamenti.

I ragionamenti inferiori delle folle sono, come i ragionamenti elevati, basati su associazioni: ma le idee... associate delle folle non hanno tra di loro che legami apparenti di rassomiglianza e di successione. E si legano nello stesso modo di quelle di un Eschimese il quale, sapendo per esperienza che il ghiaccio, corpo trasparente, si fonde in bocca, ne conclude che il vetro, corpo ugualmente trasparente, deve anch'esso fondersi in bocca; o di quelle di un selvaggio ii quale immagina che mangiando il cuore di un nemico coraggioso egli acquista il suo coraggio; o ancora di quelle dell’operario che, sfruttato da un padrone, ne conclude che tutti i padroni sono sfruttatori.” (2)

In queste dinamiche, sia l’intellettuale che l’uomo semplice, si comportano in modo simile, in quanto parte della massa, completamente suggestionati e condizionati da una rappresentazione del mondo illusoria, irreale, costruita sulla base di informazioni assemblate e proposte a tutti dai mezzi di comunicazione “di massa” e ormai dal cinema stesso. Nonostante questa premessa, ci sono notevoli pellicole di Petri come A ciascuno il suo, I giorni contati e il magnifico Todo Modo (la cui pellicola fu addirittura trovata bruciata negli archivi di Cinecittà), che lo rendono un rarissimo esempio di quanto il cinema possa, potenzialmente, talvolta, dare consistenti occasioni di riflessione. Difficilmente la critica, ormai assoggettata com’è all’opinione comune e all’omologazione più spersonalizzante del mercato dell’industria cinematografica, sa cogliere e sfruttare tali spunti. Se s’illude di potersi distaccare dalla massa cade negli schemi tipici di una classe a cui appartengono i critici più arroganti che, pur di andare controcorrente, di snobbare il cinema commerciale e sottrarsi al conformismo, innalzano a capolavori pellicole assolutamente insignificanti, fini a se stesse e poco stimolanti.

Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto è un esempio di critica al concetto moderno di giustizia, che non a caso, nella prima scena, viene contrapposta alla scienza in una ripresa che si sofferma su due figure ornamentali di donna di cui si fregia la facciata di una palazzina. Questo a testimonianza della mancanza di fondamento razionale della giustizia moderna. In più, siamo evidentemente lontani dall’ideale di giustizia platonica che dovrebbe essere scopo e fondamento della comunità e dello Stato, un ideale che dovrebbe servire da ordine individuale e poi, soltanto dopo, politico, nel processo di crescita dell’uomo e dello Stato stesso.

Attualmente, all’uomo medio, alla massa, non è richiesta una crescita e lo Stato è visto come continuatore della figura paterna, le istituzioni sono considerate degne di fiducia, benevole, preoccupate del bene dei figli e non interessate a sfruttarli o imbrogliarli. Questo meccanismo rende il cittadino democratico alleato di un potere autoritario, nei confronti del quale diventa come un bambino, incapace di opporsi o di criticare il suo operato. 

Mettendo in scena alcuni motivi centrali della vita politica degli anni 70, Petri racconta la vicenda che vede coinvolto il capo della sezione omicidi di Roma, il giorno stesso della sua promozione al comando dell'ufficio politico della questura, un uomo all'antica, che, però, taglia la gola alla sua amante, in un appartamento in via del Tempio, 1. Il film è realizzato con dei flashback nei quali viene rivelato che Augusta Terzi, l'amante, invitava il commissario ad abusare del suo potere o a riprodurre le scene del crimine dei delitti su cui aveva indagato. Per mettere in crisi lo stesso potere di cui è schiavo, il commissario lascia prove della sua colpevolezza ovunque, ricatta, suggerisce ai colleghi la strada da seguire e poi depista le indagini. In seguito, subentra un incalzante desiderio di essere smascherato, di scontare le proprie colpe per non essere vittima della sua insospettabilità. Il commissario, o dirigente, come spesso viene chiamato, tende, agogna alla propria condanna e invoca l’intervento dell’unico testimone oculare, l’anarchico individualista Pace, con cui, Augusta lo tradiva, che, però, mira solo a ricattarlo, perché convinto che un criminale sia naturalmente idoneo a dirigere la repressione e che, debba, comunque, restare al suo posto.

Il protagonista afferma spesso che lo Stato è in grado di offrire alla polizia ogni mezzo per mettere a nudo un individuo e per creare in esso un complesso di colpa e poi, a conferma di ciò, lui stesso rimane vittima di questo senso di colpa, perché non è, in fondo, molto diverso da quelli che interroga, arresta, reprime. L’unica cosa che lo rende sicuramente diverso dagli altri è la sua posizione nell’autorità costituita, ma quello che lo tradisce è l’atteggiamento infantile, l’ “aspetto da italiano medio”, la sua anima borghese che traspare in ogni suo discorso, nel tanfo della caserma, nei calzini corti da prete e soprattutto in quella cravatta che diventerà il suo problema principale quando si tratterà di coprire le sue tracce. Da un lato c’è il commissario con il suo aspetto e le sue nevrosi (“contratte durante l’uso permanente e prolungato del potere”) e dall’altro l’aristocratica e brillante Augusta, abituata a uomini facoltosi, una vera “cortigiana del basso impero”, che non fatica a riconoscere nel suo amante un uomo medio, uno, come tanti altri, incapace di sostenere il peso della sua influenza sulla massa. Il suo unico privilegio è la sua posizione: la società lo colloca in alto, tra i dirigenti, ne fa un punto di riferimento e questo Petri riesce a rappresentarlo perfettamente, riprendendolo sempre dal basso. Il commissario, tuttavia, nonostante disprezzi e umili continuamente i suoi sottoposti, non ha le qualità per ergersi al di sopra di essi.

Forse è il sistema stesso che contribuisce a mantenerlo nel suo stato, a non farlo uscire dalla sua mentalità piccola e limitata, così resta perennemente schiavo della democrazia pur essendo capace di coglierne le pecche più profonde e pur essendo più incline a reprimere che a difendere i cittadini. “Tu puoi essere marxista, anarchico, situazionista, Mao, Lin Biao, tu puoi leggere il libretto rosso, ma tu puoi fare tutto quello che vuoi! Tu non sei un cavallo! Tu sei un cittadino democratico, e io ti devo rispettare... Ma i botti terroristici, le intimidazioni, le bombe, che minchia c'entrano con la democrazia?!?” Affermerà durante l’estenuante interrogatorio di un sovversivo, arrivando a dire: “Che cos'è questa democrazia? E diciamocelo: è l'anticamera del socialismo. Io, per esempio, voto socialista” Elio Petri riesce a ritrarre con stile preciso, distaccato, imparziale la situazione sociale italiana, tracciandola attraverso gli occhi di pochi, studiati personaggi: il dirigente (interpretato da un sublime Volonté, l’attore perfetto, che resterà un caso unico nella cinematografia mondiale), la sua splendida amante (Florinda Bolkan) che non appartiene al popolino e che ne sa individuare vizi e limitatezze, e diverse figure rappresentative della classe media, tra tutti il povero Panunzio, tartassato dal commissario e lo “stagnaro” (un bravissimo Salvo Randone, caratterista in numerosi film di Petri), che, in preda alla paura di scalfire il potere delle autorità, si rifiuta di denunciare il commissario, negando l’evidenza. Poi ci sono i rivoluzionari, divisi tra loro, aggressivi, ostinati come pochi, che non cambiano mai da trent’anni, perché “La rivoluzione è come la sifilide, ce l’hanno nel sangue.”

Tormentato dalle visioni, dalla confusione generata dalla nevrosi da potere, il commissario torna a casa nella sua auto blu e si autoinfligge una condanna agli arresti domiciliari, in base all’articolo 247 (che, in realtà, stranamente, riguarda, invece, “Casi e forme delle perquisizioni”), deciso a consegnarsi alla giustizia, che, per lui, rappresenta ancora un’istituzione verso cui ha degli obblighi. Sintomatica è la frase che con cui, in commissariato, congeda il suo collaboratore, disorientato dagli eventi “Tu fai quello che ti appartiene, io faccio quello che DEVO fare”. Ma, si sa, il potere è un circolo vizioso da cui non si esce, nemmeno con una confessione di colpevolezza. Il vero potere è sempre oscurato, come gli eventi finali della pellicola, sfuggono all’opinione pubblica, non si palesa mai e soprattutto non manifesta le sue macchinazioni, perché il suo unico fine è custodire e proteggere se stesso. Il film si chiude con un aforisma di Kafka: “Qualunque impressione faccia su di noi, egli è un servo della legge, quindi appartiene alla legge e sfugge al giudizio umano.” Ed è sbalorditivo quanto sia ancora vera questa massima, applicabile alla nostra attuale scena politica e a chi oggi è a “Capo di uno Stato” democratico, a chi è stato in passato detentore dello stesso potere e, anche, probabilmente, lo sarà nel prossimo futuro. Non importa se stiamo parlando di stragi degli anni di piombo, imputate a chi, in quel momento faceva più comodo accusare, o di ex ministri dell’Interno, il potere tende all’autoconservazione, difficilmente lascerà trapelare le sue trame e la giustizia è ormai solo una bella parola piena di vento, perché, per quanto crediamo di essere in una democrazia, e qualcuno pensa anche che sia una giusta e perseguibile forma di governo, dobbiamo sempre tener presente che “La democrazia non sarà mai niente di più che un sistema di governo mediocre, volendo essere generosi; l'unica cosa che si può sostenere a suo favore è che è circa otto volte migliore di qualsiasi altro metodo mai tentato finora dalla razza umana. Il peggior difetto della democrazia è che è molto probabile che i suoi leader riflettano i difetti e le virtù dei loro elettori... un livello purtroppo bassissimo, ma del resto che cosa ci si può aspettare?” (3)

Ecco la nostra visione democratica dove ci ha portato, ecco i suoi vizi e come utilizza le idee di parità per uniformare aggregati umani che sperano sempre di più di arrivare alla verità senza il minimo sforzo. L’unico problema di fondo è che, a lungo andare, le verità sono sempre quelle di qualcun altro, la giustizia diventa quella di chi sta al potere e tutto quello che avviene realmente nel nostro attuale contesto socio-politico resta dietro le quinte. Ma va bene, finché tutti credono che le cose stiano andando per il verso giusto, in fondo “La sicurezza del potere si fonda sull'insicurezza dei cittadini” (4) e il nostro Stato ci sta drogando di sicurezza, fabbricando opinioni che poi ammucchia rispettosamente sotto il nome di “opinione pubblica” per dare sicurezza ai cittadini. Ecco perché l’illusione della democrazia continua ad andare avanti e con essa anche quella di giustizia: è prestabilita, inscatolata e venduta come una confezione di biscotti di marca scadente. A pensarci bene forse abbiamo i governanti che ci meritiamo, se perseveriamo nella nostra adolescenziale, ormai quasi infantile, condizione di insicurezza.

 

(1) Federico Bacci, Nicola Guarneri e Stefano Leone, Elio Petri. Appunti su un autore (2) Gustave Le Bon, Psicologia delle folle (3) Robert Anson Heinlein, Straniero in terra straniera (4) Leonardo Sciascia, Il cavaliere e la morte

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