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8/10

Torneranno i prati regia di Ermanno Olmi

Guerra
recensione di Carlo Danieli

Fronte italo-austriaco, inverno del 1917: le truppe italiane e quelle austriache si fronteggiano asserragliate nelle proprie trincee,  in quella che passerà alla storia come la Grande Guerra.

[…] Di tanti

Che mi corrispondevano

Non è rimasto

Neppure tanto

Ma nel cuore

Nessuna croce manca

È il mio cuore

Il paese più straziato

(G.Ungaretti, San Martino del Carso

C'è più di un semplice filo conduttore che lega la poetica ungarettiana della Grande Guerra al nuovo film di Ermanno Olmi, dal titolo Torneranno i prati. Entrambi riescono infatti a tracciare un potente e drammatico quadro esistenziale sulla condizione umana e interiore del soldato che combatte al fronte. Anzi se Ungaretti riesce a trasmettere attraverso la sua poesia questa situazione di estrema precarietà del soldato sempre in bilico tra la vita e la morte, Olmi, dal canto suo, riesce a tradurla in immagini e lo fa attraverso un cinema molto intimo e personale, fatto di grandi silenzi e scarne parole. L'ambientazione dell'opera di Olmi e quella più tipica della prima guerra mondiale: una trincea nel bel mezzo del nulla, dove il nulla e' una montagna coperta di boschi e di neve. Qui dentro, in uno spazio angosciante e ristretto (la trincea appunto) che è luogo sia di salvezza (chi esce dalla trincea finisce sotto il fuoco nemico) sia di prigionia (qui si spengono sogni, speranze, attese, futuro di chi vi è costretto), vive un manipolo di soldati italiani, dalle più disparate zone dello stivale. Tra scoppi di mortai, fame, malattie, ordini suicidi, si consuma l'attesa di chi sa che ogni istante che vive potrebbe essere l'ultimo. E non bastano vecchie fotografie di un mondo familiare ormai lontano per riuscire a sperare, poiché in una condizione estrema così disumanizzante ed alienante, nulla ormai ha più valore, nemmeno la vita. Olmi perciò ci regala uno spaccato reale di vita di guerra, fatto di attese snervanti, lunghi silenzi e angosce, che proiettano direttamente lo spettatore in quel mondo claustrofobico e terribile che è la trincea, luogo di negazione e privazioni. I dialoghi sono essenziali, depurati di qualsiasi retorica antimilitarista, la musica e' quasi assente e le uniche immagini che restituiscono serenità sono quelle che riescono a catturare i magnifici paesaggi montanari. Ecco che quindi la trama, quasi del tutto assente, diventa essa stessa superflua: Olmi non cede alla spettacolarizzazione dell'evento bellico, ne' gli interessano facili eroismi, ma si fa piuttosto portatore di un grido di dolore contro ogni guerra, cimitero di sogni e speranze, che troppe vite ha spezzato. Vite destinate all’oblio, perché proprio dove tanti, troppi giovani hanno versato i loro sangue, come dice il titolo, ritorneranno i prati, e del loro sacrificio non rimarrà che un vago ricordo. 

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