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R Recensione

10/10

The Wire (HBO, 2002)

Poliziesco
recensione di Davide Di Legge

Ambientata a Baltimora, The Wire racconta il traffico di droga nella città e gli sforzi della polizia per arginarlo, il mondo corrotto e connivente tra politica e crimine, il collasso della "working class", la burocrazia e la gerarchia che regolano ogni cosa, il sistema scolastico e quello dei media, spaziando a temi come il sindacato, la povertà, l'emarginazione sociale, la tossicodipendenza e la disillusione di un mondo ancora diviso in ghetti e classi sociali.

Nell'era della serialità conosciuta un po' da tutti, delle serie tv con nomi altisonanti, della tv che sempre di più compete con il cinema, vale la pena fare un passo indietro per ripescare uno dei titoli televisivi più importanti e fondamentali per lo sviluppo della successiva serialità.

The Wire è una delle prime serie della nuova "ondata" d'inizio 2000. Suo ideatore è David Simon, già cronista del "Baltimore Sun", che ha sfruttato la sua conoscenza "giornalistica" di Baltimora per delineare il terreno su cui vivono le cinque stagioni di The Wire. Ognuna delle 5 stagioni ha un proprio arco narrativo che si focalizza su delle precise tematiche che riguardano la città; se la lotta al narcotraffico e alla micro e macro criminalità rimane costante, vengono analizzati altri ambienti urbani della più grande e popolosa città del Maryland: il porto (il più importante di tutta la costa atlantica) e il declino definitivo della classe operaia (2a stagione), la sfida per la poltrona di sindaco della città, gli intrecci tra politica, vertici delle istituzioni tutte e criminalità, l'assurdo sistema della scuola (4a stagione, la più "cruda" di tutte) e il sistema dei media (5a stagione). Ognuno di questi rami della realtà cittadina vengono analizzati attraverso uno stile che è molto vicino al documentario, tanto che la sensazione che si ha episodio dopo episodio è quella di attori che smettono di recitare e diventano cittadini comuni che si muovono nel grigiore di Baltimora.

The Wire ha tantissimi pregi e pochi difetti, ma se proprio si vuole citare l'elemento caratterizzante del progetto di Simon, vale la pena soffermarsi sul realismo del racconto e della messa in scena. Ogni dialogo, ogni sequenza, ogni minimo risvolto della vicenda, ha una sua infinita importanza che si ricollega a tutto il resto, anche quando un minimo dettaglio può apparire banale e privo di senso. Proprio questa molteplicità di situazioni ed eventi, insieme ad uno sconfinato numero di personaggi, sono gli elementi che più di tutti rendono complessa la visione dell'opera, congestionata da un'infinità di nomi. Un realismo che fa finalmente giustizia alla vita vera, mettendo da parte una volta per tutte quella faciloneria investigativa che ha contraddistinto tanti altri titoli della tv (e CSI è uno dei più famosi). In The Wire ogni caso è estremamente complesso, lungo, intricato, e si devono cercare i minimi indizi, i testimoni disposti a parlare, ricostruire il marasma criminale che c'è dietro, l'albero genealogico dello spaccio. Perchè prendere i pesci grossi è estremamente difficile, mentre sbattere contro i muri i ragazzini di dieci anni che già spacciano è una realtà di tutti i giorni. A tutti i livelli, la serie rimane fedele ad un impianto che non concede nulla allo spettatore, che non accellera mai, che non da facili soluzioni e scelte scontate. Niente va come lo spettatore vorrebbe, i buoni perdono spesso, i cattivi meno, ma a ben vedere si fa fatica a credere che esistano veramente i "buoni" e i "cattivi"...

La grandezza della creazione di David Simon (con collaborazione di Ed Burns) è quella di rappresentare un mondo che non è solo quello di Baltimora, ma degli interi Stati Uniti. The Wire si fa riflessione profonda, quasi antropologica, sull'uomo americano e sul sistema che governa il paese. Si pensi alla reiterata presenza della burocrazia, che blocca tutto e tutti, dalla polizia, spesso costretta ad usare metodi investigativi antiquati, alla scuola, che deve falsificare i test degli alunni per ricevere soldi, alla complessa gestione dei fondi governativi e federali per il comune. A ciò si affianca lo spettro della gerarchia, altra parola chiave di The Wire. I gradi e le conoscenze contano più di ogni altra cosa. Si potrebbero citare decine di esempi su questo tema: gli ottimi risultati dell'unità operativa voluta da Daniels cozzano con gli ordini che arrivano dai vertici della polizia, il sindaco Carcetti (Aidan Gillen, futuro "Ditocorto" in Game of Thrones) deve piegarsi al volere del governatore dello stato se vuole i fondi che servono, i piccoli spacciatori di strada devono abbassare la testa di fronte ai loro capizona, che a loro volta chinano la testa di fronte ai "grandi capi" Barksdale, Stringer Bell (Idris Elba), Marlo Stanfield. Idem per gli iscritti al sindacato, che devono sottostare al volere di Frank Sobotka che ha intrallazzi con i trafficanti greci, ma che a conti fatti può essere considerato come uno dei personaggi più "puliti" della serie. The Wire ci dice che Baltimora Ovest, Baltimora Est, gli Stati Uniti, sono regolati da una gerarchia sociale che non può essere scavalcata e non importa se sei bianco o nero, ciò che è fondamentale è la famiglia da cui provieni. Nessuno spazio per il sogno americano, nessuna speranza di diventare il self made man capace di scalare la scala sociale. Nulla cambia e nulla cambierà e il finale lo ribadisce con una potenza pessimistica che non ha eguali nella storia della tv.

Se gli ambienti raccontati variano di stagione in stagione, la caccia ai grandi trafficanti e ai criminali dello spaccio, rimane il fil rouge che lega le five seasons e i personaggi che rimangono di più sullo schermo. Anche da questo punto di vista non si scappa dalla realtà: ogni appostamento, ogni ricerca, ogni scena del delitto ha una storia a se che non si risolve nel giro di qualche dialogo. Sono i vari Lester, Jimmy McNulty, Kima, "Bunk", a doversela vedere con le strade di Baltimora e tutto ciò che resta invisibile dietro i dedali dei vicoli e delle stradine tutte identiche. Ci viene mostrato il lavoro giornaliero, i lunghissimi appostamenti per avere una singola foto, la transizione da una polizia che lavora con le macchine da scrivere e che pian piano scopre i telefoni, le intercettazioni, le telecamere, i computer. Anche quì, Simon ci mostra come il microcosmo (la polizia) venga trasformato dalla società che avanza (il macrocosmo), senza riuscire ad assolvere veramente il suo compito, che è quello di vincere la guerra della lotta alla droga. Anche gli informatori diventano fondamentali per combattere questa guerra e personaggi come il rapinatore Omar o il tossico "Bubbles" rimangono scolpiti per la tragicità delle loro vite, sempre vissute oltre il margine, fantasmi borderline di un'America di sconfitti.

La serie tv ideata da David Simon e prodotta dalla HBO (una vera garanzia), è uno spaccato organico ed estremamente intricato sulla società americana, che quì emerge ancora divisa in classi e ghetti. Simon e Burns infarciscono The Wire di mille riflessioni e sottotesti per raccontare la realtà cosi com'è, senza filtri, senza pacche sulle spalle ad uno spettatore che deve solo constatare come funzionano veramente le cose. Per cercare di comprendere cos'è The Wire si potrebbero citare i tantissimi personaggi, le diverse scene memorabili, le sottotrame, il racconto del disfacimento della classe operaia, gli intrecci sempre attuali tra politica e malaffare e altri mille aspetti che l'opera analizza con il suo sguardo da documentario. Ma fin dal principio The Wire mostra di essere qualcosa di più, un dipinto antropologico sull'uomo e le contraddizioni americane che non lascia scampo alle spettacolarizzazioni e ai tempi veloci che il pubblico ama tanto. Un'opera impossibile da ingabbiare in schemi precostituiti. Basterebbe ricordare le parole utilizzate da Francesco Pacifico in un articolo apparso su Il sole 24 ore: "il pilota di The Wire è il primo giorno di scuola come è andato veramente. Tutte le altre serie sono il primo giorno di scuola romanzato."

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