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R Recensione

10/10

House of Cards (Media Rights Capital, 2013)

Drammatico
recensione di Flavio De Cinti

Durante la campagna elettorale, il rappresentante democratico Frank Underwood supporta Garrett Walker, che diventa il 45º presidente degli Stati Uniti. Ma quando Walker viene meno alla promessa fatta prima delle elezioni, di affidare l'incarico di segretario di stato ad Underwood, quest'ultimo cerca una vendetta personale puntando ai vertici politici di Washington.

House of Cards è una serie importante per almeno due motivi: È la prima serie interamente prodotta dal colosso americano dello streaming Netflix (con tutte le conseguenze del caso); segna il deciso ritorno di Kevin Spacey nel novero degli attori con qualcosa da dire, imponendosi  con una prova colossale dopo anni di prestazioni non all’altezza (per essere buoni).

Il primo punto è certamente quello più interessante; Netflix, dopo aver deciso di produrre per la prima volta una serie tv, è riuscita a battere la concorrenza di HBO e AMC per i diritti di questo House of Cards, remake dell’omonima serie inglese del 1990. Inoltre, l’azienda americana si è assicurata come produttore nientepopòdimeno che David Fincher (che dirige anche un paio di episodi) e come protagonista un attore di prima fascia come Spacey, alla sua prima prova importante in una serie tv. Insomma, l’asticella era alta sin dall’inizio. Per quanto riguarda il secondo punto, la prova in questione dell’attore premio Oscar è certamente la più riuscita degli ultimi anni, sfido a dimostrare il contrario.

La serie segue le gesta del deputato democratico Frank Underwood, che insegue la propria vendetta personale nei confronti del partito e del presidente eletto, tentando una scalata nelle gerarchie tanto pericolosa quanto avvincente. Underwood è semplicemente uno squalo che non si accontenta di sopravvivere, ma prova sempre ad attaccare  la propria preda, anche se questa è rappresentata dal suo stesso partito. Ad aiutarlo in questa impresa, la moglie Claire (una Robin Wright bella,androgina e freddissima), fondatrice di un’organizzazione no-profit che schiaccia i propri avversari esattamente con gli stessi modi con cui Frank si fa strada nelle stanze di palazzo. Questa coppia di coniugi è senza dubbio una delle migliori che mi sia capitata di vedere sul piccolo schermo; entrambi i personaggi sono infatti caratterizzati in maniera esemplare. Frank Underwood è un manipolatore,un calcolatore capace di prevedere le mosse dell’avversario, eppure spesso fa trasparire involontariamente la rabbia e l’ambizione che lo animano. Discorso diverso invece per Claire, che a prima vista sembra essere più umana del marito, ma che nel corso della serie mostrerà sempre di più una freddezza spietata perfino superiore a quella del personaggio di Spacey. Il resto del cast è assolutamente convincente. Dalla giovane e ambiziosa giornalista Zoe Barnes (Kate Mara), che riesce a far carriera attraverso un “dare e avere” con Underwood, a Peter Russo (Corey Stoll), politico con seri problemi di droga e alcol, utilizzato dal protagonista per innescare quell’effetto domino necessario per la propria affermazione. Sono poi presenti all’interno della serie numerosi riferimenti shakespeariani, dal “Riccardo III” a “Lady Macbeth”, mostrando un evidente impianto teatrale che caratterizza tutto il prodotto. Il particolare più interessante da questo punto di vista è certamente lo sguardo in macchina di Frank Underwood, che nel corso di ogni puntata si rivolge direttamente al pubblico, rompendo così la  tradizionale “quarta parete”, per commentare le situazioni in tempo reale. Questo espediente non è certo nuovo, ma è stato poco utilizzato nella serialità USA ed è perfettamente riuscito, aggiungendo un fattore importante all’interno dell’impianto narrativo; soprattutto, mette in condizione lo spettatore di avere un rapporto privilegiato con il protagonista e di provare una maggiore empatia con quest’ultimo.

Un impianto classico dunque, ma con evidenti richiami alla contemporaneità. House of Cards non è una semplice serie “politica”, riguardante esclusivamente vicende di palazzo e dinamiche governative, ma un resoconto durissimo sull’impatto della politica nella vita delle persone e dei rapporti (professionali e non) che si instaurano in questo sistema. In secondo luogo, è il ritratto di un personaggio che rappresenta in tutto e per tutto questo sistema e che fa della propria consapevolezza la sua arma più temibile. Il protagonista sa perfettamente che la cosa più importante al giorno d’oggi è sapere interpretare umori e cambiamenti di una società sempre più dinamica e instabile e va direttamente oltre il dualismo storico tra bene e male. Frank e Claire Underwood sono persone spietate e figure tragiche, che rivelano però, ognuno nel proprio campo, una genialità affascinante e ammaliatrice, a cui è difficile resistere e che ricorda alla lontana quella di un certo professore di chimica di un’altra grande serie.

Degno di nota infine il fatto che David Fincher abbia portato a casa un meritato Emmy per la regia, confermando il buon impatto della serie e alzando ulteriormente le aspettative per la seconda (e conclusiva?) stagione. Netflix entra quindi prepotentemente in gioco e si è già guadagnata un posto di primo piano nel panorama televisivo a stelle e strisce, lanciando un messaggio ben preciso ai grandi network.

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forever007 alle 13:57 del primo maggio 2014 ha scritto:

Attualmente questo e Homeland sono le migliori serie tv americane.