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8/10

Il racconto dei racconti regia di Matteo Garrone

Fantasy
recensione di Alice Grisa

Tre episodi tratti dai racconti di Giambattista Basile. 1-La Regina di Selvascura vuole un figlio a tutti i costi. Un negromante le fornisce una soluzione, ma c'è un prezzo da pagare. 2-Il libertino Re di Roccaforte rimane incantato da un soave canto proveniente da una capanna. Non sa che proviene da due anziane sorelle lavandaie. 3-Il Re di Altomonte alleva una pulce che cresce a dismisura come se fosse un animale domestico. Alla morte dell'animale, lo fa scuoiare e promette che darà in sposa sua figlia, la romantica principessa Viola, a chiunque indovini a chi appartenga quella pelle.

 

Se la deformazione psyco del sogno di un “Grande Fratello-addicted” in Reality si è tuffata in sfumature inaspettate di favola, perché la fiaba stessa non può, a sua volta, rinascere per riscoprire il realismo, l’horror, il "meraviglioso" condito dal grottesco del quotidiano? Ci sono forse dei limiti, quando si parla di cinema delle attrazioni? Questo è il nocciolo de Il racconto dei racconti - o il Garrone dei Garroni - in concorso a Cannes. Il cinema garroniano vuole sperimentare cercando la nuova chiave, i racconti di Giambattista Basile, ma, in realtà, ricerca (e ritrova) sé stesso, trasfigurando la propria materia usuale in un codice nuovo in cui però (ri)maneggia sempre gli stessi feticci. Nei tre episodi che riscrivono il fantasy, le ossessioni di Matteo Garrone (il corpo, il surreale, le trasformazioni, le deformazioni) esplodono nel circuito orchi-draghi-principessse-fate. Dalle foglie del bosco al caos delle cucine, l'orrore, la meraviglia sono spesso indistinguibili in un impasto iperrealista. "Le immagini hanno la verità" commenta il regista (e pittore!) in conferenza stampa. Garrone frulla “Sesso, fango e magia”, giovani e anziani, regine e circo, Capricci di Goya, trono di spade, Decamerone (anzi, Pentamerone, come sono chiamati i racconti di Basile), attualità ri-definita e fiabe non Disney, commedia, tragedia, alto, basso in un modo rigoroso, ma che forse avrebbe potuto essere ancora più audace. "Il premio migliore è se va bene in sala" dichiara il regista in conferenza stampa "Questo film nasce per il pubblico prima che per un festival". E punta a sedurre, divertire, spaventare, terrorizzare, strabiliare gli spettatori soprattutto nel buio della sala. Proprio come il cinema di una volta.

L'intensità dell'immagina richiama l’incanto di Méliès e delle origini (origini nominate dallo stesso Garrone) rimescolandolo con le regole della semiotica e della fotografia curata dallo stesso direttore di Cronenberg; la regina (Salma Hayek) con il figlio del drago è costruita tra geometrie ghiacciate e bilanciata tra il rosso, il nero e il bianco. L’episodio delle sorelle che incantano il Re (Vincent Cassel) mischia il nero al rosso alle tonalità pastello “sporcate” opportunamente dalla fotografia. Quello della pulce si sparge in un cocktail tra azzurro polvere, grigio e bianco. Si cerca un “plus” nel linguaggio e Garrone, già libero dalla patina “casereccia” di “italianità” (inquadrature da soap, fotografia da telenovela, storie da fotoromanzi), cerca di rendere il “visionario” qualcosa di più: un esperimento, un’avanguardia per i palati radical chic di Cannes, una “grande bellezza” da ritrovare nelle pieghe del (tanto di moda) fantasy. Si può fare tutto per scatenare quell'antica meraviglia che è(ra) il cinema? Si può e si deve. Non ci sono limiti. E anche per questo, forse, un new Garrone avrebbe potuto osare ancora di più, soprattutto sul piano dei movimenti di macchina.

Intanto il regista di “Gomorra” vince una scommessa, quella di trovare la realtà nella fiaba, dopo aver pescato la fiaba dalla realtà distorta. La gallery di freak (l’orco, il drago, la vergine, l’anziana, i circensi – tra cui Alba Rohrwacher e Massimo Ceccherini -, il principe albino, la pulce abnorme) non rappresenta altro che la rassegna di maschere di una realtà attuale (e non priva dei suoi "cucchiaini quotidiani" di horror) che soffre le stesse psico(pato)logie descritte in un antico libro di fiabe. L'egoismo di una mamma, l'ossessione erotica di un uomo, l’anziana che si fa scorticare per tornare giovane (la prossima frontiera della chirurgia estetica?) e, quando torna davvero giovane e stupenda, si trasforma nella Joe giovane di Nymphomaniac (Stacy Martin), il padre e la figlia che non comunicano se non coperti di sangue, le illusioni che si spengono crescendo, i sacrifici inutili, l’uomo che cerca a tutti i costi di piegare la natura alla cultura ma no, non è quasi mai possibile. Né allora né ora. Nessuna differenza tra noi e le principesse. Il racconto dei racconti è l'universale.

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Voto degli utenti: 7,3/10 in media su 6 voti.

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forever007 (ha votato 10 questo film) alle 10:48 del 28 maggio 2015 ha scritto:

Recensione perfetta! Film per quanto mi riguarda grandioso! Garrone secondo me ha superato se stesso, ha fatto un fantasy-horror-neorealista d'autore, quasi come se volesse prendere il posto, ancora lontano, di Pasolini (proprio la Trilogia della Vita mi ha ricordato, ma credo sia esplicito il riferimento). UNICO!

Alby70 alle 0:39 del 3 giugno 2016 ha scritto:

Difficili relazioni padre-figlia, madre-figlio, ossessione per il sesso, paura di invecchiare (morte), non c'è che dire i temi o meglio le ossessioni di oggi sono come allora ed alla base c'è un cattiva relazione prima con se stessi

(Egoismo) e poi con il prossimo anche il più vicino. Trionfa il desiderio di amare della giovane regina capace di liberarsi ad un destino crudele. I deboli trovano il modo per uscirne fuori uccidendo i loro persecutori. Più difficile cercare un senso alla fiaba del re lussurioso. In questo caso non sembra esserci speranza. La natura non accetta di essere manipolata.