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4/10

Underworld - Il Risveglio regia di Måns Mårlind

Horror
recensione di Alessandro M. Naboni

Dopo aver sconfitto l’Anziano Marcus in Underworld Evolution, la vampira Selene ritorna sul grande schermo per confrontarsi con il Lycan più potente di sempre. Rimasta per anni in crio-coma dopo la cattura da parte degli umani, si risveglia all’interno dei laboratori della Antigen, compagnia biotech che si occupa della ricerca di un vaccino contro le mutazioni di Vampiri e Lycan. A liberarla è una misteriosa bambina tutt’altro che innocente in un mondo che ha dichiarato una guerra senza pietà ai non-umani.

Some motherfuckers are always trying to ice-skate uphill.

Wesley Snipes, aka Blade, prounciava questa frase nell’omonimo cult di fine anni ’90: un mezzo uomo e mezzo vampiro che sapeva non prendersi troppo sul serio nella sua incazzata caccia ai vampiri. La citazione a effetto, che in italiano suona in modo più disinnescato “C'è sempre qualche stronzo che vuole fare il passo più lungo della gamba!”, è un’impietosa-ma-onesta sintesi delle mie sensazioni post-visione di questo quarto film della saga Underworld, nata nell’ormai lontano 2003 dalla mente di Len Wiseman. Con tutto il rispetto per l’impegno che sta dietro a una produzione di questo tipo, il risultato finale è degno dell’arcinoto epiteto fantozziano.

Ma, per non iniziare la cena dall’amaro, è giusto/necessario partire dalla notte dei tempi. C’era una volta l’atavica faida millenaria tra i Vampiri, aristocratici notturni, e i Lycan(tropi), animaleschi abitanti del sottosuolo. Una guerra segreta tra immortali per la supremazia della razza, la ricerca dell’ibrido perfetto con i poteri di entrambi, doppi giochi con cadeveri che riposano, cocktail di sangue che resuscita morti, intrighi di potere, tradimenti e l’amore-archetipo che scatena gli istinti più primordiali. Alla fine del secondo capitolo, Underworld Evolution, la vampira guerriera Selene (Kate Beckinsale) e l’ibrido Michael Corvin (Scott Speedman), dopo la solita emo-mattanza. contemplano l’orizzonte con la speranza di un futuro migliore. Underworld – La ribellione dei Lycan è il didascalico prequel che allunga un brodo già visto qua e là nei primi due episodi. Così avrebbe dovuto concludersi la trilogia che ha visto il coronamento dell’amore-da-set tra il regista/creatore e la sua protagonista-musa.

E invece no, perché in una Hollywood in evidente crisi d’idee si percorre quasi sempre la strada più sicura per fare incassi. Cosa c’è di meglio se non recuperare una saga ormai conclusa (bene) e girare un nuovo episodio in 3D fingendo che sia ancora un motivo valido per entrare in sala e mettersi degli occhialetti polarizzati. Devono averlo pensato i produttori quando hanno deciso di affidare questo Underworld – Il risveglio agli autori del trascurabile Shelter, un duo di registi svedesi Måns Mårlind e Björn Stein che dirige i film come le targhe a Roma quando si superano i livelli di PM10, a giorni alterni.

A livello concettuale lo spunto di partenza poteva funzionare: dopo l’ultimo duello terminato con la morte di Marcus, uno dei vampiri Anziani, il mondo (umano) si era ormai reso conto dell’esistenza di questi ‘diversi’ pericolosi sconosciuti. La risposta, ovviamente armata e cieca, è immediata e durissima: istituzione della legge marziale e inizio della nazi-epurazione legalizzata. Fin qui niente da dire, peccato che poi qualcuno deve aver deciso che non fosse necessaria una sceneggiatura coerente, un minimo credibile e con qualche buco in meno dell’emmenthal svizzero. Nell’iniziale agguato al porto (che vince il premio come imboscata più prevedibile del decennio), i nostri 'eroi' si trovano in netta inferiorità sotto i colpi all’argento liquido delle forze di polizia. La trasformazione di Michael è soltanto l’inutile canto del cigno prima di una dipartita lampo necessaria per far partire l’arco narrativo del film. Selene viene catturata e criogenizzata nei laboratori di ricerca Antigen. Amnesia. 15 anni di blackout primo dello scongelamento improvviso. Michael è ancora in vita ed è riuscito a scappare? Chi è la bambina simil-Samara che quando s’incazza si trasforma come Hulk? Ma i Lycan non erano quasi estinti? E soprattutto era necessario il personaggio spalla del giovane vampir-inetto che vuole ribellarsi al padre? Interrogativi che possono anche non trovare risposta senza intaccare il bioritmo di una cine-vita serena. I 75 minuti circa che restano prima dei titoli di coda sono un guazzabuglio moderno di elementi post-noir-gothic-dark-fantasy, scontri ‘bestiali’, un accumulo adrenalinico di cadaveri e scene ridicolmente cariche di pathos accompagnate da dialoghi in bilico (indigesto) tra soap opera e inopportuno melò.

Dal punto di vista tecnico il duo registico ci sa fare, soprattutto nelle sequenze d’azione e per lo studio fatto su inquadrature che sanno sfruttare degnamente il 3D nativo (girato con cineprese Red Epic, le stesse utilizzate Peter Jackson per Lo Hobbit). La atmosfere crepuscolari sono tra le migliori della saga, ma la confezione è sprecata da una storia che non ingrana: dal movente risibile all’azione ai personaggi bidimensionali con psicologia da videogame. Quando anni fa il giovane esperto di effetti speciali Len Wiseman tirò fuori dal cilindro l’idea Underworld, le premesse erano tutt’altre: un film di serie B elevato di grado da una sceneggiatura-che-si-fa-seguire, protagonisti interessanti e una regia con stile. Qui invece mancano le basi per uscire dalla mediocrità del film da pomeriggio domenicale di Italia 1, o anche soltanto quell’auto-ironia che ha fatto la fortuna della trilogia Blade, adattata per lo schermo dal talentuoso David S. Goyer. Il confronto è impietoso, in quel caso c’era dietro un fumetto Marvel. Kate Beckinsale, vampira-madre fredda come già morta, sfodera la sua bellezza mono-espressiva, salti acrobatici dal quarantesimo piano, abilità da chirurga a mani nude e incolpevole qualunquismo (“Se lo diventeranno più forti, noi lo diventeremo di più”), ma non è solo colpa sua.

Gli occhioni sonnacchiosi di chi scrive sono costretti ad assistere anche all’ultima corsa fino al tetto di un palazzo: narrativamente inutile, ma necessaria per il finale (purtroppo aperto) su un totale notturno della città, con in lontananza i lampeggianti della polizia e l’immancabile frase di chiusura, ultima/tronfia caduta nel più becero ridicolo involontario. Nell’eterna lotta coi Lycan la speranza è che i Vampiri ci evitino la sofferenza di un’ennesima avventura. Il lato negativo è che non basterebbe non scrivere la sceneggiatura visto che per questa volta non è stato un deterrente sufficiente.

Consigliato ai fan della saga, ma anche no. Senza alcun snobismo cinefilo, è che proprio non ne vale la pena.

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Voto degli utenti: 4/10 in media su 2 voti.
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alexmn 4/10

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hayleystark alle 10:15 del 5 febbraio 2012 ha scritto:

Pure la citazione da Blade... che perla di recensore! (E pure di film: il trash vampiresco, se ben fatto, ha sempre il suo fascino)Hai confermato definitivamente il mio desiderio di NON vedere questo film. Certo non era difficile, ma perché dovrei privarmi del divertimento di leggere i tuoi articoli spietati?

alexmn, autore, (ha votato 4 questo film) alle 19:57 del 6 febbraio 2012 ha scritto:

blade era d'obbligo. adoro il suo essere così tamarro-cool!

ci starebbe un bel blade vs underworld, una cosa alla celebrity deathmatch

hayleystark alle 20:23 del 6 febbraio 2012 ha scritto:

RE:

Sicuramente affascinante a vedersi, ma non ci sarebbe proprio storia: Blade tutta la vita!

alexmn, autore, (ha votato 4 questo film) alle 20:27 del 6 febbraio 2012 ha scritto:

se poi pensiamo che il secondo capitolo l'ha girato un certo guillermo del toro

hayleystark alle 20:55 del 6 febbraio 2012 ha scritto:

E non a caso il migliore dei tre, a mio personalissimo avviso