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8/10

Babadook regia di Jennifer Kent

Horror
recensione di Eva Cabras

Madre e figlio in lotta contro un mostro malvagio nato da un libro per bambini, ma la copertina è spesso proverbialmente ingannevole e ben presto il film si trasforma. Seguendo la caratterizzazione della protagonista e i travagli della sua psiche, Babadook fonde le proprie sembianze vampiresche con spauracchi ben più pericolosi, ovvero depressione e rancore.

Amelia è una mamma single con problemi economici che deve gestire il figlio iperattivo di sei anni. Come se non bastasse, il giorno del compleanno del piccolo Samuel coincide esattamente con il giorno della morte di suo padre, rimasto ucciso in un incidente stradale mentre portava Amelia in ospedale per partorire. Non è certo strano se il rapporto madre-figlio di Amelia e Samuel non è dei più equilibrati, ma è l'entrata in scena di un libro a far precipitare la situazione di calma caotica che regna nei primi minuti di Babadook. Tra i problemi a scuola del bambino e le carenze affettive della madre si insinua un piccolo volume che ha l'aspetto di una pubblicazione per bambini, ma proseguendo nella lettura i due capiscono che ciò che sta scritto su quelle pagine non è una filastrocca qualsiasi. Uno spirito oscuro emerge dall'inchiostro e diventa il fedele alleato della regista Jennifer Kent, fermamente intenzionata a farvi correre ad accendere la luce che avevate smorzato per fare atmosfera.

Il Babadook pervade il film di inquietudine, facendo della sua iniziale assenza visiva un punto di forza. Le ante dell'armadio che si sochiudono, gli scricchiolii e le ombre sono da sempre stratagemmi tipici dell'horror, ma ben presto il demone prende corpo e si pavoneggia nel suo disturbante mix tra boogeyman e Nosferatu. La materializzazione del mostro va di pari passo con la degenerazione del rapporto tra Amelia e il figlio Samuel, spingendo lo spettatore a domandarsi quale sia veramente l'essenza di questo nemico notturno che si ciba di tenebre e lacrime.

Ciò che fa di Babadook un film molto bello, efficace e originale è proprio l'elemento metaforico che accosta la presenza demoniaca allo stato emotivo e sentimentale dei suoi protagonisti, in particolare della madre. Se il bambino rimane fedele a sè stesso sorretto dall'amore incondizionato per l'unico genitore che abbia mai conosciuto, Amelia giace invece in un profondo stato di depressione perenne. La perdita del marito viene sovrapposta all'irrequietezza del figlio e l'affetto che solitamente sbrodola le eroine femminili dei film horror è sostituito da un sordo e cieco rancore, ancorato al passato e incapace di elaborare il lutto affrontando il futuro. Senza nulla togliere alla realizzazione formale della pellicola, suggestiva e netta grazie all'ottima fotografia, il cardine del lavoro australiano è certamente l'impianto metaforico che ne solidifica le fondamenta. Senza il lento e inesorabile disfacimento delle paranoie materne Babadook sarebbe un horroretto qualsiasi, ma non lo è, e nel finale si cela il colpo di grazia che ne sancisce la vittoria.

(Spoiler)

Quando sembra che sconfiggere il male sia impossibile, Amelia trova una via d'uscita. Invece di distruggere il mostro nella più convenzionale delle conclusioni, madre e figlio lo addomesticano. Ecco la meraviglia. Amelia riesce a controllare il proprio rancore, a nasconderlo in un sottoscala rendendolo mansueto, a riscoprire la gioia di non arrovellarsi nel biasimo. Il passato è passato e un nuovo futuro di armonia si staglia all'orizzonte, carico di possibilità, ma sempre e comunque figlio del compromesso. Babadook è la storia di un'auto-analisi, della rinascita dopo un trauma e dell'accettazione di eventi che non potranno mai essere modificati.

 

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Voto degli utenti: 7,2/10 in media su 6 voti.
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